Gentile Direttore,
due termini di gran voga oggi nell’ambito sanitario sono perfetti ossimori: la sostenibilità e la salute (benessere/cura) perché si pretende di amministrare due essenze dell’esistenza umana: l’esserci e il non esserci, il vivere e il non vivere, da dove veniamo e dove andiamo come individui e come collettività.
Un parametro economicistico in questo campo è e sarà sempre perdente perché i conti non tornano mai quando si affrontano problemi ontologici.
Nell’ambito dell’essenza creano qualità solo i sistemi valoriali. Sono elementi mai gerarchici che tentano di dare risposte a domande semplici spesso arricchite da una creatività più narrativa che dimostrativa.
Così non sarà mai possibile confondere il complicato con la complessità, l’autonomia con l’amministrazione costi quel che costi, la libertà con la normativa assolutistica.
Il sistema sanitario sottomesso ad un processo decisionale parallelo al confronto sociale e parlamentare (conferenza Stato-Regioni con l’infinito corteo di fedeli consulenti ed agenzie) è complicato ma non ha la minima idea di cosa sia la complessità rappresentata dai professionisti e dai cittadini/pazienti/esigenti.
I lodevoli tentativi di numerosi gruppi spontanei della società civile, colleghi, opinionisti sopraffini volti a richiamare l’attenzione dei decisori ad un sistema valoriale audace cozza sempre con dogmi insuperabili: il potere politico economico/finanziario/sottogovernativo. Una miseria di fronte al bene ma ininterrottamente vincitore in assenza di un pensiero da statista riformatore.
Nulla è effettivamente cambiato in sanità (pur necessitando oggi di radicalità assoluta) a fronte degli eventi planetari noti a tutti perché semplicemente non si possono risolvere i problemi con le modeste attitudini cognitive di coloro che li hanno generati e che tutt’ora possiedono nelle loro mani il processo decisionale (da un concetto di Albert Einstein).
PNRR, DM70-77, ACN, Metaprogetti, Case della Salute trasformate in Case della Comunità senza uno straccio di contenuti che non siano già stati ampiamente disattesi dal 2010, Ospedali di Comunità previsti secondo traiettorie ellittiche alle comunità stesse costruendo quindi di nuovo le fondamenta di una contraddizione in sanità come se ce ne fossero poche, COT…insomma chi sono costoro? Chi ha scritto queste complicazioni? Chi, convegno dopo convegno, spiega ai professionisti e ai cittadini/pazienti/esigenti quello che “devono” fare in ottemperanza alle normative spacciate come innovazioni o riforme? Carneade ha elaborato pensieri molto più sofisticati al confronto.
Non si tratta, si badi bene, di mugugno o di un lamento senza assumersi responsabilità di studio e di proposte di alternative ( apparse numerose anche su QdS) ma di ripulire la stanza da disfunzioni non attribuibili ai professionisti o ai cittadini/pazienti/esigenti ma al contesto strutturale normativo aziendale, distrettuale, regionale, al consociativismo e alla modifica del titolo V: le aziende sanitarie ( Ausl) andrebbero abolite includendo nella cancellazione anche la nuova tendenza alle magafusioni probabilmente destinate ad essere ancora più energivore ed insaziabili delle singole strutture. Parafrasando una dichiarazione del gruppo di artisti che si qualificano “Contemplazioni” potrebbe essere considerata una azione meritoria costruire un museo delle “aziende AUSL” affinché i posteri possano comprendere come mai un SSN tra i migliori al mondo si sia poi dissolto lasciando solo qualche reperto vetusto di difficile comprensione.
Il museo potrebbe essere una risposta pratica che non avrebbe più bisogno di essere messa a problema cioè non avrebbe la necessità di creare nuovi perché.
E’ ipotizzabile una simile azione?
No perché le relazioni sovraordinate oggi sono economicistiche e finanziarie. Chi comanda è la così detta governance di queste attività. Non verrebbe mai accettato un processo decisionale completo affidato ad un comitato o un collegio di salute pubblica di fatto alternativo allo status quo.
Qual è il fine della sanità? Quello di creare o produrre salute. Più propriamente sarebbe quello di generare senza sosta cura, accesso alle cure e presa in carico. Ontologicamente è la necessità di cura dell’essere vivente che concepisce una organizzazione sanitaria. L’uomo è prima dell’istituzione.
Porre la struttura per ragioni economicistiche o finanziarie al di sopra del bisogno fondamentale delle persone crea un edificio fragilissimo facilmente polverizzabile come capita ad un reperto antico trascurato.
La persona singola trova inoltre sostanziosi vantaggi nella reciprocazione con la collettività proprio nella cura che edifica una unità tra differenze (pluralismo culturale) per convivere e dare senso alla vita stessa.
Avere l’attitudine cognitiva all’unità sostiene il bene (la cura) e la libertà sta proprio nella ricerca di ciò che si ritiene bene, cura, prendersi cura. E’ una necessità creatrice di libertà. Assolutamente semplice ed unificante. Economicamente e socialmente molto vantaggiosa.
La forza di un sistema sanitario è quella di ricercare sotto ogni forma il bene, la cura, la verità rifuggendo ogni possibile contraddizione creata da una molteplicità interpretativa nei confronti di una essenza che dovrebbe essere per principio unica. Contrariamente quando intervengono diverse volgarizzazioni, suddivisioni, scale gerarchiche, problemi comportamentali, suddivisioni regionali, alterità normative o deliberative, stucchevoli consociativismi già attivi per le nuove strutture CdS e OdC può capitare di allontanarsi sempre di più dall’unità facendo emergere mali e disfunzioni foriere di un fallimento di un SSN come lo abbiamo conosciuto fino a qualche decennio fa in favore di esternalizzazioni, privatizzazione, riduzione di servizi, assicurazioni, accreditamenti…
Bruno Agnetti