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Infermieri militari/5. La resistenza al cambiamento fa male soprattutto al malato

di Francesco Falli

09 AGO - Gentile Direttore,
nel leggere la risposta del Dott. Vergallo alle osservazioni del collega EB sulle forti contraddizioni presenti nel mondo della Sanità militare intorno alla figura dell'Infermiere, mi sento in dovere di aggiungere un contributo che si aggancia proprio alla ultima, emblematica frase del Presidente AAROI lombardo.
E' vero: c'è un enorme problema culturale.
 
Ma personalmente lo colloco nel campo di molti laureati in Medicina e Chirurgia, e non nel settore del Ministero della Salute, o nel nostro, e voglio offrire sul tema non pareri o polemiche, ma evidenze anche scientifiche, cosa che forse il Dott. Vergallo ritiene di poter gestire in esclusiva.
Un solo inciso sul riferimento alla Storia recente: è verissimo che i caporali ''assurti al comando abbiano dato evidente prova di sè'': non si può che esser d'accordo. Ma amaramente osservo che meglio non fecero i Generali in Servizio Permanente Effettivo, se ci riferiamo al nostro Paese...
 
Ragioniamo invece su quanto incide, nel mondo militare e naturalmente ancor più in quello civile, il rapporto che intercorre tra i ''professionisti sanitari'' e la sua ricaduta sull'organizzazione, e dunque sui malati.
Iniziamo dalla cultura della sicurezza, spesso non degna di un Paese che si ritiene civile. In Italia si trovano molte pizzerie e ristoranti (o noleggiatori di sci!) che svolgono le procedure di ordinazione con lettori a codice a barre, per evitare errori: mentre nelle corsie la prescrizione della terapia avviene in moltissimi casi a voce (anche quando non c'è urgenza) e questo per difetto del Medico che non vuol scrivere, e impone spesso all'Infermiere il suo ''dettato'' (che sbaglia tanto quanto il signor dottore, in questo caso, ad accettarlo), in barba alla raccomandazione n° 12 del Ministero della Salute di due anni fa. E poi abbiamo i morti per scambio di farmaco, sangue, latte in vena: chissà perchè!
 
E' solo un esempio fra i tanti: io che mi occupo di questi aspetti incontro spesso Medici illuminati che, quando capiscono i rischi legati alla procedura sbagliata, cercano di divulgare le pratiche sicure (un esempio è il progetto toscano sulla scheda di terapia unica) ma trovo anche altrettanti laureati in Medicina sostenitori della ''cultura del si è sempre fatto così, perchè cambiare, e perchè proprio io, che sono il Medico?''
Cultura modesta è non capire che il più grande chirurgo all'avanguardia, se opera in un contesto dove la corsia di degenza è gestita male, con scarsità di personale qualificato, ha una elevata mortalità: come documenta lo studio californiano (Università di Los Angeles) di J.Needleman che colloca nel 2% in più il rischio di morte per quei pazienti operati ed assistiti da personale sanitario infermieristico ''non all'altezza''...
Per parafrasare il filosofo Vattimo, un pensiero debole è pensare che l'organizzazione in una struttura sanitaria sia di competenza del ''primario'', quando è dimostrato che se lo lasciamo operare, visitare i malati, ricercare nuove terapie, sarà meglio per tutti, mentre la gestione del personale deve essere lasciata a chi riveste lo stesso profilo e conosce le probelmatiche tipiche di quella professione: non ci vuole Adriano Olivetti per capirlo!
 
Io non rivendico la mia autonomia, l'autonomia della mia professione, per fare una diagnosi medica o dimettere un malato: questo compete al Medico. Rivendico quella autonomia che nei Paesi evoluti permette all'Infermiere esperto di spedire subito dallo specialista il malato che si presenta al pronto soccorso con un occhio lesionato: in Toscana ed in Emilia, dove si stanno sperimentando questi percorsi (detti ''fast track'') i Medici oscurantisti, allineati col Dott. Vergallo, (cfr. ricorso Dr. Pizza, presidente ODM Bologna) provano a bloccare tutto per lasciare il malato ore e ore al pronto soccorso, in attesa che un Medico, sommerso da visite e casi gravi, scarabocchi la richiesta di consulenza!
E poi ci lamentiamo dei pronto soccorsi intasati!
Ma l'Infermiere non fa diagnosi (causa del ricorso, respinto!), bensì effettua la valutazione di un bisogno del malato, cosa che nel 2012 dovrebbe riuscirci bene!
 
Direttore, io non sono di quelli che pretendono di esser chiamati ''dottore'': pure, la norma che istituisce i corsi di Laurea triennale permette al laureato di esser chiamato così: ma non è questo il punto; è inesatta anche l'osservazione sul ''pubblico ufficiale'': sono consulente tecnico d'ufficio ed in alcune sentenze l'Infermiere, limitatamente a determinate attività (quando effettua stesura di documentazione, attribuzione di codici di gravità al triage) è ritenuto tale dal Giudice...
Non aggiungo altro, ma molto altro potrei dire: la resistenza al cambiamento fa male a tutti e per primo danneggia il malato, perchè il clima che si respira è teso e ciò è dovuto, in questo caso, a chi si arrocca su posizioni datatissime.
Se poi vogliamo allargare lo sguardo all'estero, penso di poter parlare a ragion veduta dopo tre esperienze di cooperazione internazionale.
Nel 1988 una collega canadese, con me in Egitto, rientrò perchè chiamata a coordinare e gestire il corrispetivo del ''118'' della sua città, mentre noi avevamo il mansionario e le ambulanze coi volontari...alle mie domande sulla loro organizzazione ''stellare'', mi disse cose ancora oggi da noi non raggiunte.
 
Se non ci siamo arrivati, e su questo rimarco la totale condivisione con il Presidente AAROI, è una questione di cultura: che è retrograda non solo nel campo dei Medici: lo è nel nostro, la si avverte su certe posizioni sindacali (pericolosamente ritornano le proposte di ''sanare'' certi gruppi di operatori di supporto), su opportunità spesso non raccolte da Ordini e Collegi, perfino nel campo delle associazioni di tutela del cittadino che, non di rado, non comprendono il bisogno di sostenere un nuovo possibile ruolo dei 400mila Infermieri d'Italia, quelli militari inclusi, così lontani dai colleghi stranieri che non solo possono diventare generali, ma che operano in contesti estremamente rispettosi del loro ruolo.
E grazie per la consueta, grande attenzione ai problemi dell'assistenza.
 
Francesco Falli
Presidente Collegio IPASVI la Spezia
Segretario Coordinamento Ligure Collegi IPASVI

 

09 agosto 2012
© Riproduzione riservata

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