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Legge Madia. Quici (Cimo): “Vanificato Patto della Salute. Professionisti non sono valorizzati”

di Guido Quici

Perché non immaginare l’istituzione, presso il Ministero della Salute, di un’area contrattuale delle professioni sanitarie sia della Dirigenza che del Comparto, sia per la dipendenza che per la convenzionata, disciplinata in ruoli distinti?

26 APR - Dopo il comma 236 della Legge Finanziaria 2015 le conferme contenute nel decreto delegato della Legge Madia, dei tagli delle risorse per il salario accessorio, hanno definitivamente vanificato gli obiettivi contenuti nell’art. 22 del Patto della salute in tema di valorizzazione delle risorse umane, sviluppo di carriera, accesso dei professionisti al SSN.

Al tempo stesso i ritardi sulla riorganizzazione della rete ospedaliera e sulla determinazione del fabbisogno di Medici, impediscono l’attuazione delle norme ad hoc previste dalle leggi di bilancio 2016 e 2017 che consentono l’applicazione del DPCM sul precariato per assicurare la sicurezza nelle cure e l'erogazione dei LEA.

L’ennesima “spallata” ad un SSN volutamente depotenziato, non solo, in termini di risorse economiche ma soprattutto umane.

Il gioco è abbastanza chiaro: qualcuno propone un percorso di ammodernamento della sanità italiana attraverso i nuovi LEA, il Patto della Salute, il Piano delle cronicità, ecc. e tanti altri, in una sorta di “gioco di squadra”, lo impediscono a turno perché il progetto di una sanità pubblica per tutti non è più perseguibile. Ma, allora, basta semplicemente dirlo!
 
In realtà ciò che veramente preoccupa, oltre l’aspetto economico, è l’assenza di opportunità motivazionali per i professionali della salute a garanzia di una migliore qualità dell’assistenza. Non a caso una recente classifica europea ha evidenziato che l’Italia è agli ultimi posti in termini di gradimento dei cittadini ed accessibilità ai servizi.

La vera emergenza è, quindi, la demotivazione del personale sanitario soprattutto per i dipendenti pubblici della sanità che si trovano ad avere più padroni (Regioni, Funzione Pubblica, Salute, MEF) ma devono anche sottostare a disposizioni legislative che poco hanno a che vedere con la sanità. La recente riforma Madia, in aggiunta alla Brunetta, è l’ultima dimostrazione di come non vi sia alcun dialogo tra le regole della PA e la concreta applicazione su professionisti che hanno specificità e, quindi, esigenze lavorative del tutto diverse rispetto a chi lavora nei ministeri, nelle regioni, negli enti locali o nelle scuole.

L’esclusione dei medici e degli altri dirigenti sanitari dal ruolo unico della dirigenza non ha poi trovato una concreta attuazione in norme che avrebbero potuto regolare la pur riconosciuta peculiarità di questi dirigenti – professionisti.

Ed, allora, perché non immaginare l’istituzione, presso il Ministero della Salute, di un’area contrattuale delle professioni sanitarie sia della Dirigenza che del Comparto, sia per la dipendenza che per la convenzionata, disciplinata in ruoli distinti? Sotto l’aspetto economico i nuovi incrementi contrattuali sono già ricompresi nel FSN ma ciò che veramente interessa è l’aspetto giuridico e le norme contrattuali, ad iniziare dalla struttura del rapporto di lavoro, alle modalità di ingresso nel SSN, ai principi di valutazione, al sistema degli incarichi, alla progressione di carriera, all’orario di lavoro, alla formazione, alla responsabilità professionale.

Atteso l’inevitabile ruolo del MEF sulle questioni economiche, la vera esigenza è quella di raccordare la “vision” e la “mission” del Ministero della Salute con la programmazione delle regioni e con chi dovrà realizzare, sul campo, gli obiettivi secondo regole che sono esclusive del mondo della sanità. Questo presuppone, ovviamente, il pieno coinvolgimento anche della medicina convenzionata e privata che sono parte integrante del sistema.

Gli indubbi vantaggi consistono nel modulare gli accordi contrattuali tenendo conto della specificità dei professionisti e degli obiettivi di salute. In altre parole ogni professione sanitaria, ed in particolare quella medica, potrà essere in grado di “smarcarsi” dalle rigide maglie della burocrazia ed essere finalmente responsabilizzata e valorizzata per ciò che sa davvero fare.

Occorre garantire, pertanto, un contratto di lavoro che tenga conto degli aspetti peculiari della professione quali, ad esempio, la capacità di utilizzare gli strumenti di Governo Clinico o, magari, di essere valutati sul piano clinico-assistenziale anche con l’ausilio di indicatori derivanti dal PNE.

La proposta potrebbe sembrare velleitaria ma lo scopo è quello di avviare un sereno ma approfondito dibattito sul futuro dei professionisti che lavorano nel SSN con l’auspicio che si possa anche avviare una proposta referendaria, tra tutti gli operatori sanitari, per un nuovo livello di contrattazione con Ministero della Salute e Regioni.  
 
Guido Quici
Vice presidente vicario Cimo

26 aprile 2017
© Riproduzione riservata

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