Ridurre le diseguaglianze nella cura della sofferenza
di Marco Ceresa
16 NOV -
Gentile Direttore,il diritto all’eguaglianza nella cura della sofferenza fa parte del diritto alla cura, ma vi sono grandi diseguaglianze in tali ambiti ed anche dove sono presenti cure mediche di buon livello, il diritto a non soffrire non è sempre garantito. Spesso i pz narrano lunghe storie di sofferenze non controllate, di settimane, mesi od anni, che sarebbero state evitabili.
Ma perché è importante la cura della sofferenza? Perché la stessa parola “paziente” indica “colui che soffre” evidenziando che in ogni malattia la sofferenza è comunque centrale. Perché soffrire inutilmente è inaccettabile, essendo fra i sintomi più gravosi è importante da controllare per migliorare la qualità di vita (non solo alla fine …).
E poi perché curare la sofferenza migliora le possibilità di cura di qualunque altra malattia concomitante, si riduce il consumo di riserva funzionale ed il distress se non vanno sprecate energie nel soffrire, si migliora l’umore e quindi la vita psichica e sociale, si migliora l’alimentazione (soffrire riduce l’appetito), si migliora la compliance e l’efficacia delle altre cure grazie alle maggiori “energie” liberatesi dalla riduzione del dolore.
Tale aspetto clinico viene spesso sottovalutato. In definitiva soffrire logora e consuma le riserve organiche, togliere la sofferenza, di per sé, può migliorare il quadro clinico, “curare il sintomo soffrire migliora le possibilità di cura eziologica”.
È difficile curare la sofferenza? Per curare bene la sofferenza oltre alla competenza è necessaria empatia, vero strumento per poter comprendere (fondamentale per il malato sentirsi capito) e cercare la soluzione. Quindi in parte è certo inevitabile che il sanitario sia “colpito” (mito di Chirone “solo il medico ferito può guarire”), fatto acclarato dalla scoperta dei neuroni a specchio (rispecchianti in sé il vissuto altrui). Però poi è davvero appagante vedere il calo di un soffrire …. mentre sono certo più alienanti le tentazioni di fuga dalla sofferenza del pz, di chi cerca vano rifugio in protocolli di cura, sterili se calati solo sulla malattia e non sul malato.
Tempestività evita esacerbazione e cronicizzazione. Le cure della sofferenza non sono affatto solo le cure degli ultimi momenti di vita, la sofferenza spesso perdura per anni, non solo nel dolore cronico di varia origine, ma anche in gravi malattie oncologiche nelle quali può spesso essere presente sin dall’esordio, necessitando di trattamento accanto alle cure eziologiche.
Sarebbe indispensabile sempre e comunque un trattamento precoce e progressivo del dolore. Infatti se il dolore non è trattato tempestivamente, molto più facilmente cronicizza e può divenire un “habitus” dei circuiti nervosi, progressivamente sempre più difficile da trattare. Come per ogni patologia anche per la cura della sofferenza è fondamentale la precocità del trattamento per evitarne l’aggravamento e migliorare le possibilità di guarigione.
Paradigmatico della carenza di controllo della sofferenza è stato il Covid 19, infatti nelle gravi fasi pandemiche non solo non si è potuto trattare la patologia, ma spesso neppure le gravose sofferenze, che invece avremmo dovuto saper lenire.
Anche le scelte di suicidio assistito, per quanto ora lecite, non sono libere se è presente sofferenza che non è stata controllata per lungo (troppo) tempo. La sofferenza, se intollerabile, porta all’unico desiderio di farla cessare al più presto a qualunque costo.
Quindi il controllo terapeutico della sofferenza porta qualità di vita, migliori possibilità di cura, libertà e vera possibilità di scelta.
Come ridurre le diseguaglianze nella cura della sofferenza (unire chi se ne occupa?)
Essendo generalmente sottovalutata è anzitutto importante parlarne, quindi richiedere applicazioni normative. Sin dal 2017 i LEA prevedono il controllo della sofferenza in tutti i setting, territoriali, ambulatoriali ed ospedalieri, ma mancando adeguati decreti applicativi, vi sono ampie carenze e differenze regionali ed intraregionali
In molte strutture non vi è personale per trattare adeguatamente la sofferenza, nè vi è la possibilità di effettuare visite domiciliari di terapia antalgica (assenti codici), per i cronici che non possono accedere agli ambulatori, peraltro già gravati da liste di attesa.
La Terapia del Dolore e le Cure Palliative sono chiamate ad attuare questi compiti, ma la loro diffusione non è capillare, a fronte di eccellenze vi sono gravi carenze. Forse in questi tempi di scarsità di personale, si potrebbe valutare l’opportunità, almeno nei piccoli centri, di unire sinergicamente tutti coloro che si occupano di sofferenza. Si potrebbero creare in tali presidi, equipe di "cura della sofferenza" (ri-unendo cure palliative e terapia del dolore), in grado di controllarla inizialmente, al di là della malattia e della sua fase, per poi provvedere se necessario all’invio del pz verso setting appropriati a seconda della fase di malattia.
Marco CeresaMedico
16 novembre 2022
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