Gentile Direttore,
è possibile immaginare una strada comune tra pubblico e privato nella sanità? E’ un interrogativo che da tanti anni si riproduce alla vista dei tanti dati che interessano il mondo sanitario. Quando si parla di sanità è fondamentale, innanzitutto, definire con attenzione i suoi contorni.
In Italia le prestazioni garantite dal sistema sanitario nazionale possono essere fornite sia dalle strutture pubbliche sia da quelle private, purché accreditate.
Per esserlo, i privati – che stipulano accordi con le regioni e le Asl competenti – devono garantire degli standard di sicurezza e di qualità. In Italia, il servizio sanitario nazionale può contare su circa 191mila posti letto per le degenze ordinarie. Il 23,3 per cento è nelle strutture private accreditate.
Secondo l’Associazione italiana ospedalità privata (Aiop), sulle 577 strutture sanitarie private da loro rappresentate, il 93 per cento è accreditato con il servizio sanitario nazionale, per un totale di 56mila posti letto che si avvalgono della professionalità di 12 mila medici, 28 mila infermieri e tecnici e 33 mila operatori di supporto.
In questi istituti sono ricoverate un milione di persone ogni anno per otto milioni di giornate di degenza. Le strutture pubbliche censite risultano pari a 1.029 per l'assistenza ospedaliera, 8.928 per l'assistenza specialistica ambulatoriale, 7.324 per l'assistenza territoriale residenziale, 3.064 per l'assistenza territoriale semiresidenziale, 5.649 per l'altra assistenza territoriale e 1.109 per l'assistenza riabilitativa.
Il personale che opera nelle ASL, nelle aziende Ospedaliere ed Universitarie, negli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici, nelle ARES ed ESTAV ammonta a 724.245 unità di cui 670.803 a tempo indeterminato, 38.568 unità con rapporto di lavoro flessibile e 14.874 personale universitario.
Esistono ragioni per cui questi due mondi debbano restare separati e spesso in conflittualità? Appare evidente che questa condizione sottende una reciproca diffidenza, con il risultato che le due realtà pensano di appartenere a luoghi diversi mentre in realtà sono obbligate a convivere. Se lo vogliamo i confini fra pubblico e privato non sono così nitidi e invalicabili. Un’ impresa non è anche un bene pubblico? Vero che la sua proprietà è privata ma gli interessi che persegue sono anche pubblici. Qui sta il conflitto irrisolto, presente anche in altri settori, fra pubblico e privato
Si tratta di chiarire che per entrambi deve sottendere le loro azioni la “responsabilità sociale”, che non deve costituire una necessità ma una vera e propria convinzione. Sulla base del fatto che la sanità è un bene pubblico, un bene comune, che si deve attivare attraverso anche la convinzione che ciò che si va a tutelare è anche il proprio bene.
Un primo motivo di avvicinamento potrebbe consistere nel rilevare, come è stato affermato nel “il manifesto dei medici italiani” sottoscritto da tutte le componenti mediche riunite dalla FNOMCeO, che, ormai, è stato dimostrato il profondo disagio a cui la professione medica da tempo è costretta, umano e professionale anzitutto.
Nel documento viene sottolineato che il mondo medico nel privato e nel pubblico debba avere garanzie concrete, di riconoscimenti, dotazioni qualitative, quantitative e retribuzioni per quanti effettuano prestazioni in nome o per conto del SSN.
Se c’è la volontà e il desiderio di collaborare non mancherà alle parti datoriali e sindacali, in sede istituzionale Ministero e Regioni, di aprire un dialogo che sproni nella direzione di un impegno a condividere la loro responsabilità verso la società.
Claudio Testuzza