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Pensione anticipata per i lavori ‘gravosi’. Gli effetti del decreto del ministero del Lavoro sulla sanità


Per la sanità le categorie interessate sono il personale delle professioni infermieristiche e ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni, così come definito dai decreti del Ministero della Salute 739 e 740 del 14 settembre 1994, provvedimenti in cui venivano esposte le declaratorie delle rispettive mansioni e responsabilità

05 MAR - Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale lunedì scorso del Decreto Ministeriale 5 febbraio 2018 da parte del Ministero del Lavoro, di concerto con il Ministero dell’Economia, sono state chiarite le 15 categorie di lavoratori, che svolgono una attività definita ‘gravosa’, ad avere diritto all’APE sociale e alla pensione anticipata.

Il mondo della Sanità è stato interessato dal punto “f” del Decreto: Personale delle professioni infermieristiche e ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni, così come definito dai decreti del Ministero della Salute 739 e 740 del 14 settembre 1994, provvedimenti in cui venivano esposte le declaratorie delle rispettive mansioni e responsabilità.

Alla luce di tale decreto per identificare la cd gravosità di una determinata attività, si ricorre alla appartenenza o meno all’elenco pubblicato il 26 febbraio scorso, tralasciando gli elenchi  dei “lavori gravosi” (legge 232/2016) e quello dei  “lavori usuranti” ( d.lgs. 67/2011), generati dalle varie normative promulgate negli anni e collegate all’anticipazione  della pensione.

Occorre poi considerare che il riconoscimento di un danno conseguente ad una determinata attività lavorativa avviene anche  attraverso la funzione della sorveglianza sanitaria svolta dal Medico Competente ed  è indipendente  dall’elenco in cui è inclusa la medesima attività lavorativa, come potrebbe benissimo verificarsi per altre professioni sempre in ambito sanitario come medici e professionisti del settore diagnostico laboratoristico e radiologico che parimenti sono chiamati, come recita il medesimo decreto a svolgere “lavoro organizzato a turni espletato nelle strutture ospedaliere”.

Ecco perché è opportuno tener presente  anche le caratteristiche fisiche e psicologiche del prestatore d’opera, senza tralasciare il fattore età, come indicato in un documento elaborato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro nel 1979 “I lavoratori più anziani: lavoro e pensionamento”.

Alla luce della normativa vigente in materia di tutela della salute e sicurezza del lavoro, non è affatto facile stabilire se un lavoro non rientrante tra gli elenchi di cui sopra non produca danni simili a quelli dovuti ad attività riconosciute gravose o usuranti. Innanzitutto va considerato il rischio organizzazione del lavoro. In esso sono compresi fattori condizionati dai processi di lavoro quali lavoro in turni, lavoro in continuo, lavoro notturno, sistemi efficaci di gestione e accordi per la pianificazione, il monitoraggio e il controllo degli aspetti attinenti alla salute e alla sicurezza, la manutenzione degli impianti, comprese le attrezzature di sicurezza, gli accordi adeguati per far fronte agli incidenti e alle situazioni di emergenza.

Tutte queste situazioni se non analizzate con attenzione possono creare una condizione lavorativa responsabile di una serie di disturbi (ad esempio sindromi gastroenteriche, o sindromi ansioso-depressive).

Un altro aspetto dell’organizzazione del lavoro è quello relativo alla gestione dei rapporti interpersonali e gerarchici, la cui mancata soluzione può essere causa oltre che di sindromi da disadattamento con somatizzazioni a livello di diversi organi e apparati, anche del fenomeno dell’assenteismo.

Ancora, una erronea organizzazione del lavoro può determinare esposizioni professionali nocive agli agenti più diversi: basti pensare all’inosservanza delle norme che regolano l’utilizzo di particolari materie prime che potrebbero diffondersi nell’ambiente. L’inidoneo o semplicemente il prolungato uso di attrezzi, macchinari o mezzi ausiliari allo svolgimento delle mansioni costituisce un altro elemento su cui l’organizzazione del lavoro deve intervenire per evitare che divenga fonte di rischio.

L’assenza di corrette prescrizioni organizzative che possono, ad esempio, avere contenuto sia di tipo semplicemente tecnico che ergonomico e igienistico può essere causa di nocività. Si deve però tener presente che ciò può non essere dovuto a negligenza o impreparazione, ma alla reale mancanza di adeguate conoscenze che potranno essere acquisite in futuro anche sulla base di esperienze precedenti.

La normativa vigente mira ad un giudizio di idoneità specifica alla mansione lavorativa, vale a dire finalizzato alla entità e alle modalità di un determinato lavoro: un individuo è idoneo a quel lavoro quando è in grado di eseguirlo con sufficiente rendimento, senza fenomeni di fatica, anzi con rapida capacità di ristoro, cioè di ritorno alle sue condizioni di riposo. Un lavoratore può essere idoneo ad un tipo di lavoro e non ad un altro, anche di pari gravosità, ma in differenti condizioni, per esempio ambientali. In realtà la idoneità non è toti- o polivalente, ma monovalente, ossia si riferisce alla singole particolari attività. Le condizioni fisiche o psicologiche di idoneità di un soggetto esprimono un concetto qualitativo in rapporto alla capacità di adattamento dei singoli apparati organici dell’individuo per un determinato periodo di tempo ad un lavoro la cui entità e gravosità devono essere correlate alla capacità lavorativa. Dal momento che per la esecuzione di varie prestazioni possono essere richieste in vario grado la forza muscolare, l’abilità o destrezza, la resistenza, il possesso di un equilibrio mentale ed emotivo, e la propensione alla formazione, si ritiene che anche altre attività lavorative non comprese negli elenchi potrebbero essere riconosciute gravosi e usuranti.

Domenico Della Porta
Presidente Osservatorio Nazionale Malattie Occupazionali e Ambientali
Università degli Studi Salerno

 

05 marzo 2018
© Riproduzione riservata

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