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Aggressioni ai medici. Perché è sbagliato pensare alle arti marziali

di Domenico Della Porta

Autoprotezione non significa sapersi difendere da un’aggressione fisica con tecniche di arti marziali o comunque di discipline di combattimento ravvicinato, che necessitano di ore di esercitazioni settimanali ed anni per il loro pieno apprendimento, ma prevenzione, ossia individuare i fattori di rischio dovuti all’organizzazione, all’ambiente, al personale, alla corretta applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro, e all’utente/paziente, infine gestire le aggressioni verbali e fisiche da parte degli operatori 

24 MAR - È rovinoso, infruttuoso ed imprudente ricorrere a corsi di autodifesa tenuti da maestri di arti marziali per operatori sanitari chiamati a “gestire” le aggressioni e le violenze di cui sono sempre più vittima sul posto di lavoro, soprattutto per loro stessi.  A sostenerlo è il prof. Mario Carotenuto, che per la sua ventennale esperienza nel mondo della segurity, svolge la funzione di docente di “Misure di autoprotezione in aree a rischio sociale, criminalità e terrorismo” al Corso di perfezionamento in medicina tropicale e salute internazionale (ora Global Health), organizzato presso l’Università di Brescia.
 
“Da alcuni mesi sto leggendo sui media suggestive soluzioni messe in campo per risolvere il problema delle aggressioni nelle strutture sanitarie, accentuatosi negli ultimi tempi, precisa il docente universitario, addirittura, sono a conoscenza di un corso organizzato da un istruttore di yoga. Tale soluzione solleva in me molte perplessità. Innanzitutto, praticare le arti marziali o l’autodifesa in generale non è per tutti, non solo dal punto di vista fisico. Molti non gradiscono praticarle, anche per l’impegno richiesto. Per riuscire a difendersi in modo appena sufficiente ci vorrebbero almeno quattro ore a settimana in palestra per un anno. Consideriamo poi che per ogni sessione del corso partecipino cinquanta allievi, che sono anche troppi".
 
"Una struttura sanitaria, per piccola che sia, ha qualche migliaio di dipendenti, moltissimi dei quali operano in aree a rischio criminoso: i servizi di emergenza/urgenza, i servizi di continuità assistenziale (tra cui la guardia medica), i dipartimenti di salute mentale e dipendenze patologiche, le unità operative di geriatria e gli istituti carcerari. Quanti anni ci vogliono per addestrare tutto il personale impiegato nelle aree a rischio, senza tener conto di una formazione continua dovuta ai neo assunti, e a quale costo economico? Vogliamo poi trasformare l’ospedale in un ring? Nel caso specifico, ritengo questi corsi inutili e dispendiosi.”
 
Forte dell’esperienza pluriennale acquisita consolidatasi anche con un corso su Strumenti e metodologie per la gestione delle crisi nelle strutture sanitarie di 120 ore organizzato dall’ASL, ora ATS (Agenzia di Tutela della Salute), di Brescia, Carotenuto ha fondato nel 2015 il Centro per l’Educazione all’Autoprotezione e al Soccorso (CEAS), un’associazione di promozione sociale con sede a Brescia.

“Autoprotezione non significa sapersi difendere da un’aggressione fisica con tecniche di arti marziali o comunque di discipline di combattimento ravvicinato, tra tutte il Krav Maga, ha sottolineato il nostro interlocutore. Nel nostro caso, significa innanzitutto prevenzione, ossia individuare i fattori di rischio dovuti all’organizzazione, all’ambiente, al personale, alla corretta applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro, e all’utente/paziente, infine gestire le aggressioni verbali e fisiche da parte degli operatori della salute. Autoprotezione che può essere adottata da chiunque, anche senza un addestramento all’autodifesa o esperienza militare o di polizia. Ho esposto tale 'filosofia' ad un recente convegno 'Aggressioni contro il personale sanitario: fenomeno in crescita. Prevenzione e gestione', organizzato qualche mese fa dall’Ordine dei medici e degli Odontoiatri di Salerno. A quell’evento nessuno dei relatori presenti, una decina, ha proposto corsi di difesa personale quale soluzione alle aggressioni. Non ne fa cenno neppure la 'Raccomandazione (n. 8) per prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari' emanata dal Ministero della salute nel novembre del 2007".

"Gli operatori sanitari dovrebbero quindi essere formati su come percepire i segnali indicatori di una minaccia (linguaggio delle parole e del corpo), disinnescare e dissuadere un’aggressione verbale (cosa dire e non dire), come controllare il proprio corpo e la propria emotività, come gestire le situazione critiche dovute a un’aggressione fisica, come mettersi al sicuro, come affrontare e gestire lo stress. L’autodifesa deve essere l’ultima ratio. CEAS tratta tali argomenti al corso gratuito “La sicurezza del soccorritore da azioni criminali e terroristiche” ed erogato ad associazioni di volontariato e di protezione civile. Ecco perché tra le strutture che sostengono CEAS troviamo la BResponsible, nota società che si occupa di consulenza e formazione anticrimine e antiterrorismo.“

I concetti trattati da Carotenuto dal 2006 si trovano sviluppati nella Guida elettronica per la gestione dello stress e dei rischi psicosociali, pubblicata dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU OSHA). Con un po’ di orgoglio, mi si perdoni, ho affrontato l’argomento e fornito le soluzioni ancor prima del Ministero della salute e dell’Agenzia Europea, grazie anche al successivo importante contributo della dott.ssa Maria Maddalena Alvau, psicologa dell’emergenza che collabora con me in CEAS e che ha trattato gli aspetti psicologici del libro “Disordine pubblico, criminalità e terrorismo: guida all’autoprotezione” pubblicato nel 2016.
 
Domenico Della Porta
Docente Medicina del Lavoro
Università Telematica Internazionale Uninettuno - Roma 


24 marzo 2019
© Riproduzione riservata

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