Medicina generale, convenzione o dipendenza? Per Anelli (Fnomceo) è “diatriba inutile”, parole d’ordine “autonomia” e “partecipazione”
“Lancio una proposta, che poi è la stessa scaturita dagli Stati Generali della professione Medica: perché non sfruttare le competenze di tutti i professionisti della salute, per valorizzare il ruolo dei professionisti nella governance dei sistemi sanitari? Perché non affidare ai professionisti la governance delle strutture sanitarie attraverso la definizione degli obiettivi di salute?", propone il preisndente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri.
09 MAG - Mantenere la convenzione per la Medicina Generale? Oppure passare alla dipendenza dallo Stato, come avviene per i medici ospedalieri? Per il presidente della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri,
Filippo Anelli, si tratta di “una inutile diatriba, ormai superata”. Le parole d’ordine, a suo avviso, sono: “autonomia” della professione e “partecipazione” dei cittadini.
“Dopo vent’anni siamo ancora a parlare di dipendenza, di convenzione – spiega -. Senza comprendere che la chiave di volta per un Servizio sanitario nazionale che veramente sia prossimo al cittadino non passa, o meglio non passa in primo luogo, dalla forma contrattuale attraverso cui si esercita la professione, ma dalle modalità di governance della sanità e della salute e quindi dalla valorizzazione delle professioni sanitarie”.
“Prendiamo ad esempio la gestione della pandemia di Covid-19 – continua -. È ormai acclarato che, se si è sbagliato in qualcosa, non è stato nel non avere sul territorio dei medici di famiglia dipendenti, quanto nel mancato impegno di specifiche risorse e strumenti utili nell’affrontare la pandemia. L’errore è stato proprio nel non puntare sull’assistenza territoriale, lasciando i generalisti senza indicazioni univoche, privi di protezioni, di strumentazione adeguata e, soprattutto, della facoltà di prescrivere tamponi e farmaci, armati del solo senso di responsabilità. Risultato: medici contagiati, che hanno pagato, in alcuni casi, con la loro stessa vita la loro abnegazione.
E pazienti assistiti sì dal medico – un medico però privo degli adeguati strumenti diagnostici, di monitoraggio e terapeutici - ma non presi in carico dal sistema. Confinati al loro domicilio ma senza adeguata assistenza domiciliare, senza tamponi, senza saturimetri. Pazienti che arrivavano in ospedale troppo tardi e andavano a riempire le terapie intensive. E ora che sarebbe il momento, con la fase 2, di passare la palla alla medicina del territorio, che si fa? Si vuole trasformare il territorio in un ospedale, con le modalità di gestione dell’ospedale? Cui prodest?”.
“Non è lo strumento contrattuale che garantisce l'efficienza, ma le risorse e gli strumenti messi a disposizione dei medici – aggiunge -. Nel tempo non si è più investito nella medicina del territorio, mentre nel contempo cresceva il costo della vita. Alla colpevole mancata valorizzazione professionale si sono aggiunte le obiettive difficoltà economiche. Se oggi, invece, le risorse per rilanciare la medicina del territorio ci sono, allora si utilizzino subito per mettere i medici nelle condizioni di lavorare in equipe con infermieri e collaboratori di studio, fornendo loro gli strumenti di diagnostica di primo livello e sviluppare ulteriormente così le cure domiciliari”.
“Non vorremmo che la promessa sberluccicante della dipendenza non fosse che un modo per celare l’intento di limitare l’autonomia professionale imponendo comportamenti e condizionando le attività dei medici – obietta -. Al contrario, la nostra forza, che è poi la forza del Servizio sanitario nazionale, sta nell’autonomia, nella libertà, nell’indipendenza, nella responsabilità: i principi, scritti nero su bianco nel Codice di deontologia, su cui si regge la nostra professione. Principi che non ci arroghiamo arbitrariamente, ma che ci derivano dalle competenze acquisite con la nostra formazione, stabilita dalla legge e che lo strumento contrattuale del convenzionamento oggettivamente esalta”.
“E allora, lancio una proposta, che poi è la stessa scaturita dagli Stati Generali della professione Medica, che si concluderanno non più a giugno ma, per la pandemia, nel settembre di quest’anno: perché non sfruttare queste competenze, le competenze di tutti i professionisti della salute, per valorizzare il ruolo dei professionisti nella governance dei sistemi sanitari? – prosegue Anelli -. Perché non affidare ai professionisti la governance delle strutture sanitarie attraverso la definizione degli obiettivi di salute? È tempo di superare un modello che ancora oggi vede prevalere gli obiettivi di bilancio su quelli della salute, rivalutando un’appropriatezza che sia finalmente assistenziale e non economica”.
“Valorizzare i professionisti sanitari nella gestione e governance aziendale, stabilire una giusta correlazione con il management aziendale e ripristinare una effettiva partecipazione delle comunità locali (comuni) alla programmazione degli obiettivi di salute delle aziende sanitarie può essere la strada per avviare una vera e propria riforma del nostro Ssn– conclude –. E ciò restando fedeli alla legge 833/78, alla legge istitutiva del nostro Servizio sanitario nazionale, con i suoi principi di universalità, equità, uguaglianza e solidarietà. E di partecipazione dei cittadini, attraverso le comunità locali, alle scelte politiche che riguardano la loro salute. È solo nella fedeltà a tali principi, infatti, che è possibile una vera rivoluzione, che veda i professionisti della salute e i sindaci, quali autorità sanitarie locali, dare voce ai cittadini nella governance della sanità”.
09 maggio 2020
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