Recovery Plan. Smi: “Le Case di Comunità sono un modello inadatto. Sì invece a dipendenza ‘atipica’”
Il sindacato lancia le sue proposte sull’assistenza territoriale del PNRR: “Trasformare il Corso di Medicina Generale in Specializzazione a livello universitario e realizzare la dipendenza atipica per le figure convenzionate tuttora prive di tali tutele, come invece previsto in altri paesi europei mantenendo le strutture territoriali già presenti e garantendo le tutele caratteristiche della dipendenza”.
07 MAG - “La previsione nel PNRR della costruzione delle Case della Comunità per la presa in carico dei pazienti desta perplessità in quanto questo modello organizzativo, che coinvolge la medicina generale, con tutti i suoi compiti ad oggi riconosciuti e tutta la rete territoriale dell’assistenza, evidenzia molte criticità e troppe similitudini con le Case della Salute che già hanno visto risultati scadenti in termini di obiettivi di risultato, così come riportato nei dati pubblicati da Agenas nel 2012. Le Case di Comunità, proposte con il PNRR non sembrano differire molto dal precedente e fallimentare progetto di Case della Salute. È prevista, infatti, l’istituzione di una casa di comunità ogni 24.500 abitanti e ancora una volta, non si propone un modello di assistenza territoriale realmente prossimo alle case delle famiglie italiane. Ci chiediamo quanti chilometri dovrà percorrere per recarsi ad una Casa di Comunità un paziente della Puglia o del Lazio? Dal punto di vista dell’articolazione territoriale il criterio legato rigidamente al numero di abitanti (mediamente una Casa ogni 20-25 mila abitanti) non può penalizzare determinati territori (quali territori montani o aree interne o a bassa densità abitativa), delle cui le peculiarità vanno tenuto conto”.
È quanto sottolinea lo Smi in una nota in cui commenta le misure per l’assistenza territoriale previste nel PNRR.
Per il sindacato poi occorre “risolvere l’imbuto formativo e trasformare il Corso di Medicina Generale in Specializzazione a livello universitario con interazione con la medicina territoriale a livello pratico”.
E ancora per lo Smi è necessario: “aumentare gli organici , aumentando le borse di studio come corso di specializzazione universitario assumendo quindi i medici di medicina generale che non saranno solo formati ma specializzati e gli specialisti necessari a coprire i pensionamenti in area territoriale ed ospedaliera”.
Il sindacato preme poi di “impostare la rete territoriale anche tramite una nuova visione del ruolo del medico di medicina generale che possa rappresentare concretamente la figura del “medico del territorio”, in stretta correlazione con le altre figure del SSN globalmente inteso. È da questa rete operativa che nasce la offerta assistenziale orientata alla presa in carico del paziente cronico”.
Altra proposta è anche quella di “modificare l’art. 8 della 502 /92 con apposito disposto legislativo, riaprendo l’ area della medicina dei servizi, valorizzando nuovamente le funzioni proprie della MEDICINA SCOLASTICA, attività da sempre propria della medicina del territorio, e tutte numerose attività istituzionali del SSN, da anni in carenza di personale e consentire il passaggio a dipendenza sia della Continuità Assistenziale che della medicina dei servizi ,già attività integrate nelle aziende sanitarie a quota oraria”.
Inoltre lo Smi chiede di “applicare la legge Balduzzi con gli appositi finanziamenti alle UCCP, unità fisiche distrettuali (almeno uno per distretto), finalizzate all’applicazione dei PDTA all’interno di queste strutture distrettuali coagulando il personale territoriale frammentato delle ASL ed assumendo il personale medico, infermieristico e sanitario necessario per creare il secondo livello di assistenza territoriale a supporto della medicina generale spostando al loro interno gli investimenti in attrezzature già previsti così da decongestionare i Pronto Soccorso e le strutture ospedaliere che diverrebbero il terzo livello di intervento”.
E poi rilancia l’idea di “realizzare la dipendenza atipica per le figure convenzionate tuttora prive di tali tutele, come invece previsto in altri paesi europei mantenendo le strutture territoriali già presenti e garantendo le tutele caratteristiche della dipendenza. Il PNNR deve prevedere misure finalizzate al riconoscimento dell’ infortunio sul lavoro per i medici di medicina generale a seguito di contagio da covid”.
“In questi mesi – afferma il sindacato - la nostra azione sindacale si è sviluppata in vari ambiti. Da quello dell’unità sindacale, che ha visto ad aprile scorso il SIMET, la FP CGIL Medici affiliarsi al Sindacato Medici Italiani per rispondere meglio alle necessità della categoria medica. Questa unità sindacale nasce da una comune visione che mette al centro il Servizio Sanitario Nazionale, equo universale, accessibile; la valorizzazione della medicina generale quale fulcro dell’assistenza territoriale e il diritto alla salute dei cittadini.Lo SMI in questa prima parte dell’anno si è impegnato, inoltre, in varie direzioni. Abbiamo sottoscritto l’accordo sulla campagna vaccinale anti covid anche con grande sofferenza. Per questo avevamo chiesto un finanziamento congruo e certo ( un miliardo e 200 milioni di euro ) perché convinti che con queste risorse avremmo valorizzato l’autonoma organizzazione dei medici di medicina generale. Con l’insediamento del Commissario Straordinario Figliuolo avevamo chiesto prioritariamente, che venissero destinati ai medici di medicina generale i vaccini monodose prodotti dalla Johnson&Johnson per la vaccinazione dei cittadini, in quanto è un farmaco molto maneggevole. Ma questo purtroppo non è sempre accaduto”.
“Riteniamo, conclude la nota, che il confronto con il Governo e con la parte pubblica debba continuare nel merito dell’applicazione del PNRR per individuare le misure più efficaci di prevenzione e di cura per i cittadini italiani e per tutelare la professione medica”.
07 maggio 2021
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