“Endocrinologi a rischio burnout lavorativo. I più colpiti sono gli ospedalieri e i giovani medici”. L’indagine dell’Ame
Tra i problemi l’esaurimento emotivo, depersonalizzazione e la scarsa realizzazione professionale. “Questi dati sono significativi perché rappresentano da un lato una fotografia della realtà dall’altro perchè possono essere messi in relazione gli uni con gli altri e confrontati con altri tipi di indagini, allo scopo di approfondire e capire le cause e le proporzioni del fenomeno”.
08 NOV - Esaurimento emotivo, depersonalizzazione, scarsa realizzazione professionale. Sono i sintomi del “burnout” professionale di cui soffrono sempre più gli operatori della sanità. A rilevarlo, è la prima indagine italiana di categoria realizzata dall’Associazione Medici Endocrinologi (AME), diffusa in occasione del 18° Congresso nazionale a Roma. Ad esserne colpiti, sono soprattutto i giovani e gli endocrinologi in ambito ospedaliero. Le donne sono lievemente più sensibili al fenomeno. Altri fattori di rischio sono la scarsa esperienza nel campo, il rapporto con i pazienti, gli orari di lavoro.
Il burnout è una sindrome psicologica causata da eventi di disagio e stress in ambito lavorativo, che può essere misurabile attraverso tre parametri: esaurimento emotivo, depersonalizzazione, ridotta realizzazione personale. Questa è la definizione di Maslach (1975) tra i principali studiosi del fenomeno, autore anche dello strumento di cui si è avvalsa il gruppo di lavoro AME per valutare le dimensioni teoriche del problema, che è il Maslach Burnout Inventory General Survey (MBI-GS).
I risultati
L’endocrinologo ospedaliero seguito dall’ambulatoriale, risulta con il più alto esaurimento emotivo, cioè si sente emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro e prova un inaridimento emotivo nel rapporto con gli altri. Per quanto riguarda la realizzazione personale, questa risulta maggiore nei liberi professionisti, poi al secondo posto negli ambulatoriali e infine, i meno realizzati appaiono gli ospedalieri. Maglia nera per gli ospedalieri pure per la depersonalizzazione, sintomo che si manifesta con un atteggiamento di allontanamento e di rifiuto nei confronti dei pazienti.
Come si è svolta indagine
Il questionario, tradotto in italiano, è stato sottoposto ai medici AME a settembre 2019. Nell’arco di un mese l’adesione, su base volontaria, è stata sorprendente. Su 1290 medicini cui hanno risposto ben 790 medici. “Questo è un segno evidente che il problema è ampiamente sentito tra i colleghi ma è ampiamente sottovalutato, – ha dichiarato la Prof.
Simonetta Marucci, endocrinologa e coordinatrice della survey AME. - il rischio di burnout è associato ad un maggiore errore medico, come evidenziato da una recente indagine internazionale con conseguenze negative anche per i pazienti.
L’indagine, di tipo qualitativo e su base anonima, è consistita nell’invio di un elenco di affermazioni volte ad indagare la percezione dell’attività lavorativa, alle quali i professionisti sono stati chiamati a dare una valutazione da 0 (mai) a 6 (ogni giorno) quali ad esempio “Lavorare direttamente a contatto con la gente mi crea troppa tensione” e “Mi sento emotivamente sfinito dal mio lavoro”.
“Questi dati sono significativi – ha commentato
Edoardo Guastamacchia, Presidente AME - perché rappresentano da un lato una fotografia della realtà dall’altro perchè possono essere messi in relazione gli uni con gli altri e confrontati con altri tipi di indagini, allo scopo di approfondire e capire le cause e le proporzioni del fenomeno e, di conseguenza, proporre una strategia d’azione per ridurre il fenomeno di burnout degli operatori, che si traduce in vantaggio per i pazienti”.
“Alta adesione - spiega Ame - dimostra che il problema è molto sentito. La risposta che abbiamo da questi numeri è una fotografia di una realtà che è quella che abbiamo studiato. È importante confrontarla con altri tipi di realtà. Saperlo per elaborare strategie di prevenzione proposta AME gli ospedalieri nel campione risultano avere un più alto burnout approfondire indagine in futuro per capire le cause e proporre strategia d’azione work engagement, fattori protettivi, fattori di resilienza”.
08 novembre 2019
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