Gentile Direttore,
la scorsa settimana il presidente Fnomceo Anelli durante la prima assemblea sulla “Questione medica” ha presentato uno studio dell’Istituto Piepoli che testimonia il grande momento di difficoltà dei medici italiani e la sfiducia nei confronti delle istituzioni sanitarie. Nella stessa occasione Anaao Assomed ha presentato uno studio intitolato “La Great Resignation dei medici: 21 mila in fuga in 3 anni”, altrettanto preoccupante ed allarmante.
I due studi riportano un trend già noto in periodo pre covid e che la pandemia ha accelerato, esasperando criticità di una sanità pubblica che ha cominciato ad essere sistematicamente definanziata da almeno 10 anni. Bene ha fatto la Fnomceo a porre nuovamente l’attenzione sulla questione medica. Ma la vera domanda è: vogliono le istituzioni sanitarie nazionali e regionali capire, affrontare e risolvere la questione medica e la great resignation?
Secondo uno studio della società “Visual capitalist” sull’andamento delle economie mondiali l’Italia uscirà dalla classifica delle 10 economie più ricche del mondo entro dieci anni passando dall’attuale 8°posto ad un probabile 13° posto nel 2030.
L’andamento delle economie mondiali non può essere disgiunto da una analisi della salute del nostro SSN perché talvolta si ha l’impressione che il decisore politico italiano stia definanziando la sanità pubblica italiana per poter affrontare la fase di impoverimento economico dei prossimi decenni che avrà ripercussioni anche sul nostro sistema previdenziale.
A questo dato va aggiunta la particolare sensibilità di molti decisori politici, specialmente regionali, alle istanze della sanità privata. I cosiddetti Giorgetti Boy’s (dal ministro che nel 2019 dichiarò che la medicina di famiglia era un mondo finito) - sono politicamente trasversali e sono presenti in parlamento, nei consigli regionali, tra i dirigenti degli assessorati alla salute e nelle aziende sanitarie. E non mi riferisco soltanto agli assessori regionali Moratti e Donini.
I Giorgetti Boy’s sono coloro i quali con l’appoggio politico di gruppi imprenditoriali ed editoriali con interessi nella sanità privata si occupano di spostare il baricentro della sanità italiana dal pubblico al privato mediante forme di depotenziamento e impoverimento del SSN.
Per ottenere ciò si rende la professione sanitaria all’interno del pubblico sempre meno attrattiva attraverso carenza di personale, carichi di lavoro insostenibili, burocrazia assassina, stipendi bassi, aggressioni medico-legali, carenze formative pre e post laurea, scarsa gratificazione personale, perdita di autorevolezza sociale e, nel caso del medico di famiglia, anche delegittimazione culturale mediante l’uso sistematico della manipolazione della realtà. La caccia alle streghe al medico di famiglia pubblico, per la sua sistematicità e scientificità, risponde del resto ad un modello tipico già descritto nel 1982 da Renè Girard nel suo “Il capo espiatorio” e non la vede solo chi non la vuole vedere o chi non ha interesse a vederla. Il risultato finale è una fuga dei medici nel privato e spot televisivi/online di gruppi assicurativi che, intuendo la grande prateria davanti a sè, offrono prestazioni sanitarie in cambio di un abbonamento annuale.
Il rischio è di arrivare entro pochi anni ad un punto di rottura tale da giustificare agli occhi dell’opinione pubblica italiana una lenta ma sostanziale riforma del sistema sanitario, nel 1978 concepito come solidaristico a copertura universale- modello Beveridge, con un sistema diverso di tipo mutualistico-modello Bismarck o interamente affidato ad assicurazioni private-modello americano. Ecco perché nessuna istituzione vuole davvero affrontare la Questione medica e fermare la Great resignation, perché sono due strumenti per legittimare davanti ai cittadini italiani una lenta ma progressivamente inevitabile riforma del SSN universale
Innanzi a questo scenario la professione medica ha a mio avviso due strade divergenti davanti a sé.
1) Riconoscere che il sistema sanitario universale è parte integrante e non sostituibile della deontologia medica italiana e quindi avviare una serie di azioni anche straordinarie per arginare la pericolosa deriva che sta assumendo il SSN a costo di una aspra e non necessariamente risolutiva battaglia politica con le istituzioni nazionali e regionali.
2) Rivendicare la propria autonomia rispetto alle scelte politiche in materia sanitaria e quindi non accettare più che per salvare un SSN universale ma non sufficientemente finanziato venga messa in discussione l’autorevolezza, la professionalità, il decoro, la serenità e la salute dei professionisti, accettando di fatto un nuovo modello sanitario non più universale purché venga realizzato rispettando i principi della professione e venga condiviso con i cittadini italiani con onestà e trasparenza.
Non ritengo di avere la giusta esperienza per indicare quale delle due strade sia nell’interesse della popolazione italiana. Ritengo però di affermare che l’epoca delle mezze misure, delle procrastinazioni, del mitigare, è finita e siamo già entrati nell’epoca in cui ogni azione commessa od omessa causa delle conseguenze.
Roberto Bellacicco