Gentile Direttore,
abbiamo letto con interesse la lettera dei dottori Signoretta e Procacci che ringraziamo per alimentare il dibattito su questo argomento che interessa molti pazienti e medici.
Il medico ha fondamentalmente due compiti: diagnosi e terapia. Terapia significa curare i pazienti al meglio in scienza e coscienza avendo sempre presente il loro interesse e benessere. L’orticaria cronica spontanea è una patologia che nei casi severi può durare decenni rendendo impossibile la vita ai pazienti che ne soffrono, in particolare a quelli che non rispondono alla terapia antistaminica e sono costretti ad assumere corticosteroidi per via sistemica per tempi lunghi con i conseguenti, prevedibili effetti collaterali gravi.
Questa è stata la norma fino all’introduzione dell’anticorpo monoclonale anti-IgE per il trattamento di tale condizione, un farmaco che ha letteralmente “miracolato” migliaia di pazienti con CSU. Concordiamo sul fatto che gli studi registrativi hanno avuto durata non superiore alle 24 settimane e che nessuno di essi prevedesse il ritrattamento, ma già dal 2014 era apparso chiaro che la sospensione del trattamento si associava ad una ripresa delle manifestazioni in una elevata percentuale dei casi e che il ritrattamento determinava nuovamente il controllo della malattia (1).
Il problema quindi va, a nostro parere, valutato da un punto di vista clinico e non meramente burocratico: è stato etico costringere centinaia di pazienti a sospendere dopo un anno un trattamento efficacissimo e privo di effetti collaterali ricacciandoli nell’inferno precedentemente vissuto, oltretutto per non dare loro un farmaco in uso da anni per l’asma bronchiale severo (patologia per la quale nessuno si è mai sognato neanche lontanamente di richiedere una sospensione)? La sospensione a 1 anno era raccomandata da qualche Linea Guida? Come mai la sospensione obbligatoria è stata decisa solo in Italia? Questa decisione è stata presa nell’interesse dei pazienti?
Concordiamo che le Linee Guida EAACI 2018 sono successive alla decisione di AIFA dell’anno 2015 ma la letteratura parlava già chiaro nel 2014 (1). Quanto all’osservazione relativa ai conflitti di interesse degli estensori delle linee guida, riteniamo il commento risibile. In un consesso internazionale chiamato a decidere le corrette modalità di comportamento di fronte ad una specifica patologia e che coinvolge i massimi esperti mondiali della materia è inevitabile che questi possano essere portatori di interessi commerciali, anche solo per il fatto di essere i primi sperimentatori dei farmaci specifici per tale patologia.
Sarebbe stato preferibile riunire un gruppo di medici di minore competenza in materia? Questo senza contare che l’uso del sistema GRADE per la valutazione delle evidenze disponibili e la presenza di una intera assemblea di esperti esterni per la validazione delle decisioni prese.
Relativamente al terzo punto sollevato da Signoretta e Procacci, vorremmo chiarire che nessuno contesta la necessità di sospendere periodicamente il trattamento con omalizumab per verificare se la malattia è andata in remissione, (tra l’altro, tale sospensione avrebbe un senso solo nei pazienti in remissione completa, dato che in quelli che presentano ancora manifestazioni di qualunque entità sotto omalizumab la recidiva alla sospensione sarebbe scontata).
Ciò che è clinicamente intollerabile è essere costretti a farlo per degli intervalli di tempo prefissati che spesso eccedono di gran lunga la comparsa della recidiva. OPTIMA, essendo uno studio RCT ha utilizzato una sospensione di 8 settimane, ma dove sta scritto che nella real life un certo numero di pazienti non recidiva prima di tale termine?
Essendo l’emivita del farmaco di 4 settimane ci sono pazienti che già alla 5° settimana riprendono con l’orticaria severa con angioedema. È etico costringerli a stare male altre 3 settimane rimpinzandosi di cortisone prima di riprendere la terapia con omalizumab? Ancora una volta: siamo sicuri di fare l’interesse dei pazienti? Non basterebbe affidare al medico la decisione relativa alla ripresa del trattamento in presenza di recidiva senza obbligatoriamente attenersi a schemi che non possono essere validi per tutti i pazienti? O è una visione troppo “medicocentrica…”?
Relativamente al punto 4: cosa suggeriscono Signoretta e Procacci? Passare direttamente alla ciclosporina (prescritta oltretutto off-label) o tornare al cortisone per os come terapia add-on? Non è forse meglio (in termini di effetti collaterali oltre che economici come da noi indicato) verificare se un aumento temporaneo di prova del dosaggio di omalizumab raggiunge lo scopo di controllare al meglio la malattia?
Infine, vorremmo commentare che la visione “medicocentrica” lamentata è in realtà la visione “pazientecentrica” che ogni buon medico dovrebbe avere e che la nostra associazione ha indicato da anni come regola di condotta per i propri iscritti. Le modifiche ad AIFA vengono chieste da almeno 7 anni da parte dei medici esperti, dalla nostra società scientifica e dalle associazioni dei pazienti, quasi sempre senza riscontri.
Nessuno contesta la necessità di un controllo, ma questo deve essere esercitato in maniera ragionevole, ad esempio senza costringere il medico a compilare i PT o le rivalutazioni periodiche dopo il termine dell’orario di lavoro o a casa durante i week-end perché non ha avuto materialmente il tempo di farlo durante l’orario di attività clinica perché totalmente privo di personale di supporto.
Piuttosto, i commenti di Signoretta e Procacci riflettono perfettamente la visione (assieme ad AIFA) di chi con i pazienti con una patologia severa non è mai venuto direttamente a contatto nella real life e ritiene di potere regolamentare tutto secondo la logica del “one size fits all”.
Riccardo Asero
Roberto Polillo
Membro del Direttivo Nazionale dell’associazione degli allergologi italiani ospedalieri e territoriali AAIITO
Note:
1. Metz M, Ohanyan T, Church MK, Maurer M. Retreatment with omalizumab results in rapid remission in chronic spontaneous and inducible urticaria. JAMA Dermatol 2014; 150: 288-90.