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Le sfide per una sanità romana efficiente e di qualità. Ecco perché l’accorpamento delle Asl non basta 

L'attenzione è tutta concentrata sull'annunciato accorpamento delle Asl dalle cinque attuali a 3. Ma è questa la soluzione? Certamente non lo è sul piano dei risparmi (al massimo si otterranno 500mila euro) né soprattutto sul piano dell'efficienza e dei risultati in termini di salute e organizzazione delle cure. Le cose da fare sono ben altre. E ci vuole coraggio a farle. La Regione ce l'ha?

29 OTT - La laboriosa vicenda della Sanità di Roma e del Lazio si avvia, con la fine del 2015, verso una ulteriore modifica organizzativa con la riduzione del numero delle ASL di Roma da 5 a 3. Lo scopo dichiarato è quello del risparmio: riducendo il numero delle ASL in realtà si risparmierebbero gli stipendi di tre Direttori: un Direttore Generale, un Direttore Amministrativo e un Direttore Sanitario per ogni ASL soppressa. E' invece molto improbabile che si possa ridurre altro personale amministrativo o sanitario, giacché, se sono attendibili i dati sui carichi di lavoro, nessun impiegato o dirigente potrebbe essere eliminato senza danno al già precario funzionamento del sistema. Dunque, un risparmio di 500.000,00 euro su un totale  di circa 10 miliardi di euro del bilancio complessivo della Sanità laziale!

La manovra richiede un provvedimento di legge regionale, un dibattito in Consiglio ed in Commissione, l'attenzione dei mass media, la soddisfazione epidermica e demagogica della poca parte della cittadinanza attenta o interessata a eventi di tal genere, comunque favorevole ai risparmi ed al taglio delle teste.
Ma come influirà tale iniziativa sui problemi che tutti i cittadini affrontano quotidianamente a tutela della propria salute? La risposta è certa: non influirà. Perché non diminuiranno le liste d'attesa per esami e ricoveri, perché non diminuiranno  gli affollamenti ai Pronto Soccorso, perché i ticket resteranno invariati, perché il personale sanitario quello era e quello resterà nei singoli presidi ospedalieri e del territorio, perché infine non si ridurrà l'influenza negativa della politica sulla gestione.

Vale allora la pena di ricordare che questa modifica organizzativa avviata dalla attuale Giunta Regionale è almeno la quinta da quando, nel 1979, la Riforma Sanitaria trasferì la gestione della Sanità alle Regioni secondo una logica di organizzazione territoriale più vicina ai cittadini e da essi partecipata.

Nel 1974, vigente il regime mutualistico, esponemmo in un libro la necessità di smantellare il grande Ente Ospedaliero Romano Pio Istituto di Santo Spirito e Ospedali Riuniti di Roma e di suddividere il territorio cittadino in 11  unità sociosanitarie. La proposta ebbe successo e nel 1976 la Regione, o meglio la Giunta di centrosinistra dell'epoca sciolse il Pio Istituto costituendo separati Enti Ospedalieri.

Ma la vera rivoluzione si attuò con la legge nazionale del '78 n°833 che dette vita alle Unità Sanitarie Locali. A Roma città ne furono istituite 21, comprendenti Ospedali e Territori, dirette da Comitati di Gestione con molti membri. Il numero di queste ASL risultò eccessivo e così dopo meno di 10 anni, nel 1988, fu ridotto a 12. Dopo 3 anni, siamo nel 1992, risultarono troppi anche i membri dei Comitati di Gestione che furono sostituiti da un Amministratore Straordinario. Due anni dopo, in attuazione della legge 502 del 1992, si decise per una ulteriore riduzione delle USL a 5 per la città e 3 per le provincie che vennero trasformate in ASL, non più  Unità Sanitarie Locali ma Aziende Sanitarie Locali, e con creazione di tre Aziende Ospedaliere: San Camillo, San Giovanni e San Filippo ed una Azienda Universitaria per il Policlinico Umberto I°.

Tale suddivisione è durata per venti anni sino al 2014, seppure arricchita da altre due Aziende di cui una universitaria, quella di Tor Vergata ed una mista,  quella di Sant'Andrea, più i due IRCSS, IFO e Spallanzani trasferiti con legge dello Stato alla Regione nel 2004.

Come hanno influito tutti questi cambiamenti sulla assistenza sanitaria con beneficio dei cittadini? Non hanno influito! Anzi con gli anni 2000 la situazione è peggiorata per due evidenti motivi: primo, la mancanza di fondi che ha portato ad una esasperata politica dei risparmi con riduzioni di organici e di prestazioni; secondo la centralizzazione  dell’assistenza negli Ospedali per liquefazione dell’assistenza territoriale, almeno a Roma.

Con il 2015 si è proceduto ai nuovi atti Aziendali ossia alle nuove dotazioni organiche per le ASL (Aziende territoriali comprendenti anche gli ospedali) e per le A.O.  (aziende ospedaliere e universitarie mono ospedale) ed anche per gli IRCSS .
Sono stati tagliati reparti e servizi, decapitati molti primariati o per cancellazione o per degradazione di Strutture Complesse a Strutture Semplici dipartimentali. È stata cancellata l’Azienda S. Filippo il cui Ospedale è rientrato nella ASL territoriale. È stato chiuso definitivamente il Forlanini, senza programmato destino.
Si è tentata senza successo la unificazione degli IRCCS IFO e Spallanzani senza tenere conto nè delle vocazioni specialistiche, né delle ubicazioni  e neppure della legge nazionale in materia.
Si è di fatto smantellato il CTO nella ipotesi di restituirlo all’INAIL salvaguardandone la sola vocazione ortopedica. Si vorrebbero restituire (al 31/12) alla proprietà privata Villa Betania,il Policlinico Casilino ed il Policlinico Di Liegro precedentemente ospedalizzati. Sta naufragando il tentativo di razionalizzare l’Umberto I per la ferrea opposizione della Facoltà di Medicina alla quale è anche stato consegnato l’Eastman – Ospedale odontoiatrico regionale – E anni addietro era già stato chiuso il San Giacomo e smantellato il Regina Margherita. Questi provvedimenti non hanno trovato consenso né negli operatori del Settore né nei sindacati  e neanche nella popolazione che ha  visto ulteriormente ridotta la possibilità di cura.

Forse maggior consenso avrebbe invece trovato, presso la cittadinanza, l’ipotesi, in via di consolidamento legislativo  regionale, di ridurre le ASL di Roma da cinque a tre con unificazione della RM A ed E  e della RM B e C., con sopravvivenza della ASL RM D del litorale. A ciascuna delle due nuove ASL unificate farebbero riferimento oltre un milione di utenti mentre alla ASL invariata del litorale resterebbero meno di mezzo milione di utenti. Perché questo accorpamento e affollamento dovrebbe portare un beneficio assistenziale è incomprensibile ed è invece chiaro che il beneficio economico è non significativo.

Ma la critica senza proposta è velleitaria e perciò non vorremmo cadere in questo errore: ecco allora la nostra proposta che prevederebbe non più improduttive variazioni topografiche, ma ripartizione per competenze di Ospedali e Territori.

Se si parte dalla considerazione che il sistema attuale è poco efficace più che troppo  costoso, si deve mettere mano al suo profilo assistenziale. Ci sono più elementi da esaminare.  Il primo che negli ultimi anni è cresciuta la domanda di prevenzione ossia la “medicina dei sani“ che non trovando strutture adeguate sul territorio si è riversata sugli Ospedali soffocando la medicina dei malati. Da qui le straordinarie attese ai pronto soccorso dove il numero dei codici bianchi e verdi sopravanza enormemente quello dei codici gialli e rossi dei veri malati. Al momento le soluzioni individuate attraverso la medicina di base non hanno portato sostanziali benefici. E che dire del numero infinito di richieste di ecografie, mammografie, paptest, esami  ematochimici, RMN, che afferiscono agli ospedali il cui risultato è in oltre il 90% dei casi negativo, ossia senza evidenza di patologia! Il Ministero sta mettendo in moto un meccanismo rischioso per limitare esami inutili e costosi, in parte dettati dalla cosiddetta medicina difensiva. Ma chi proteggerà i medici? E chi convincerà la popolazione dopo decenni di grancassa sulla prevenzione a limitare il proprio accesso ai presidi diagnostici?

La seconda considerazione riguarda la gestione finanziaria delle ASL. Il meccanismo di pagamento a ciclo di malattia, ossia a DRG avrebbe dovuto fornire esatti criteri di valutazione delle entrate e delle spese e costringere gli Amministratori Pubblici a prendere i conseguenti provvedimenti. In realtà ciò è valso solo per le strutture private convenzionate provocando anche attraverso l’introduzione dei tetti regionali di budget, dissesti e fallimenti per non poche di esse. Per le Aziende pubbliche invece il DRG è risultato una finzione: per gli Ospedali dei territori, ossia delle ASL, i loro deficit sono stati sommersi e sanati nel bilancio complessivo delle stesse ASL, per le Aziende Ospedaliere ha provveduto la Regione, in maniera sostanzialmente acritica, a coprire i buchi di bilancio. L’intervento del MEF (Ministero dell’Economia e Finanza) e la politica dei tagli lineari ha certamente migliorato l’assetto economico del sistema, ma ha peggiorato qualità e quantità dell’assistenza. È così ricominciata la migrazione interna da regione a regione (circa quattro milioni l’anno a livello nazionale pari a 3,5% del fondo sanitario nazionale) e quella verso l’estero, provocando inattesi ed imprevedibili problemi economici ai bilanci regionali, specie del Lazio. Nel Lazio infatti il bilancio tra migrazione attiva e passiva (tra chi va e chi viene) è nettamente in perdita: la Città Capitale non è Capitale Sanitaria del Paese,malgrado cinque Policlinici Universitari.
 
L’esame della migrazione passiva dal Lazio rivela che degli oltre 70.000 ricoveri l’anno fuori Regione, più della metà avvengono nelle regioni limitrofe Toscana , Umbria e soprattutto Abruzzo: questo dato lascia pensare che la fuga non è alla ricerca della qualità, ma della più rapida e confortevole  accoglienza. Questi numeri sono andati crescendo negli anni recenti, come anche quelli relativi a prestazioni diagnostiche quali la PET. Forse la richiesta a Roma è eccessiva o forse gli Ospedali hanno perduto in recettività o infine il territorio non ha capacità di filtro ?
Ci si lamenta  della inefficienza della medicina territoriale di base e specialistica, non senza ragione. Il ricorso all’Ospedale non solo è voluto ma è anche provocato dall’inesistenza delle strutture territoriali prive di sufficienti professionalità e di adeguata strumentazione e per contro  dal poderoso finanziamento agli Ospedali riforniti di strumentazioni nuove e sempre più sofisticate, perciò molto attraenti per l’utenza.

La nostra proposta, basata su considerazioni di tal genere, più che all’accorpamento di ASL prende in considerazione l’ipotesi, sempre vagheggiata e mai adottata a Roma, di separare sul piano della gestione la medicina del territorio da quella ospedaliera, mettendole in concorrenza più che in contrapposizione, liberando la gestione del territorio dal peso ossessivo di quella ospedaliera e viceversa.
In tal modo il territorio come erogatore della spesa, percependo dalla Regione la quota capitaria avrebbe anche funzione di controllo sull’attività ospedaliera e l’Ospedale, come prestatore d’opera non esclusivo, sarebbe stimolato a prestazioni sempre più qualificate e competitive.
Ciò è stato fatto da decenni a Milano. Perché non imitarlo a Roma? Della medicina lombarda non tutto è oro e di recente stanno venendo alla luce preoccupanti crepe, ma la gestione sanitaria della città di Milano è stata  pregevole al punto da far diventare le proprie strutture riferimento nazionale della migrazione sanitaria interna, anche dal Lazio

Nelle due mega ASL romane, frutto della aggregazione A+E e B+C, esistono le due Aziende Ospedaliere Regionali di S. Camillo e S. Giovanni. Perché non trasformare queste due aziende monoospedale in aziende multiospedale, da AO a AMO, aggregando ad esse gli altri sette ospedali pubblici della città ed i due IRCCS?
Senza la gestione diretta degli Ospedali le Aziende del territorio sarebbero portate ad attrezzarsi adeguatamente per non vedere i loro bilanci saccheggiati dalla migrazione diagnostica e  per ricoveri inutili e prestazioni di pronto soccorso verso le Aziende ospedaliere. Si creerebbe una sana competizione di mercato, si libererebbero gli Ospedali dal peso della “medicina dei sani” e si proporrebbe agli utenti sul territorio una offerta più adeguata  ai loro bisogni con razionalizzazione della spesa ed riduzione delle inefficienze e degli sprechi.

Infine una nota sulla questione della ASL del litorale oggi comprensiva soltanto di Ostia e Fiumicino.
Perché non estenderla sino ad Anzio ed a Civitavecchia creando la “ASL del mare” raggruppando  il resto della provincia nella ASL dei Colli (come a Napoli !), e affidando ad una Azienda Provinciale Ospedaliera la gestione dei tanti piccoli Ospedali disseminati nel territorio della provincia di Roma, in attesa del sospirato Policlinico dei Castelli?

Ed in ultimo: quando si arriverà in porto con la questione della spesa centralizzata  per tutte le ASL per beni e servizi con la costituzione di una Agenzia ad hoc?

In conclusione l’attuale iniziativa della Giunta Regionale e del Consiglio di rivedere l’azzonamento delle ASL, di promuovere una migliore assistenza sul territorio, nonché di razionalizzare quella ospedaliera ai  mutati bisogni epidemiologici e sociologici, va sostenuta nel suo significato riformatore, ma va dotata di coraggio per scelte  innovative e qualificanti passando dai piccoli passi al salto di qualità, scegliendo un diverso rapporto gestionale tra territorio e ospedale, in un regime di mercato e di reciproco controllo, incoraggiando e soddisfacendo concretamente la domanda di prevenzione, consentendo all’assistenza ospedaliera della Capitale d’Italia di raggiungere l’eccellenza in grado di competere con gli altri sistemi sanitari regionali, specie quelli  del Nord Italia e con l’estero, in questa Europa senza frontiere, uscendo insomma da un deprecabile ed inattuale provincialismo.

Prof. Eugenio Santoro
Presidente emerito della Società Italiana di Chirurgia,
già Vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità


29 ottobre 2015
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