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Ecco perché mi candido con Zingaretti, anche se non sempre ho condiviso le sue scelte sulla sanità

14 FEB - Gentile Direttore,
sono stato spesso ospite del tuo giornale e ora, prima del 4 marzo, vorrei sfruttare questo piccolo spazio per condividere con te e i tuoi lettori, in sintesi, le ragioni della mia candidatura al Consiglio Regionale del Lazio (Lista civica per Zingaretti Presidente). Chi mi conosce sa che non sempre ho condiviso le scelte operate in sanità dalla amministrazione uscente. Mi corre quindi l’obbligo di chiarire.

Sono stati cinque anni molto difficili all’interno di un durissimo piano di rientro, conseguente al tracollo finanziario ereditato dalle amministrazioni precedenti, con grandi spazi di inadeguatezza dell’offerta e disparità nella assistenza sanitaria pubblica.  

Poche sono state le strutture che hanno resistito alle restrizioni, e ancora meno sono state quelle che hanno incrementato i servizi offerti e i relativi finanziamenti (prevalentemente private…).

Purtroppo le strutture pubbliche hanno dovuto sopportare pesanti colpi di scure sugli organici per il blocco del turn over imposto dal MEF, drammatica anche la riduzione draconiana dei posti letto in ossequio ad una logica lineare e poco aderente ai reali bisogni (stabilendo il tetto a 19,5  letti per struttura complessa erga omnes, secondo un preciso rapporto matematico popolazione/posti letto spesso inadeguato) con  l’intento di rendere apparentemente omogeneo ciò che non può esserlo e con conseguenti inevitabili effetti devastanti in termini di recettività, fino quasi al limite del cedimento dell’intera rete di assistenza.

Non sfugge a nessuno la situazione critica delle strutture di pronto soccorso ovunque siano.

Altrettanto noto il problema dei numerosissimi operatori precari, arruolati nel tempo nel disperato tentativo di cercare di garantire livelli appena accettabili di assistenza ricorrendo a questo artifizio burocratico-amministrativo per aggirare il blocco.

È opinione di alcuni che tutta questa situazione sia stata “voluta” dal presidente Zingaretti al fine di privatizzare l’assistenza e consegnarla alla ospedalità privata convenzionata o religiosa. Io non concordo con questa interpretazione, ritengo di dover rammentare che il tutto si è reso inevitabile per la scarsa disponibilità finanziaria, determinando un meccanismo che ha costretto le strutture pubbliche a ridurre l’offerta e a lavorare in sofferenza organizzativa, in favore dei privati (convenzionati e classificati) che, disponendo di fondi propri e non legati alle regole del mercato del lavoro pubblico, hanno potuto investire ed espandere l’offerta, realizzando ulteriori introiti, nonostante i tetti di budget imposti dalla Regione.

Non può non essere riconosciuto lo sforzo di intervento organizzativo a costo zero o su quei pochi fondi disponibili, con la realizzazione di strutture ausiliarie come le Case della Salute, lo stimolo all’aggregazione dei medici di famiglia, la riprogrammazione delle reti di assistenza, anche se ancora da completare, o l’apertura sofferta di nuovi reparti in alcune aziende con qualche pur timido investimento.

Non sempre le scelte sul management aziendale sono state azzeccate e i diversi sub-commissari governativi succedutisi nel tempo spesso non sono stati in grado di comprendere e interpretare la complessità strutturale del Lazio, che vanta ben cinque atenei, fra pubblici e privati, e una imponente offerta di sanità privata, libera, convenzionata e classificata.

Nonostante si sia sfiorato il collasso, tuttavia ora è già cominciata una nuova fase.

A partire dalla trasformazione progressiva dei tanti contratti precari in contratti stabili, che ancora non sana le evidenti carenze organiche, ma mette in sicurezza il futuro di molti professionisti, aprendo le speranze di una rinascita del SSR.

È vicina la chiusura del piano di rientro, si può finalmente ricominciare a investire nelle strutture pubbliche, riequilibrare l’offerta fra il pubblico e il privato, oggi sbilanciata verso il secondo, specialmente per le attività remunerative.

Si può cominciare ad assumere e ridistribuire personale per ripristinare gli organici necessari, si possono rinforzare servizi chiave nell’assistenza (Pronto Soccorso, servizi ambulatoriali, CAD, consultori, ecc.), si potranno ripristinare servizi attivi sulle 24 ore e garantire di nuovo le guardie h24 senza mortificare gli altri servizi, senza vessare il personale e senza violare le nuove regole europee sull’orario di lavoro.

Fino ad ora si è reso prioritario puntare al pareggio di bilancio e garantire la sostenibilità del sistema. È ora di ricominciare invece a pensare ai diritti dei cittadini, mai abbandonati, ma indubbiamente finiti in secondo piano.

È ora di tornare al principio ispiratore della Legge 833/78 che istituì il Servizio Sanitario Nazionale e dare la giusta enfasi alle positività della aziendalizzazione indicata dalla Legge 502/92, lasciandoci alle spalle il bieco produttivismo, l’efficientismo (non efficacia!), la iper-medicalizzazione dettata da meri fini finanziari.

È ora di rimettere al centro del sistema i bisogni degli utenti e degli operatori, di ripensare alla universalità e alla sicurezza delle cure, alla aderenza alle migliori evidenze scientifiche, ai percorsi protetti diagnostico-terapeutici, alla difesa del diritto alla autodeterminazione della donna, a ricondurre la domanda in linea con i bisogni.

È ora di razionalizzare le liste di attesa (spesso un falso problema), di riorganizzare in rete le strutture e potenziare la prevenzione secondaria, di prevenire il burnout e proteggere la sicurezza degli operatori.

È arrivata l’ora di lasciare indietro la vecchia mentalità gerarchica e conflittuale tra gli operatori, la concorrenzialità fra strutture e fra professionisti della Sanità, l’incompletezza di informazione, lo smarrimento di fronte alla burocrazia che troppo spesso allontana dal Servizio Sanitario e di favorire invece la trasmissione del sapere, l’organizzazione efficace, la multidisciplinarietà, la cultura degli standard di cura, l’informazione puntuale sugli accessi, l’accoglienza, i percorsi.

È indispensabile un nuovo Patto per la Salute Regionale, una condivisione dei cittadini, degli operatori, degli amministratori, delle istituzioni, per migliorare le condizioni, l’efficacia e l’umanità delle cure.

Ed è per questi motivi che ho scelto di accettare di candidarmi.

Non ho bisogno di nuovi stimoli né di un nuovo lavoro, ho una professione che mi piace, milito da quasi un trentennio nelle fila del Servizio Sanitario Regionale, ma penso che sia arrivato il momento di mettere la mia esperienza al servizio della Regione per contribuire a riportare la Sanità pubblica, e soprattutto la Salute, il nostro bene più prezioso, nella posizione prioritaria che meritano.

Come ben sai sono stato di recente eletto nel Consiglio dell’Ordine dei Medici di Roma e Provincia. Penso che uno dei compiti dell’Ordine (ed è il nostro intento) sia coinvolgere più colleghi medici, possibilmente esterni al Consiglio e con radicata esperienza nella assistenza, nel mondo scientifico e nella società, al fine di elaborare strategie per migliorare la qualità e l’etica della assistenza.

Come sai i primi referenti dell’Ordine sono i cittadini, ai quali l’Ordine - organo sussidiario dello Stato - garantisce, con la sua autorevolezza, etica e qualità dell’assistenza medica.

Operando all’interno del Consiglio dell’Ordine e all’interno del Consiglio Regionale si potrebbe sinergicamente contribuire alla ristrutturazione del Servizio Sanitario Regionale.  

Ed è quello che mi propongo di fare se un numero sufficiente di elettori mi darà fiducia.

Stefano Canitano
Medico Radiologo Istituto Nazionale Tumori Regina Elena IRCCS
Vice segretario Nazionale FASSID area SNR


14 febbraio 2018
© Riproduzione riservata

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