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Pubblico e privato in sanità: una diffidenza che va superata

di Claudio Testuzza

10 MAG -

Gentile Direttore,
è possibile immaginare una strada  comune tra  pubblico e privato nella sanità? E’ un interrogativo che da tanti anni si riproduce  alla vista dei tanti dati che interessano il mondo sanitario. Quando si parla di sanità  è fondamentale, innanzitutto, definire con  attenzione i suoi contorni.  

In Italia le prestazioni garantite dal sistema sanitario nazionale possono essere fornite sia dalle strutture pubbliche sia da quelle private, purché accreditate.

Per esserlo, i privati – che stipulano accordi con le regioni e le Asl competenti – devono garantire degli standard di sicurezza e di qualità.  In Italia, il servizio sanitario nazionale può contare su circa 191mila posti letto per le degenze ordinarie. Il 23,3 per cento è nelle strutture private accreditate.

Secondo l’Associazione italiana ospedalità privata (Aiop), sulle 577 strutture sanitarie private da loro rappresentate, il 93 per cento  è accreditato con il servizio sanitario nazionale, per un totale di 56mila posti letto che si avvalgono della professionalità di 12 mila medici, 28 mila infermieri e tecnici e 33 mila operatori di supporto. 

In questi istituti sono ricoverate un milione di persone ogni anno per otto milioni di giornate di degenza. Le strutture pubbliche censite risultano pari a 1.029 per l'assistenza ospedaliera, 8.928 per l'assistenza specialistica ambulatoriale, 7.324 per l'assistenza territoriale residenziale, 3.064 per l'assistenza territoriale semiresidenziale, 5.649 per l'altra assistenza territoriale e 1.109 per l'assistenza riabilitativa.

Il personale che opera nelle ASL, nelle aziende Ospedaliere ed Universitarie, negli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici, nelle ARES ed ESTAV ammonta a 724.245 unità di cui 670.803 a tempo indeterminato, 38.568 unità con rapporto di lavoro flessibile e 14.874 personale universitario.

Esistono ragioni per cui questi due mondi debbano restare  separati e spesso in conflittualità? Appare  evidente che questa condizione  sottende una  reciproca diffidenza, con il risultato che le due realtà  pensano di appartenere a luoghi diversi  mentre in realtà sono obbligate a convivere. Se lo vogliamo i confini fra pubblico e privato non sono così nitidi e invalicabili. Un’ impresa non è anche un bene  pubblico? Vero che la sua proprietà è privata ma gli interessi che persegue sono anche pubblici. Qui sta il conflitto irrisolto, presente anche in altri settori, fra pubblico e privato

Si  tratta di chiarire che per entrambi deve sottendere le loro azioni la “responsabilità sociale”, che non  deve costituire  una necessità ma una vera e propria convinzione. Sulla  base del fatto che la sanità è un bene pubblico, un bene comune, che si deve attivare  attraverso anche  la convinzione che ciò che  si va a tutelare è anche il proprio bene.   

Un primo motivo di avvicinamento potrebbe consistere nel rilevare, come è stato affermato nel il manifesto dei medici italiani sottoscritto da tutte le componenti mediche riunite dalla FNOMCeO, che, ormai, è stato dimostrato il profondo disagio a cui la professione medica da tempo è costretta, umano e professionale anzitutto.

Nel documento viene sottolineato che il mondo medico nel privato e nel pubblico debba avere garanzie concrete, di riconoscimenti, dotazioni qualitative, quantitative e retribuzioni per quanti effettuano prestazioni in nome o  per conto del SSN. 

Se  c’è la volontà e il desiderio di collaborare non mancherà alle parti datoriali e sindacali, in sede istituzionale Ministero e Regioni, di aprire un dialogo che  sproni nella direzione di un impegno  a condividere la loro responsabilità verso  la società.

Claudio Testuzza



10 maggio 2022
© Riproduzione riservata

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