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Sanità territoriale, non c’è bisogno di “fare di più” ma di “fare meglio”

di Marco Magri

11 APR - Gentile Direttore,
il dibattito sulla sanità territoriale nasce dalla oggettiva importanza di analizzare le nuove normative, ma a volte si alimenta di preconcetti, spesso motivati dalla ricerca di giustificazioni per posizioni prese nel passato. Penso che oggi sia necessario guardare avanti cercando di intraprendere un percorso difficile ma più utile: quello della concretezza e della realtà. Due ingredienti che, fortunatamente, nella nostra regione non mancano. La Sanità in Lombardia in breve tempo ha subito diversi cambiamenti, durati troppo poco per comprenderne appieno la validità.

Non è possibile né utile ripartire ogni volta da capo, senza analizzare cosa non ha e cosa ha funzionato. Forse in questo, il documento prodotto da AGENAS (2020) poteva essere più valorizzato.

Partendo dai bisogni la lista è lunga: i tempi di attesa per le prestazioni, la carenza di medici e di personale sanitario, le troppe incombenze burocratiche, la competizione tra un privato (ricco di risorse economiche e non solo) ed un pubblico spesso in difficoltà, la criticità nelle soluzioni informatiche (più che un aiuto spesso fonte di complicazione), il poco dialogo tra ospedale e territorio, la difficoltà di interagire con un paziente sempre più informato. Tutti elementi che hanno tra le loro cause un fattore comune: la mancanza di “organizzazione”.

Nella pandemia gli ospedali hanno sostanzialmente retto anche perché erano organizzati. I medici di famiglia sono stati investiti da questo tsunami senza avere alcun supporto.

Pur tra mille divisioni e problemi aperti (come il ricambio generazionale), oggi la Medicina di famiglia ha bisogno più che mai di “organizzazione” per poter funzionare e dare risposte chiare e soprattutto utili ai propri pazienti. L’implementazione delle AFT e delle UCCP necessiterà di un importante supporto organizzativo strutturato, in modo che il medico possa concentrarsi sulla cura della salute sgravandolo di tutto quello che c’è attorno.

Solo con una struttura organizzativa si possono utilizzare le tecnologie oggi disponibili (per es telemedicina). Ed è possibile far questo da subito, se ci fossero standard operativi e tariffe chiare.

Solo organizzandosi la Medicina Generale è in grado di relazionarsi con gli altri attori: da una parte le ASST, a cui i medici faranno riferimento, e dall'altra i sindaci, che con la recente pandemia sono diventati importanti player della salute.

Una componente organizzativa sarà utile anche per le Case di comunità, specialmente se queste diventeranno una “opportunità” per ripensare insieme ad altri attori (specialisti, infermiere di comunità, assistente sociale, volontariato) la sanità non solo come un “problema edilizio” o la riconversione di strutture già esistenti.

Il sistema lombardo ha affrontato per primo in Italia, con proposte concrete, il tema della gestione dei pazienti cronici.

Forte di esperienze precedenti (CreG), con la Presa in carico (PIC) la Medicina generale, dove ha saputo lavorare al meglio (purtroppo non in tutta la Regione), è riuscita a fornire attraverso le Società di servizi da loro create (cooperative) una risposta concreta ai cittadini lombardi. Questo non lo dice solo AGENAS nel documento prima citato. Una conferma la troviamo, tra le altre cose, nelle centinaia di migliaia di pazienti vaccinati o seguiti a domicilio durante l'emergenza dal proprio medico di medicina generale (indipendentemente se fosse socio o non socio di una Società di servizi), dove questo ha usufruito comunque di una struttura organizzativa di supporto.

Una prova, validata sul campo, che dove c'è una forma organizzativa forte, il Medico di Medicina Generale è in grado di dare un contributo importante non solo sulla cronicità.
Questo non significa che non sia necessario confrontarsi per individuare elementi di miglioramento. Avere regole più chiare e trasparenti è quello che le Società di servizi chiedono da tempo. La Commissione regionale già istituita per migliorare la Presa in carico, frenata dalla pandemia, potrebbe essere già da subito uno strumento utile per traghettare il percorso fatto sulla cronicità nel sistema delle Case della comunità.

E ovvio che per “organizzare” (con tutte le sue declinazioni) c'è la necessità di “saper organizzare”, vale a dire competenze e formazione: due ingredienti irrinunciabili.

Ricordando che non c’è bisogno di “fare di più” ma “fare meglio”, sarà fondamentale anche una buona dose di “coraggio” per uscire dai soliti binari, facili ma anche scontati.
Il PNRR, con tutti le normative che a cascata ha generato, ha aperto un'opportunità ma non ci ha dato delle soluzioni preconfezionate.

Il successo può nascere dalla capacità di fare sistema per individuare “dal basso” modelli e soluzioni (best pratice) e “dall'alto” selezionare le pratiche migliori, favorirle e farle conoscere.

Solo così si riuscirà a valorizzare le tipicità del sistema lombardo, che prima di essere di tipo economico sono di tipo organizzativo, imprenditoriale ma soprattutto creativo.

Dr. Marco Magri
Medico


11 aprile 2022
© Riproduzione riservata

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