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Coronavirus. Senza farmaci le drastiche misure di restrizione sono un elemento decisivo

06 MAR - Gentile Direttore,
la capitale importanza dei comportamenti individuali di riduzione dei contatti personali e delle drastiche misure di restrizione delle manifestazioni pubbliche da parte dei competenti organi istituzionali è sostenuta da alcuni dati epidemiologici che non sono ancora chiaramente emersi nel ridondante dibattito in corso sulla infezione da Covid-19 o nuovo coronavirus.
 
Contrariamente infatti a quanto affermato, purtroppo anche da “addetti ai lavori” (addirittura virologi intervistati in talk show assai frequentati) la malattia da nuovo coronavirus non è “poco più che un’influenza stagionale”, ma è una malattia molto più seria in una significativa percentuale dei casi sia per la gravità del decorso “normale”, dovuta al fatto che il virus colpisce selettivamente il tessuto polmonare, sia per i suoi esiti, in particolare per il tasso di mortalità di gran lunga più elevato nella malattia da nuovo coronavirus rispetto a quello dell’influenza stagionale.
 
Dai dati dell’Istituto Superiore di Sanità risulta infatti che in Italia nella stagione 2018-2019 i deceduti per influenza stagionale su circa otto milioni di persone colpite sono stati circa ottomila, pari all’uno per mille circa, mentre dai dati, non definitivi, finora raccolti risulterebbe che il tasso di mortalità da nuovo coronavirus è intorno al 3,4% in Italia, e intorno al 2-3% nel mondo, pari almeno al venti-trenta per mille dei colpiti, cioè un tasso di mortalità venti-trenta volte superiore rispetto al tasso di mortalità per influenza stagionale. Ciò significa che se la diffusione del contagio non dovesse essere contenuta, il numero dei deceduti potrebbe raggiungere dimensioni drammatiche, cioè circa 20.000-30.000 morti per milione di persone eventualmente colpite dal virus. Inoltre la necessità di assistere in ospedali adeguatamente attrezzati almeno un 5% di malati gravi metterebbe in grave crisi il nostro sistema sanitario.
 
Tutto ciò non deve però spaventare, purché si tenga ben presente che in mancanza di un vaccino e di un farmaco antivirale specifici ed efficaci, un elemento decisivo per ridurre questi drammatici esiti sarà rappresentato dalle drastiche misure di restrizione delle manifestazioni pubbliche da parte dei competenti organi istituzionali e soprattutto da una adeguata, severa modificazione dei comportamenti individuali, compresa una significativa riduzione dei contatti-contagi interpersonali non essenziali da parte dei cittadini. Ciò potrà avvenire soltanto se ciascuno si comporterà con il più grande senso di responsabilità, con il dovuto rigore e con la necessaria coerenza rispetto alle premesse.
 
Possiamo quindi affermare che l’infezione da nuovo coronavirus sarà “poco più che un’influenza stagionale” soltanto se riusciremo a limitare, grazie ai nostri comportamenti, a poche centinaia di migliaia di persone, non più di 400.000, il numero dei colpiti dal virus e quindi a limitare a non più di ottomila (cioè il 2% dei colpiti, un numero pari a quello dei deceduti per influenza stagionale nella stagione 2018-2019) il numero dei deceduti per coronavirus. Il vero rischio è che i decessi siano molti di più e comunque non è senza ragione prevedere che il nuovo “stile di vita” debba durare fino a quando non avremo a disposizione un efficace vaccino.

Si tratta ora di soffocare sul nascere nel nostro Paese la vocazione epidemica di una malattia infettiva grave quale la infezione da nuovo coronavirus e bloccarla sull’attuale andamento che si può considerare ancora endemico. Nulla infatti è più sbagliato nella attuale fase epidemiologica, caratterizzata dalla presenza di singoli casi o di uno o più focolai nei vari Paesi del mondo, che parlare di epidemia o addirittura di pandemia in atto, come, ancora, è stato più volte affermato dai soliti “esperti” nel corso dei già citati talk show.
 
Dovrebbe essere ben noto che la parola pandemia indica infatti una “epidemia diffusa in intere nazioni e continenti” (Aldo Gabrielli, Vocabolario della lingua italiana) e in medicina definisce clinicamente ed epidemiologicamente la diffusione per contagio di una malattia infettiva a milioni di persone in ciascun Paese, come succede ancora per l’influenza. Ma soprattutto la parola pandemia evoca veri e propri flagelli di Dio come la peste, il colera e la stessa spagnola dei tempi nei quali non si disponeva di conoscenze né, tanto meno, di strumenti in grado di arginare, sia pure minimamente, la diffusione del contagio.

Personalmente sono convinto che le drastiche misure restrittive già adottate e quelle che via via si renderanno necessarie, limiteranno, interrompendo in più punti la catena di trasmissione del contagio, la diffusione del virus e quindi ridurranno altrettanto drasticamente la malattia e le sue nefaste conseguenze.

Se tutto ciò avverrà sarà stato già un grosso successo, ma non potrà non avere un esorbitante costo economico che, tutto sommato, converrà pagare.
 
Girolamo Digilio
Già Primario e Docente di Clinica Pediatrica, Università La Sapienza, Roma


06 marzo 2020
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