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Serve un Brambilla tra i non medici

di Calogero Spada

15 GIU -

Gentile Direttore,
sulla insorta questione degli “Infermieri come supplenti dei medici di famiglia” in Lombardia è normale ed anche legittimo che si confrontino pareri diversi, proposti anche con stili diversi, ove anche una certa ironia può risultare utile, soprattutto se con essa si voglia ripercorrere la storia – anche quella più remota – che ci aiuti ad interpretare meglio il presente; tuttavia non dovrebbe mai mancare la dovuta analiticità, che potrebbe anche evitare di portare l’acqua sempre e soltanto al mulino di qualcuno e mai a quello di qualcun altro.

Quindi, se i toni democraticamente riflessivi ed i riscontri di obbiettività portati avanti dal dott. Testuzza, ove il tema, già più compiutamente proposto, ossia di quella apparentemente insanabile ”perdita nel campo medico”, anche corroborato da una – finalmente benvenuta – onesta ammissione della crisi di una professione vista ancora come “unica”, ma al contempo anche criticata per una certa “arroganza”, non possono non trovare più opportuno accoglimento di serena discussione in una radicale riorganizzazione a tutto campo e modernamente intesa di ruoli e funzioni nel campo sanitario (e soltanto in quello), quelli più pungenti del dott. Cavalli, meritano anche ulteriori annotazioni, proprio sul versante storico: vale infatti la pena ricordare dei motivi storici che forse continuano a permeare la cultura della classe medica, e che potrebbero anche in qualche modo essere di aiuto ad una più compiuta analisi corrente.


Proprio una delle classi professionali (forse ora un po’ a sproposito) citate, “i professionisti del salvamento in mare (i cari, vecchi bagnini)” unitamente ai barbieri (e qui forse qualcun altro storcerà il naso) sono effettivamente state protagoniste della storia della medicina, più precisamente della chirurgia, dal medioevo fino a cavallo tra il ‘700 e l’800 dello scorso millennio, fino a che, in un’epoca quindi quando nemmeno l’Italia esisteva ancora, un valente scienziato (che però Italiano già si riteneva, anche se al era servizio di Giuseppe II d‘Asburgo-Lorena), li rilevò da tale pratica, che all’epoca era seguita solo “a vista” dai medici, che sedevano sugli scranni dei famosi teatri anatomici.

Questo illuminato Pavese, che insistette a che ci fosse una riunione delle scienze mediche e delle pratiche chirurgiche e che – in buona sostanza – sollevò dalle seggiole i medici, invitandoli letteralmente a sporcarsi le mani, rispondeva al nome di Giovanni Alessandro Brambilla, che effettivamente è stato uno dei più grandi chirurghi militari della storia. Il merito di questo “Italiano” fu di superare la retrograda mentalità in auge al tempo, che vedeva la chirurgia alla stregua della considerazione di una “arte pratica” minore, sottoposta alla “alta scienza medica” (un medico Alemanno dichiarava di “non prostituire la sua dignità” offrendo una mano – giusto caso – “ai barbieri e ai bagnaioli”.) in tal proposito il Brambilla si esprimeva in questo modo: “La Chirurgia di sua natura è più pregievole della Medicina, e pure generalmente i Chirurghi sono in minor estimazione de’ Medici”.

Parafrasando questi temi ai giorni nostri, ove la indotta discussione sulle competenze professionali è la inevitabile conseguenza di una necessaria (e forse anche urgente) ampia riorganizzazione di tutto il sistema sanitario, dovremmo forse domandarci, dopo ogni puntuale vespaio che si vada ad ingenerare, qualsivoglia sia la soluzione ipotizzata, se al giorno d’oggi, dopo l’ampia riorganizzazione delle professioni sanitarie – che probabilmente era propedeutica ben oltre le intenzioni – non siano queste ultime ad essere tacciate quali “arti pratiche minori”, ed in “minore estimazione dei medici”; professioni le quali mai dovranno essere meritevoli di maggiore “dignità”, ove per dignità dobbiamo intendere, più modernamente e pragmaticamente, gli stessi temi che qui si vanno da tempo dibattendo e richiedendo con insistenza:

- avanzamento delle titolarità legali nelle competenze;
- stipendio congruo agli anni si studio;
- esercizio libero professionale;
- reali possibilità di carriera dirigenziale.

Probabilmente oggi restano i termini di paragone di quel lontano passato: i medici vorrebbero ancora stare sugli scranni dei teatri anatomici a detenere competenze forse anche mai esercitate (vedi il caso dei Radiographers), che inevitabilmente gli stanno sfuggendo di mano; non possono più recuperarle (andando di nuovo a “sporcarsi le mani”) per via di una carenza organica forse anche indotta da una superspecializzazione di tipo amministrativo iniziata ai tempi della pletora di medici, che li sta però ora esponendo agli stessi rischi di estinzione corsi dai dinosauri – all’apice della catena del proprio ambiente – e continuano a non superare la attuale retrograda mentalità in auge, ossia il voler detenere a tutti i costi veri e propri privilegi del passato (ormai peraltro inopportuni).

Tutto ciò però non potrà far evitare l‘inesorabile “asteroide” dello sviluppo di sistemi e programmi di necessità; sviluppo che vedrà prima o poi – ma sarebbe meglio per tutti il prima possibile – il vero e legittimo emergere delle altre professioni sanitarie.

Quindi probabilmente ancora oggi ha ragione Brambilla; ma … bisogna trovare un Brambilla tra i “non medici”.

Calogero Spada
TSRM – Dottore Magistrale



15 giugno 2022
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