Finalmente una critica alle Case di Comunità...ma temo sia troppo tardi
di Giuseppe Belleri
30 NOV -
Gentile Direttore,
il sottosegretario alla Salute Gemmato nell'intervento al congresso SIMG ha nuovamente ribadito le critiche allo standard delle case della Comunità che non garantiscono la prossimità dell'assistenza territoriale. Sono dello stesso avviso i ricercatori del Cergas Bocconi: nel rapporto OASI del 2022 infatti sottolineano che un bacino di utenza compreso tra i 40 e i 50 mila residenti "in molti contesti periferici, rischia di essere poco compatibile con i principi di prossimità e capillarità", come in centri di piccole dimensioni in aree estese e a bassa densità abitativa, con la parziale eccezione di regioni meridionali alle quali sono andate il 45% delle risorse stanziate della Missione 6C1 a fronte del 35% di residenti.
Insomma era evidente fin dalla primavera del 2021 che un parametro rigido e unico, calato top-down in modo ragionieristico in nome di un'astratta omogeneità centralista, non era adatto alla varietà delle condizioni geodemografiche, organizzative, socioeconomiche, climatiche ed orografiche dei territori, per non parlare dei condizionamenti storico-culturali della cosiddetta "path dependence".
Ma tant'è, c'è voluto un cambio di maggioranza politica per far emergere la principale criticità della Missione 6C1 del PNRR. Alcune regioni di propria iniziativa hanno corretto parzialmente i rigidi standard demografici, portando il numero delle strutture da 1350 a 1430: ad esempio la giunta lombarda ha dimezzato nell'ATS della Montagna i parametri delle Case e degli Ospedali di comunità per una più razionale distribuzione orografica degli edifici. Eppure nessun tecnico o esperto ministeriale ha manifestato dubbi e una scelta discutibile è passata sotto silenzio per 18 mesi!
Ma c'è di più. I limiti dell’impostazione centralista sono evidenti se si considera una visione di insieme dei problemi dei territori affetti da spopolamento e abbandono sociale. Si consideri, ad esempio, l'approccio One Health ribadito dal PNRR, che persegue l'integrazione multidisciplinare e il riconoscimento che la salute umana, animale e dell’ecosistema sono interconnesse e sollecitano una strategia complessiva di intervento che coinvolga diverse professionalità (medici, veterinari, ambientalisti, economisti, sociologi etc.). L’approccio One Health affronta i bisogni delle popolazioni più vulnerabili considerando lo spettro dei determinanti in gioco nell’'interdipendenza tra tessuto urbanistico, geodemografico e socioeconomico.
A questo approccio fanno riferimento le politiche pubbliche per rivitalizzare territori in difficoltà o soggetti a carenze demografiche, come lo stesso PNRR e gli interventi per contrastare lo spopolamento dei piccoli comuni della collina, alpini ed appenninici in condizioni sociali di abbandono e carenza di servizi. Due sono le iniziative in atto:
· la Missione 5 del PNRR ha destinato importanti risorse alle infrastrutture sociali per il sostegno delle famiglie, dei minori, delle persone con gravi disabilità e degli anziani non autosufficienti;
· il fondo di sostegno ai comuni marginali per il triennio 2021-2023 ha stanziato 180 milioni euro per i territori a forte rischio demografico.
Le risorse del fondo sono state assegnate a 1.187 comuni, selezionati per le loro condizioni particolarmente svantaggiate, con un Indice di vulnerabilità sociale e materiale (IVSM) elevato e con un basso reddito dei residenti. Di questi 1.101 comuni sono localizzati nel meridione, ai quali andranno oltre 171 milioni di euro (il 95,2% del totale), 52 nell'Italia centrale (per 5,5 milioni di euro) e 34 nel Nord (3,1 milioni di euro). In questo caso si è partiti dall'individuazione dal basso dei bisogni e delle criticità per una appropriata ripartizione delle risorse, e non con una indistinta distribuzione a pioggia top down come nel caso degli standard della Missione 6C1.
Non si poteva adottare lo stesso criterio per la collocazione delle strutture territoriali? E le risorse della Missione5, in una prospettiva One Health più ampia, non potevano essere utilizzate parzialmente per rafforzare la rete sociosanitaria? Va da sé che una configurazione hub&spoke di Case di comunità, con standard demografici aderenti alle caratteristiche locali, potrebbe migliorare sia i servizi per famiglie, minori, disabili ed anziani e non autosufficienti non autosufficienti sia attirare nuovi residenti e contrastare lo spopolamento in atto, con una sinergia virtuosa tra fondo per i comuni marginali, Missione 5 e 6 del PNRR.
Per usare il gergo degli economisti una rete territoriale flessibile e di vera prossimità potrebbe generare esternalità positive in settori diversi da quello sanitario, ovvero contrastando la crisi demografica e sociale delle aree svantaggiate. È troppo chiedere ai decisori pubblici di adottare una visione d'insieme di ispirazione sistemica, in linea con l’approccio One Health? Ma temo che ormai sia troppo tardi…
Dott. Giuseppe Belleri
Ex MMG - Brescia
30 novembre 2022
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