Contratto del comparto. Incrementi economici, ma impianto ancora confuso ed irto
di Mauro Carboni
08 FEB -
Gentile Direttore,
proseguendo
la disamina sul CCNL comparto sanità, il 4 febbraio u.s. sono emerse alcune novità interessanti circa la trattativa. Le prime riguardano gli aspetti economici che, a quanto pare, hanno subito una variazione in senso positivo, anche se, a mio avviso, insufficiente ad accompagnare un reale riordino delle carriere dei professionisti sanitari non medici. Tra le altre novità quella più significativa è relativa al sistema degli incarichi. Sembra ci sia un’apertura rispetto alla possibilità di attribuire un incarico professionale al personale inserito nell’area dei professionisti della salute e dei funzionari.
La revisione del sistema degli incarichi vuole riprendere, in qualche modo, il percorso sancito dalla tornata contrattuale precedente, ma rimasto mutilato proprio nella parte relativa agli incarichi di esperto e specialista.
Resta da vedere come evolverà la disciplina degli incarichi di funzione organizzativa che, nel contratto attuale includono anche le funzioni di coordinamento. Per queste ultime la legge 43/2006 prescrive la sola obbligatorietà del master in management per le funzioni di coordinamento mentre nella bozza di contratto ancora resiste l’obbligatorietà della laurea magistrale.
Da più parti sembra ci sia una corsa a rivendicare la paternità delle istanze che hanno portato a tali modifiche, ma silenzio assoluto circa la condizione discriminante in cui i professionisti sanitari si troveranno ad operare dopo che il contratto sarà sottoscritto.
Come sempre quando si parla di professioni sanitarie non mediche sembra immergersi in un mare di preconcetti. Tra le tante voci che corrono a rivendicare questi “aggiustamenti” nella trattativa, non se ne ode una che reclami una maggiore attenzione alla scelta di requisiti adeguati e coerenti con lo sviluppo di una “carriera” (senza trappole) per professionisti sanitari.
La laurea magistrale continua ad essere requisito imprescindibile per accedere agli incarichi di funzione organizzativa e all’area di elevata qualificazione. Naturalmente pur trattandosi di incarichi e aree di un comparto non dirigenziale.
Come se non bastasse per accedere all’elevata qualificazione ancora restano saldi i 5 anni di esperienza in incarichi di responsabilità di tipo gestionale o professionale, cosa non prevista per l’accesso alla dirigenza delle professioni sanitarie.
Considerato che biologi, farmacisti, psicologi e, naturalmente, anche i dirigenti delle professioni sanitarie non mediche, tutti possessori di laurea magistrale, sono incardinati nella dirigenza sanitaria-professionale-tecnica-amministrativa, nessuno sembra chiedersi come mai, per lo meno alcuni di questi professionisti, non siano presenti nel sistema di classificazione del comparto sanità? La laurea magistrale degli infermieri, dei fisioterapisti e dei tecnici è di serie B e quella degli altri di serie A? Sono sicuro di no e le domande sono volutamente provocatorie.
Oggi i professionisti sanitari che operano nel comparto sanità, proprio in virtù del loro percorso accademico che, in molti casi, include anche la laurea magistrale, ambiscono ad una carriera reale che sia correlata al loro livello di professionalità. E’ per questo che vedersi costretti in un “insieme”ormai inadatto con un titolo accademico che agli altri apre le porte della dirigenza, non fa percepire né equità, né giustizia organizzativa, né coerenza contrattuale.
Un commento a parte merita la fotografia di partenza del nuovo ordinamento. Non inquadrare, in fase iniziale, nessun professionista nell’area di elevata qualificazione è come pensare ad un’organizzazione che non esiste. Un corretto approccio epistemiologico all’introduzione di nuove norme, anche ordinamentali quindi, presuppone che tali norme vadano a sanare e/o disciplinare qualcosa che è già esistente. Diversamente le stesse norme potrebbero rimanere disapplicate anche per anni oltre che palesarsi, in tutto o in parte, inadeguate al contesto.
E’ come dire che oggi all’interno delle aziende sanitarie italiane, nessun professionista sanitario, magari anche dotato di laurea magistrale, svolga un lavoro che ricomprenda le funzioni previste in tale area contrattuale. Come ho già avuto modo di dire, la declaratoria dell’elevata qualificazione è, senza ombra di dubbio, aderente al profilo professionale di ciascun professionista sanitario, come può non esserlo per coloro che ricoprono funzioni di rilievo dal punto di vista organizzativo o gestionale?
Prescindendo dagli incrementi economici l’impianto contrattuale appare ancora confuso ed irto, a danno di un vero sviluppo di carriera per i professionisti sanitari non medici. E’come si volesse modificare i connotati fisici di una persona per farle indossare un abito che presenta difetti. La soluzione, per lo meno in chiave evolutiva, potrà esserci solo avendo il coraggio di incardinare questi professionisti in un’area contrattuale specifica ad essi riservata, in modo analogo a quanto accade per gli altri professionisti.
Mauro Carboni
Esperto di diritto contrattuale
08 febbraio 2022
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