Gentile Direttore,
riflettendo sulla serie di allarmi di tante organizzazioni di area medica in questo ultimo periodo, con continui riferimenti a carenze e richieste di investimenti solo per il personale medico, spesso non suffragati da dati, se non in aree ben delimitate, questi appaiono ancorati ad una visione ormai superata del sistema sanitario - che si vuole mantenere a trazione medico-centrica - e connessi ad una palese azione di arroccamento, che va solo a discapito dei cittadini, per garantire il mantenimento delle rendite di posizione e di potere medico.
Tutto questo è di palese evidenza e non può essere sottovalutato o taciuto ulteriormente.
Quel che brilla nel nostro Paese, infatti, è il non utilizzare la vera soluzione: gli infermieri al massimo del loro potenziale. Seppur in totale assenza di prove scientifiche contrarie a livello globale, è evidente l’opposizione o l’inerzia di coloro che a livello decisionale non considerano adeguatamente di migliorare la salute attraverso la professione infermieristica.
Gli infermieri specialisti e gli infermieri con competenze avanzate, con capacità di trattare in forma autonoma a livelli crescenti i pazienti nei diversi setting a partire dall’area di emergenza, dall’area intensiva, e in particolare nell’area delle cure primarie, al domicilio, nei luoghi di lavoro, in ambito scolastico e nelle future case di comunità/ospedali di comunità, consentirebbe tra l’altro di utilizzare al meglio anche il personale medico specialista e di medicina generale.
L’inserimento di ulteriori figure come l’infermiere anestesista, già presente in oltre 100 paesi al mondo, come in Francia o negli Stati Uniti, dove sono responsabili fino all’80% delle anestesie effettuate nei diversi interventi chirurgici, consentirebbe di risolvere numerosi aspetti connessi a questa area.
Con percorsi formativi ottimizzati, gli infermieri garantirebbero in tempi decisamente più rapidi, la totale adesione ai desiderata di salute dei cittadini (accesso alle cure, sicurezza e protezione, vivere in ambienti sani).
Su questo vorrei però usare ancora più concretezza ed eliminare alla radice la prima obiezione che viene fatta, trincerandosi dietro la qualità e la sicurezza delle cure, quella della durata del percorso formativo.
Come noto, la Direttiva 2013/55/EU, fissa per la Laurea in Medicina e Chirurgia un percorso pari a 5500 ore, diluita in Italia in 6 anni, rispetto ai 5 anni di molti altri Paesi, mentre per la Laurea in Infermieristica è stabilito un percorso pari a 4.600 ore, contratte in solo 3 anni, a differenza di molti paesi che la estendono in 4 anni.
La distanza, tra il percorso medico e quello infermieristico, è pari quindi a 900 ore.
Integrando il percorso di formazione infermieristico con un Master di primo livello o con la Laurea Magistrale, come ben noto, si arriva a valori orari di formazione totalmente sovrapponibili o superiori al Corso di Laurea in Medicina, in termini di apprendimento clinico.
Partendo da questo base, pongo ad esempio tra i Paesi il Regno Unito, ove la formazione infermieristica quale non-medical prescriber – prescrizione infermieristica, uno degli elementi di riferimento della pratica infermieristica avanzata, ha una durata pari a circa 600 ore e può essere svolto dopo la Laurea in Infermieristica ed un periodo di esperienza.
La proposta di CNAI di cui alla lettera su Quotidiano Sanità, vede l’inserimento di questo percorso, come parte delle competenze infermieristiche avanzate, all’interno del Corso di Laurea Magistrale in Scienze infermieristiche (o come percorso di Master di 2° livello per coloro già in possesso dell’attuale titolo), quindi ponendosi ben al di là dei valori minimi formativi presenti a livello internazionale.
La durata della formazione, ovviamente, non è l'unica componente di cui tener conto dell'ambito della pratica e delle differenze tra professionisti sanitari nel contesto clinico, ma è parte essenziale per soddisfare al meglio ed in sicurezza i bisogni di salute dei cittadini.
Proprio su questo punto, siamo davvero sicuri che sia meglio usare per la sicurezza delle cure, medici non specializzati o neolaureati in pronto soccorso, come proposto da talune organizzazioni, rispetto ad infermieri con notevole esperienza e percorsi formativi adeguati per trattare la maggioranza dei casi?
Siamo davvero sicuri che partendo, per fare un esempio, dal modello See & Treat non si possa evolvere rapidamente in un modello di competenze infermieristiche avanzate più evoluto per garantire davvero salute e tempi adeguati di cure ai cittadini anche nell’area urgenza/emergenza?
Su questo aspetto deve essere chiaro che la pratica infermieristica con competenze avanzate non vuole invadere l’attività dei medici, ma far operare al massimo del potenziale ed autonomia gli infermieri, consentendogli di completare il percorso assistenziale, oltre ad attualizzare i rapporti tra professioni in linea con l’evoluzione a livello europeo e globale.
L’obiettivo è che tutti ricevano diagnosi e cure appropriate, offrendo assistenza eccellente senza mettere a rischio nessuno, come ampiamente dimostrato in letteratura.
La soluzione, si ribadisce, è di tutta evidenza: sono gli infermieri. Dire diversamente significherebbe essere palesemente disonesti.
Ci si appella al Governo nel suo insieme, alle Agenzie e alle Regioni: forse unitamente all’imbuto formativo e ai medici, si deve agire rapidamente sull’attrattività, sulla numerosità della professione infermieristica e sulle competenze avanzate, che ci vedono in coda alle classifiche dei Paesi. Nel documento presentato su Quotidiano Sanità e disponibile sul sito di CNAI, sono state individuate una serie di azioni che si spera possano essere messe in atto rapidamente e ci si rende disponibili a generosamente collaborare.
Non consentire al personale infermieristico di esercitare al massimo del potenziale, continuare a tutelare posizioni palesemente anacronistiche a protezione dello status quo, significa solo aumentare le disuguaglianze, significa fermare l’onda del futuro, significa che i cittadini più deboli ed emarginati faranno ancora più fatica ad accedere alle cure.
Significa non garantire il diritto costituzionale alla salute.
Walter De Caro