Hiv. Un accertamento di sieropositività non può costituire motivo di discriminazione nell’accesso al lavoro
di Domenico Della Porta
Nel nostro Paese almeno una persona su quattro non è consapevole della propria sieropositività all’Hiv e il fenomeno della diagnosi tardiva è persino aumentato. Dopo l'allarme lanciato durante il World Aids Day, un documento ministeriale chiarisce la sostanziale assenza di motivazione per l’accertamento della sieronegatività nella fase pre-assuntiva, dal momento che “in ogni caso un accertamento di sieropositività non può costituire motivo di discriminazione nell’accesso al lavoro”.
06 MAR - La diffusione dei dati nel corso della Giornata Mondiale dell’Aids:
World Aids Day di qualche mese fa è stata richiamata l’attenzione sull’aumento degli ammalati Hiv, registrato negli ultimi tempi, sottolineando l’impietoso incremento, cosa ancor più grave, appunto, dei sieropositivi e tra questi vi è il 40 % che non sanno di esserlo.
L’emersione del sommerso è fondamentale. Di fronte a questi dati, i medici competenti sono chiamati, nello svolgimento della loro delicata attività professionale ad applicare la Circolare del 12 aprile 2013, (pubblicata nel 2013 da Quotidiano Sanità) a firma congiunta del ministero della Salute e del mistero del Lavoro, dal titolo:
“Sorveglianza sanitaria – Accertamenti pre-assuntivi e periodici sieropositività Hiv – Condizioni esclusione divieto effettuazione” che ha l’indubbio merito di costituire un valido strumento interpretativo nel definire la portata del divieto generale di effettuazione del test di sieropositività all’Hiv in fase pre-assuntiva e in costanza di rapporto di lavoro.
L’opportunità di chiarire i contenuti della Legge 5 giugno 1990 n. 135 (e in particolare degli articoli 5 e 6) e del Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81 che vieta, nel corso della sorveglianza sanitaria, accertamenti che potrebbero dare origine ad atti di discriminazione a danno dei soggetti risultati positivi, nasce infatti, dai
numerosi problemi sorti a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 218 del 2 giugno 1994, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, commi 3 e 4, della Legge n. 135 nella parte in cui sono esclusi gli accertamenti di positività all’Hiv nei casi in cui il lavoratore sia chiamato a svolgere attività che comportano rischi per la salute di terzi.
Tale sentenza, nata dall’esigenza di prendere in considerazione le peculiarità di alcune mansioni lavorative svolte soprattutto in ambito sanitario e di pubblica sicurezza, è stata molto spesso utilizzata per giustificare indebite intrusioni nella sfera privata dei lavoratori, costituendo di fatto l’appiglio giuridico per lo svolgimento di indagini sanitarie su intere categorie di soggetti, in chiaro contrasto con il dettato normativo.
La circolare, partendo proprio dalle disposizioni nazionali (Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81) ed internazionali (Codice di condotta e Raccomandazione della Conferenza Generale dell’OIL n. 200/2010) che
vietano la discriminazione, richiedendo innanzitutto di attuare efficaci misure di prevenzione volte ad escludere il rischio di trasmissione dell’infezione in ambito professionale, ribadisce con chiarezza il carattere eccezionale dell’accertamento sierologico in questione, limitandone la praticabilità a specifiche situazioni di rischio da valutarsi, caso per caso, da parte del medico incaricato della sorveglianza sanitaria, il quale dovrà prendere come riferimento il documento di valutazione dei rischi per accertare la sussistenza, nel caso specifico, di un pericolo individuale di esposizione.
In tale prospettiva, dunque, il
documento ministeriale conclude per la sostanziale assenza di motivazione per l’accertamento della sieronegatività nella fase pre-assuntiva, dal momento che “…in ogni caso un accertamento di sieropositività non può costituire motivo di discriminazione nell’accesso al lavoro”, mentre nel caso di visita medica preventiva di idoneità alla specifica mansione e di visite periodiche, “ove….la valutazione dei rischi abbia evidenziato un elevato rischio di contrarre l’infezione da HIV nello svolgimento delle attività connesse alla mansione specifica, nel predisporre un adeguato protocollo sanitario in funzione di tale specifico rischio, il medico competente dovrà prevedere….la necessità o meno di effettuare un monitoraggio individuale; fermo restando l’obbligo di fornire al lavoratore informazioni sul significato della sorveglianza sanitaria e sulla necessità di sottoporsi al test, quale misura di controllo sanitario a tutela della sua salute”.
Domenico Della Porta
Presidente dell’Osservatorio Nazionale Malattie Occupazionali e Ambientali Università degli Studi Salerno
06 marzo 2018
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