Stati generali Fnomceo, il secondo convegno nazionale. Anelli: “Non più medici dell’apparato, ma medici del cittadino”
Un cambio di passo fondamentale per “garantire il diritto costituzionale alla salute e quella rivoluzione etica, morale e civile di cui sentiamo il bisogno”. Questo il messaggio del presidente Fnomceo alla chiusura della seconda tappa del percorso di confronto per ridefinire la professione medica. Prossimo appuntamento in autunno con un incontro aperto alle associazioni dei pazienti e, il 20 settembre, udienza a San Pietro con Papa Francesco
05 LUG - “Siamo una professione viva, ricca di competenze e di valori. Il grande testimone che dobbiamo passare alle generali future è la capacità di candidarsi a cambiare la nostra società. Dobbiamo compiere quel cambio di passo dall’essere medici dell’apparato all’essere medici del cittadino, per garantire il diritto costituzionale alla salute e quella rivoluzione etica, morale e civile di cui sentiamo il bisogno”. Così il presidente della Fnomceo,
Filippo Anelli, ha chiuso stamani a Roma i lavori della seconda tappa del percorso di confronto per ridefinire la professione medica. Prossimo appuntamento, sempre a Roma, il 18, 19 e 20 settembre con un incontro aperto alle associazioni di malati “per fare con loro ragionamento sul Ssn e sul rapporto medico-paziente”. Il 19 settembre si svolgerà il Consiglio nazionale sul tema esclusivo degli Stati generali, mentre il 20 settembre i medici saranno ricevuti in udienza da
Papa Francesco. In programma anche un seminario sul suicidio assistito da organizzare con le altre professioni sanitarie.
Intanto, i lavori di questo secondo incontro per ridefinire la professione medica si sono snodati attraverso cinque tematiche, sviluppate da altrettanti gruppi di lavoro (“La relazione di cura”; “Dialogo e linguaggio”, “Consenso informato”, “Clinica e cultura”, “Il medico e la tecnologia”) e poi aperti alla discussione dell’assemblea dei medici e degli esperti chiamati al confronto: oltre a
Ivan Cavicchi, filosofo della Medicina e autore delle
“Cento tesi” che danno il “la” al dibattito degli Stati Generali, al tavolo c’erano
Antonio Gaudioso, segretario generale Cittadinanzattiva;
Pierantonio Muzzetto, coordinatore della Consulta Deontologica della Fnomceo;
Cesare Fassari, direttore di
Quotidiano Sanità; moderati da
Maurizio Grossi, presidente Omceo Rimini.
Anelli ha evidenziato come la formazione sia un tema che ricorrente nel dibattito, dove entra in gioco “il rapporto con l’Università ma anche la necessità di definire, da parte nostra, quale tipo di medico vorremmo e, di conseguenza, quali sono i presupposti formativi che portano a tale modello”.
Per il presidente Fnomceo “il richiamo alla logica e agli aspetti umani ripropongono un modello che non si rinchiude nella questione delle evidenze ma che si apre, invece, a un modo di esser medico completamente diverso”. Un modo in cui il linguaggio riveste un ruolo chiave: “Lo stiamo usando anche per contrastare le aggressioni. La
Fad che abbiamo lanciato è la chiara dimostrazione di come il linguaggio utilizzato dal paziente possa essere prodromico di certi atteggiamenti, che possiamo imparare a riconoscere”.
Prendendo la parola, Ivan Cavicchi ha voluto ricordare cosa sia la “questione medica”. “Il medico, per tante ragioni, sta diventando un non-medico. Il nostro obiettivo è ridefinire il medico”. Questo non significa fare tabula rasa del passato, “ma le cose che non funzionano più vanno eliminate e quelle che si rendono importanti vanno inserite”. Non si tratta tanto di sostituire, piuttosto di completare. “Il modo di essere del medico va reso più complesso”, ha chiarito Cavicchi. Anche perché, “se è vero che se bisogna guardare al malato, è anche vero che la malattia non smette di esistere. Malato e malattia vanno unite sotto lo stesso sguardo”.
In questo percorso, che vede nella relazione medico e paziente una componente fondamentale, Cavicchi ritiene fondamentale distinguere tra comunicazione e informazione. “Comunicare è trasmettere un messaggio, informare significa interpretarlo, comprenderlo e farlo comprendere”. Al linguaggio scientifico, da sempre patrimonio del medico, va affiancato dunque un altro linguaggio, quello che Cavicchi ha definito “filosofico”, dove rientrano temi come il consenso informato, la deontologia, la relazione. Perché la medicina “è molto più della sola scienza”.
Cavicchi ha quindi richiamato alla teoria degli atti linguistici, “in cui si considerano i termini come azioni, cioè si usa il linguaggio per innescare comportamenti. Questa è una teoria che dobbiamo fare nostra e che deve far parte della formazione universitaria di ogni futuro medico”.
L’autore delle “Cento tesi” ha chiuso la riflessione affermando che, se non si intraprende questo percorso, “continueremo ad andare in tribunale, continueremo ad essere amministrati”. C’è allora una scelta da compiere. Perché “oggi nelle università c’è nozionismo, non complessità”. E non sempre basta “aggiungere, aggiornare, adattare. A volte c’è bisogno di cambiare. Di rendere il modo di essere del medico più complesso””.
Per Maurizio Grossi, presidente Omceo Rimini, c’è sicuramente la “necessità” di istituire corsi di apprendimento del linguaggio per medici a livello universitario, “ma non dovrebbero far parlare i medici tutti allo stesso modo, facendoli diventare monotoni e prevedibili. Questo potrebbe addirittura essere controproducente alla relazione con il paziente”.
A rappresentare i pazienti, agli Stati Generali della Fnomceo, c’era Antonio Gaudosio, segretario generale Cittadinanzattiva. “A un certo punto, in passato, si è iniziato a pensare che giuridicizzare e coinvolgere gli avvocati rappresentasse un aumento della tutela per i cittadini, ma non è sempre vero – ha osservato -. Così come le tecnologie non devono mai sostituirsi al medico, ma essere utili al medico”. E proprio riguardo all’innovazione, alle nuove tecnologie, ai nuovi farmaci, Gaudioso ha fatto notare come “miglioreranno la salute, ma aumenteranno i dilemmi etici e complicheranno la relazione. E temo che allo stato attuale non si abbiano gli strumenti per affrontare queste difficoltà”.
Per il segretario di Cittadinanzattiva il rapporto medico-paziente, insomma, “non può essere un rapporto difensivo”. In questo ambito il consenso informato non può essere un atto burocratico: “E’ parte dell’atto medico, va scritto insieme”.
Per Pierantonio Muzzetto, coordinatore della Consulta Deontologica della Fnomceo un rapporto “non solo collaborativo ma anche colloquiale”, può contribuire ad arginare il fenomeno del contenzioso. Ciò che dice il paziente, per Muzzetto, “non va mai sottovalutato ma va ascoltato, interpretato, investigato, perché i termini possono non essere chiari ma va compreso cosa vogliano significare”.
Nel rapporto medico-paziente, per il coordinatore della Consulta Deontologica della Fnomceo, “con Cittadinanzattiva un passo importante su questa strada è già stata compiuta ma io credo che oggi, oltre all’alleanza medico-paziente, vada rivalutata anche l’alleanza medico-medico”. Un dialogo e un confronto che non deve fermare la possibilità di esprimere “posizioni critiche”, ma che nell’esprimersi devono tenere conto della “rilevanza etica e deontologica”. In questo contesto Muzzetto ha evidenziato la necessità di intervenire per un uso responsabile dei social soprattutto da parte dei giovani medici, più avvezzi al mezzo.
Spunti di riflessioni sul dibattito e sulle relazioni dei Gruppi di lavoro sono arrivati infine da
Cesare Fassari, che ha avuto apprezzamento per il positivo rapporto di collaborazione costruito negli anni tra i medici e Cittadinanzattiva, partito sicuramente da posizioni molto divergenti, ma ha anche evidenziato come “le cose che si istituzionalizzano rischiano di perdere quella capacità di critica e dibattito delle problematiche che nello stato di conflitto, invece, esiste e rappresenta la forza motrice del cambiamento”.
Fassari ha poi sollecitato la Fnomceo a una rivendicazione forte sui tempi della comunicazione come atto medico. Ha portato l’esempio del consenso informato: “Se non si vuole svuotare di valore, il consenso informato deve essere parte della relazione e la firma del paziente in fondo a quel foglio non deve limitarsi ad essere un fatto burocratico. La firma è la legittimazione di un confronto, anche lungo e complicato, che il paziente ha avuto con il medico”.
Lucia Conti
05 luglio 2019
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