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Osteopati. Fumata nera tra Governo e Regioni su accordo per istituzione della professione 

di Luciano Fassari

Tante le criticità sollevate dalla commissione Salute alla bozza di accordo per l’istituzione della figura dell’osteopata come professionista sanitario predisposta da Lungotevere Ripa. Per gli Enti locali gli osteopati “non possono essere inquadrati nell’area della prevenzione”. E ancora: “Il futuro professionista avrebbe un’autonomia molto limitata e comunque sarebbe sempre soggetta alla prescrizione medica”.  

23 SET - A tre anni dalla Legge Lorenzin è ancora in alto mare l’istituzione della figura dell’osteopata come professionista sanitario. Alle Regioni infatti non piace il documento messo a punto dal Ministero.
 
Ma andiamo per ordine. Lo scorso gennaio, il Ministero della Salute, dopo un confronto con le associazioni e chiesto il parere del Css, ha inviato alle Regioni una bozza di accordo che disciplinava il profilo dell’osteopata, gli ambiti di attività e competenza, il contesto operativo rimandando ad un altro accordo la questione del riconoscimento dei titoli e delle equipollenze. Ebbene, complice anche il Covid le Regioni hanno esaminato il documento solo adesso, anche perché il parere del Css lo hanno potuto visionare solamente l’8 luglio lamentando anche il fatto di essere state escluse dai lavori preparatori.
 
Ma entriamo nel merito. Nel documento del Ministero della Salute l’osteopata viene definito come “il professionista sanitario, in possesso di laurea triennale universitaria abilitante o titolo equipollente e dell'iscrizione all'albo professionale, che svolge in via autonoma, o in collaborazione con altre figure sanitarie interventi di prevenzione e mantenimento della salute attraverso il trattamento osteopatico di disfunzioni somatiche non riconducibili a patologie, nell'ambito dell'apparato muscoloscheletrico”.

Ma il fatto che l’osteopata sia inquadrato nell’ambito della prevenzione (in effetti è strano ndr.) non convince le Regioni per “tale inquadramento non risulta coerente con le attribuzioni del nuovo operatore che dovrebbe invece afferire per affinità e contiguità di intervento sanitario all’Area delle Professioni sanitarie riabilitative, ex art. 2, L.251/2000”.

Una scelta che sarebbe “fondata sull’esigenza di evitare una sovrapposizione con le competenze dei Fisioterapisti”.

Altro punto di disaccordo è relativo all’ambito di attività. Nel documento ministeriale si legge che “l'osteopata, in riferimento alla diagnosi di competenza medica, e all'indicazione al trattamento osteopatico, dopo aver interpretato i dati clinici, riconosce l'indicazione o la controindicazione al trattamento osteopatico ed effettua la valutazione osteopatica attraverso l'osservazione, la palpazione percettiva e i test osteopatici per individuare la presenza di segni clinici delle disfunzioni somatiche del sistema muscoloscheletrico”.

Ma le Regioni evidenziano che in questo modo “gli interventi dell’osteopata sarebbero rivolti, a scopo preventivo e di mantenimento, a persone prive di patologie, con necessità tuttavia di “diagnosi di competenza medica e indicazioni di trattamento osteopatico”. In assenza di benefici successivi al trattamento, l’osteopata deve “reindirizzare il paziente al medico inviante”.
 
In sostanza “il futuro professionista avrebbe dunque un’autonomia molto limitata all’ambito delle scelte tecnico-operative e comunque sarebbe sempre soggetta alla prescrizione medica”.
 
Ma non solo per le Regioni nella “descrizione dell’ambito di attività e competenza dell’osteopata (scopo dell’Accordo) sono utilizzati locuzioni come “trattamento osteopatico”, “valutazione osteopatica” e “disfunzione somatica” la cui definizione non è esplicitata, né è di comune impiego, non chiarendo di fatto quali sono le attività esercitabili (necessarie anche per la definizione del futuro ordinamento didattico) e le relative responsabilità collegate”.
 
Ma dubbi gli enti locali li sollevano anche per quanto riguarda il contesto operativo. Per il Ministero “l’osteopata svolge attività professionale, di ricerca, di formazione, di autoformazione e di consulenza, nelle strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private ove siano richieste le sue competenze professionali, in regime di dipendenza o libero-professionale”.
 
Ma per le Regioni “la collocazione nelle strutture sanitarie, sociosanitarie pubbliche o private in regime di dipendenza o libero-professionale, al momento attuale non è perseguibile, infatti il DPCM 2017 sui LEA non fa riferimento a trattamenti osteopatici o trattamenti manipolativi osteopatici, sono bensì presenti prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale quali “93.15 manipolazioni della colonna vertebrale” e “93.16 mobilizzazione di altre articolazioni” riferibili alle branche Medicina fisica e riabilitazione e Ortopedia, specialità mediche”.
 
Insomma, praticamente dalle Regioni è arrivata una bocciatura sonora di tutto l’impianto senza considerare infine come le stesse rimarchino come “la legge 3/2018 introduce accanto all’osteopata anche la figura del chiropratico, entrambe caratterizzate dall’impiego di terapie manuali. Una valutazione congiunta di ambedue i profili l’ambito di intervento e le rispettive attività consentirebbe una migliore analisi in relazione al loro rapporto rispetto alle altre professioni sanitarie già esistenti e la loro collocazione nell’ambito del Servizio sanitario nazionale”.
 
La strada, a quasi tre anni dalla Legge Lorenzin sembra ancora tutta in salita e piena di ostacoli.
 
 
Luciano Fassari

23 settembre 2020
© Riproduzione riservata

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