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Niente reparti. L’ospedale si organizza per “complessità assistenziale”


Un modello innovativo, descritto ieri dalla presidente Ipasvi Annalisa Silvestro e sperimentato nell’ospedale di Porretta Terme, dove la stessa  Silvestro è direttore del Servizio assistenziale, tecnico sanitario e riabilitativo. I posti letto sono sotto la responsabilità degli infermieri e i primari...

23 MAR - “Una rivoluzione copernicana”. La definisce così Meris Fiamminghi, dirigente infermieristica dell’Ausl di Bologna e collaboratrice di Annalisa Silvestro che nella stessa Ausl è direttore del  Sater  (Servizio assistenziale, tecnico sanitario e riabilitativo).
La rivoluzione si spiega semplicemente: l’ospedale non si organizza più per patologie, ovvero per specialità, ma per aree definite in base all’assistenza di cui ha bisogno il paziente. Di conseguenza ad essere responsabili dei posti letto, e a gestirli, non sono più i medici, ma gli infermieri.

Un cambiamento profondo, sperimentato concretamente nell’Ospedale di Porretta Terme, il più “scomodo” tra quelli sotto il controllo della Ausl di Bologna: 70 km dalla città e dall’Ospedale Maggiore, di cui solo 22 sono di autostrada e il resto è strada di montagna. Un avamposto sull’Appennino, tra il capoluogo emiliano e Pistoia, che proprio per la sua difficile posizione deve essere in grado di dare risposte efficaci e molto articolate a chi arriva lì provenendo da uno dei 13 comuni che costituiscono il suo bacino di utenza.

L’organizzazione assistenziale per complessità, così si definisce questo modello, è una delle proposte forti avanzate ieri dalla presidente Ipasvi nella sua relazione al 16° Congresso della Federazione dei Collegi degli Infermieri. E oggi Meris Fiamminghi ha concretamente illustrato alla platea congressuale come si sta realizzando la sperimentazione di questo modello.

Tre le aree di degenza: area rossa, ad alta complessità e intensità e che comprende anche l’area critica, che ha 16 posti letto (il 22% del totale) tutti attrezzati in telemetria e 4 con il monitoraggio delle funzioni vitali; area blu, che raccoglie la gran parte dei pazienti acuti, chirurgici e medici, e che ha 46 p.l. più 4 di ostetricia (65%); area verde, a bassa intensità clinica, con 9 p.l. (13%) rivolta alle polipatologie non in fase critica o ai ricoveri legati anche ad esigenze sociali e ambientali, in attesa di organizzare il loro ritorno a casa in assistenza territoriale. “Fermo restando la responsabilità clinica del medico a seconda della disciplina – dice Fiamminghi – quando la persona accede all’ospedale viene valutata, sia dal medico che dall’infermiere, con uno strumento che, sommando alcuni indicatori, identifica l’area più appropriata per rispondere ai suoi bisogni”.

Meris Fiamminghi spiega che il fulcro di questo modello è la flessibilità. Per questo il personale (40 infermieri, 2 coordinatori assistenziali , 4 ostetriche, 1 capostetrica e 20 operatori di supporto) viene utilizzato secondo dei turni base e alcune giornate di “panchina”, una sorta di reperibilità utilizzata solo quando il numero di ricoverati e la loro complessità assistenziale lo richiedono. Un sistema che rende quindi molto delicata la gestione del personale. “Ma la responsabilità verso i pazienti è una motivazione importante – sottolinea  Fiamminghi – e la prova l’abbiamo avuta durante l’emergenza neve: due settimane di super lavoro, senza nessuna protesta, senza recriminazioni”. Normalmente il lavoro si pianifica in un meeting settimanale, che è anche l’occasione per discutere criticità e eventuali errori nell’assistenza. Perché questo sistema fa “traballare le gerarchie, anche infermieristiche” e costringe tutti a mettere in discussione i propri ruoli.

Chiediamo a Meris Fiamminghi come si sentono i medici, “primari” senza reparto: “All’inizio erano un po’ spersi in questo sistema, è come se gli avessimo smontato le pareti. Ma i più avanzati capiscono che questo sistema è utile anche per il loro lavoro e consente di ‘tenere’ anche pazienti molto difficili”. “Certo – aggiunge Fiamminghi – a volte fanno fatica a trovare i ‘loro’ pazienti, ma sanno che sono assistiti nel migliore dei modi”.
E la sperimentazione, secondo i dati forniti oggi, sembra dare buoni risultati in termini di produzione e di efficienza organizzativa, che vuol dire anche migliore utilizzo delle risorse economiche:  sono scesi del 17% i ricoveri ripetuti a 30 giorni, sono aumentate del 167,5% le dimissioni protette, l’indice operatorio è salito del 60,8%.

23 marzo 2012
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