Gentile Direttore,
sulla insorta questione degli “Infermieri come supplenti dei medici di famiglia” in Lombardia è normale ed anche legittimo che si confrontino pareri diversi, proposti anche con stili diversi, ove anche una certa ironia può risultare utile, soprattutto se con essa si voglia ripercorrere la storia – anche quella più remota – che ci aiuti ad interpretare meglio il presente; tuttavia non dovrebbe mai mancare la dovuta analiticità, che potrebbe anche evitare di portare l’acqua sempre e soltanto al mulino di qualcuno e mai a quello di qualcun altro.
Quindi, se i toni democraticamente riflessivi ed i riscontri di obbiettività portati avanti dal dott. Testuzza, ove il tema, già più compiutamente proposto, ossia di quella apparentemente insanabile ”perdita nel campo medico”, anche corroborato da una – finalmente benvenuta – onesta ammissione della crisi di una professione vista ancora come “unica”, ma al contempo anche criticata per una certa “arroganza”, non possono non trovare più opportuno accoglimento di serena discussione in una radicale riorganizzazione a tutto campo e modernamente intesa di ruoli e funzioni nel campo sanitario (e soltanto in quello), quelli più pungenti del dott. Cavalli, meritano anche ulteriori annotazioni, proprio sul versante storico: vale infatti la pena ricordare dei motivi storici che forse continuano a permeare la cultura della classe medica, e che potrebbero anche in qualche modo essere di aiuto ad una più compiuta analisi corrente.
- avanzamento delle titolarità legali nelle competenze;
- stipendio congruo agli anni si studio;
- esercizio libero professionale;
- reali possibilità di carriera dirigenziale.
Probabilmente oggi restano i termini di paragone di quel lontano passato: i medici vorrebbero ancora stare sugli scranni dei teatri anatomici a detenere competenze forse anche mai esercitate (vedi il caso dei Radiographers), che inevitabilmente gli stanno sfuggendo di mano; non possono più recuperarle (andando di nuovo a “sporcarsi le mani”) per via di una carenza organica forse anche indotta da una superspecializzazione di tipo amministrativo iniziata ai tempi della pletora di medici, che li sta però ora esponendo agli stessi rischi di estinzione corsi dai dinosauri – all’apice della catena del proprio ambiente – e continuano a non superare la attuale retrograda mentalità in auge, ossia il voler detenere a tutti i costi veri e propri privilegi del passato (ormai peraltro inopportuni).
Tutto ciò però non potrà far evitare l‘inesorabile “asteroide” dello sviluppo di sistemi e programmi di necessità; sviluppo che vedrà prima o poi – ma sarebbe meglio per tutti il prima possibile – il vero e legittimo emergere delle altre professioni sanitarie.
Quindi probabilmente ancora oggi ha ragione Brambilla; ma … bisogna trovare un Brambilla tra i “non medici”.
Calogero Spada
TSRM – Dottore Magistrale