Gentile direttore,
il diabete aumenta di circa 300 volte il rischio di infarto e di 4 volte il rischio di cardiopatie e un paziente diabetico su tre soffre anche di una patologia cardiovascolare. Un trattamento clinico efficace, oggi possibile come mai prima d’ora, può ridurre del 50% il rischio di infarto con un impatto sostanziale sulla salute dei pazienti oltre che sulla razionalizzazione dei costi del servizio sanitario nazionale, una razionalizzazione che non sacrifica ma aumenta l’efficacia delle cure.
Il budget della sanità italiana destinato al diabete ammonta al 9% delle risorse sanitarie: più di 9,93 miliardi di euro all’anno, per una popolazione 3,5 milioni di persone affette da questa patologia. I ricoveri rappresentano la voce di costo più importante (40%), ma il tasso di ospedalizzazione si può abbattere con l’appropriatezza del percorso di cura. Il costo attribuibile alle complicanze e alle comorbilità, tra cui in particolare quelle cardiovascolari, rappresenta il 90% del costo totale della malattia mentre la gestione diretta del problema metabolico è circa il 10%.
Sono i dati più recenti che emergono dalla letteratura internazionale e dalla pratica clinica quotidiana. Oggi la cardiologia ospedaliera del servizio sanitario nazionale ha la straordinaria opportunità di poter progettare percorsi di cura più efficaci per i pazienti ad alto rischio cardiovascolare: le nuove molecole antidiabetiche (GLP1 ed SGLT 2) sono state inserite di diritto anche nella terapia proposta dalle linee guida nazionali e internazionali sullo scompenso cardiaco per l’evidenza scientifica della loro efficacia nella riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare. D’altro canto, la visione proposta dal Pnrr per la prima volta propone come prospettiva concreta la centralità delle cure territoriali e la valorizzazione di strutture come gli ospedali territoriali che, in stretta sinergia con i grandi Hub ospedalieri, costituiscono l’ossatura necessaria per una cura e una prevenzione cardiovascolare efficace.
In una popolazione che invecchia il fenomeno è di primaria importanza. Tra il 2008 e il 2014 l'età media della popolazione residente nei paesi dell’Unione europea è aumentata di 1,8 anni e la percentuale della popolazione con più di 65 anni è cresciuta di 1,4 punti percentuali. In tutti i paesi dell'UE il rischio di diabete è notevolmente aumentato per le persone di età superiore ai 65 anni. Il rischio varia dal 175% in Francia al 539% in Italia.
Dal punto di vista clinico, il ruolo del cardiologo su questo particolare tipo di paziente è centrale e ineludibile, in stretta collaborazione con gli altri specialisti coinvolti, a partire dai diabetologi, nell’ottica di un percorso di presa carico globale del paziente: è fondamentale l’intervento sulla prevenzione primaria e secondaria, fino al follow up post evento critico.
Federico Nardi