Gentile Direttore,
se presa strettamente la tesi di Gianbattista Vico dei corsi e ricorsi storici è inadeguata, perché la storia non si ripete mai né si hanno specifici ricorsi. Ma se presa in senso lato si può osservare nella storia una certa ricorsività, in quanto a periodi di apertura al nuovo e protesi a guardare avanti seguono periodi più inclini alla conservazione di quanto acquisito e di attenzione alle radici e al passato. Si tratta di atteggiamenti di fondo che orientano lo sguardo generale che non è facile acchiappare con precisione ma che esistono e hanno anche un peso consistente.
Per esemplificare si può osservare che, grosso modo dalla fine della Seconda guerra mondiale agli anni ’90 o alla fine del secolo, abbiamo assistito a un’epoca di apertura in cui l’attenzione era posta sui diritti, sull’universale, sul nuovo e sull’innovazione. A partire dagli ultimi due o tre decenni, invece, il pendolo è tornato a mettere al centro degli interessi specifici (il “particulare”), il lavoro, il localismo, le radici e il mantenimento degli aspetti tradizionali.
L’atteggiamento di apertura al nuovo ha portato negli anni ’60 del secolo scorso al grande movimento per i diritti civili e sociali (eguaglianza, lavoro, sicurezza, etc.): movimento che nel decennio successivo si è esteso all’ambito biomedico portando alla nascita della bioetica, che è presto fiorita e si è imposta come quel grande movimento culturale che ha profondamente segnato la cultura di fine-millennio. La spinta innovativa pare si sia affievolita nel nostro secolo in cui, ahinoi!, si è fatto sentire il fascino dei localismi pronti a riproporre ritorni alle tradizioni. Un segno tangibile e potente di questa tendenza al ritorno al passato è il ribaltamento che della storica sentenza Roe v Wade, che dal 1973 ha consentito negli Stati Uniti l’aborto, e che ci si attende come imminente e probabile.
Proprio questo tentativo neo-restaurazionista sta d’altro canto dando nuovo vigore ai fautori del libero dibattito bioetico che sostiene la tolleranza delle diverse posizioni. È forse in questa prospettiva che si colloca il Convegno internazionale organizzato da Paola Baioni all’Università di Torino, dal titolo «Cantami qualcosa pari alla vita», che ha il merito di proporre una riflessione interdisciplinare tesa a far interagire letteratura, bioetica e diritto. Un grosso Convegno con oltre trenta relatori, provenienti da diversi paesi, è per forza di cose a più voci, e per questo merita di essere segnalato a un pubblico più vasto.
Si confrontano letterati di molti atenei d’Italia, d’Europa e del mondo, che parlano di poesia, ma anche di romanzi, di saggistica, di critica militante; ci sono medici: un genetista (Alberto Piazza), un medico legale e bioeticista (Giancarlo Di Vella), un pediatra (Alessandro Fiocchi), un rianimatore (Davide Colombo), una veterinaria (Martina Tarantola). Diversi sono ovviamente altri esperti di bioetica tra cui ricordo qui Rossana Ruggiero (Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma); non mancano studiosi di diritto, tra cui Gianmaria Ajani (Rettore dell’Università di Torino dal 2013 al 2019), Sergio Foà, Gabrio Forti (Direttore dell’Alta Scuola ‘Federico Stella’ sulla giustizia penale dell’Università Cattolica di Milano), Antonio Fuccillo, docente di Diritto Canonico dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli.
Il programma completo del Convegno può essere consultato cliccando qui mentre per accedere online al Convegno cliccare qui.
La pluralità di voci, la diversità di formazione dei relatori è già di per sé eloquente. Questo Convegno è piuttosto insolito di questi tempi, perché vi partecipano studiosi di altissimo livello, con lo scopo di offrire un quadro serio sulla questione che interroga ciascuno di noi: interroga lo studioso, il medico, l’ingegnere, l’insegnante, lo studente, ma anche il dirigente, l’impiegato, il volontario, il pensionato. Col Convegno si intende mettere a fuoco, con la lente della letteratura, della bioetica e del diritto, la polisemia del termine “vita”: analizzarne il significato organico e personale, individuale e comunitario, umano e anche animale non-umano, il suo legame con gli altri valori fondamentali all’interno della cittadinanza democratica. Il verso di Mario Luzi scelto come titolo: «Cantami qualcosa pari alla vita» risuona come un invito a arricchire la vita stessa attraverso lo scambio interdisciplinare e lo scambio pluralista.
La Direttrice Paola Baioni e il Comitato scientifico del Convegno non hanno invitato un coro unanime di professori che si incensano a vicenda o si autoincensano, ma hanno dato spazio a chi ha accettato di confrontarsi, ben sapendo che la diversità di posizioni è ricchezza.
Il Convegno non ha la pretesa di essere esaustivo, né di dire l’ultima parola sul tema della vita (che è il tema del Convegno), ma, seriamente – questo sì! – intende offrire delle coordinate perché ciascuno possa orientarsi e dedicare la dovuta attenzione all’argomento, che merita spazio, tempo e rispetto. In questo senso è un contributo alla bioetica aperturista, di cui segna forse la ripartenza.
Maurizio Mori