Governo clinico. Intersindacale medica: “Il Parlamento recuperi il proprio ruolo”
Un appello al Parlamento affinché reagisca a un regionalismo in sanità che “non può di fatto tradursi in una pratica di ‘sindacato’, spinta fino al conflitto tra istituzioni” ma anche a un neocentralismo che "marginalizza sia la comunità professionale sia le comunità locali”.
09 MAG - Il ddl sul governo clinico tornerà domani in commissione Affari Sociali dopo il parere negativo della Conferenza delle Regioni. Una “entrata a gamba tesa”, secondo l’Intersindacale medica
(Anaao Assomed - Cimo-Asmd – Aaroi-Emac – Fp Cgilmedici – Fvm – Fassid – Cisl Medici – Fesmed – Anpo-Ascoti-Fials Medici – Uil Fpl Medici – Sds Snabi –Aupi – Fp Cgil Stpa – Sinafo – Ugl Medici), e in cui la Conferenza delle Regioni ha espresso “valutazioni che lasciano fortemente perplessi”.
Le Regioni criticano il ruolo di organo dell’azienda attribuito dal ddl al Collegio di direzione “ma dimentica – precisa l’intersindacale medica - che le leggi approvate da alcune Regioni, compresa quella del suo Presidente, da tempo prevedono tale configurazione giuridica come anche la selezione di una terna di candidati da sottoporre al Direttore Generale per la nomina ‘fiduciaria’ ei direttori di struttura complessa, che si vorrebbe eliminare dal testo malgrado esprima una scelta debole rispetto ad una meritocratica graduatoria”. La Conferenza stigmatizza anche la mancata previsione dell’obbligo del rapporto esclusivo per i direttori di struttura, ma anche in questo caso, sottolinea l’Intersindacale, “dimenticando che la Corte Costituzionale ha riconosciuto alle Regioni la possibilità di auto-regolarsi in materia e che le stesse Regioni, attraverso una interpretazione bizzarra dell’art.9 della L.122/2010, minano ‘alla base il principio di appartenenza’ rifiutandosi di pagare l’indennità di esclusività al raggiungimento dei 5 e 15 anni di servizio”.
“Nessun rapporto fiduciario – evidenzia l’intersindacale - viene invece invocato, allorquando è l'università a nominare direttamente i direttori di struttura complessa nelle Aziende Ospedaliero-Universitarie e nessuna invadenza lamentata se il MIUR concede ai medici universitari di raggiungere il limite di quiescenza di 70 anni per fini assistenziali che nulla hanno a che vedere con le proprie competenze. Viene anche ritenuta eccessiva l’autonomia professionale dei medici e dei dirigenti sanitari che si vuole sottoposta, piuttosto che alla difesa del diritto alla salute dei cittadini, a scelte aziendali ancorate a logiche di risparmio e di tagli indistinti dei servizi”.
L’Intersindacale medica lancia dunque un appello al Parlamento perché “recuperi il suo ruolo” contrastando un regionalismo in sanità che “non può di fatto tradursi in una pratica di ‘sindacato’, spinta fino al conflitto tra istituzioni, che rifiuta ogni atto di indirizzo nazionale in un ambito, quello del diritto alla salute, tutelato dalla Costituzione” ma anche “un neocentralismo che marginalizza nelle gestione delle aziende sanitarie sia la comunità professionale sia le comunità locali”.
09 maggio 2012
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