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Riforma PI. La dirigenza medica e sanitaria si appella al Consiglio di Stato: “Gli interventi sulle risorse accessorie costituzionalmente illegittimi per eccesso di delega”


Così i sindacati una nota al Consiglio di Stato in vista del parere che dovrà formulare sulla riforma del Pubblico Impiego per illustrare le ragioni dell’illegittimità costituzionale del testo in esame. In particolare l'intervento si concentra sull’articolo 23, commi 1 e 2, per "eccesso di delega", in quanto recante disposizioni non previste nella delega al governo approvata dal Parlamento.

14 APR - Anaao, Aaroi, Fassid e Anpo hanno inviato una nota al Consiglio di Stato in vista del parere che dovrà formulare sulla riforma del Pubblico Impiego per illustrare le ragioni dell’illegittimità costituzionale del testo in esame. In particolare dell’articolo 23, commi 1 e 2, per "eccesso di delega", in quanto recante disposizioni non previste nella delega al governo approvata dal Parlamento. "Le disposizioni sul trattamento economico della dirigenza sanitaria, in particolare in tema di salario accessorio, di fatto rinnovano il blocco delle retribuzioni dei medici e dirigenti sanitari con un provvedimento improprio e, per di più senza scadenza. Motivazioni già illustrate alle competenti commissioni parlamentari, che saranno oggetto di ricorsi alla Corte costituzionale in caso di mancato accoglimento", scrivono i sindacati.
 
Di seguito il testo integrale della nota inviata al Consiglio di Stato:
 
Lo schema di decreto legislativo in materia di riforma del pubblico impiego proposto dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, attualmente all’esame di codesto Ecc.mo Consiglio, detta all’art. 23, comma 1, la seguente disposizione in materia di salario accessorio: “Al fine di perseguire la progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, la contrattazione collettiva nazionale, per ogni comparto o area di contrattazione opera, tenuto conto delle risorse di cui al comma 2, la graduale convergenza dei medesimi trattamenti anche mediante al differenziata distribuzione, distintamente per il personale dirigenziale e non dirigenziale, delle risorse finanziarie destinate all’incremento dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione”. Tale previsione, che incide sul trattamento economico della dirigenza pubblica, risulta costituzionalmente illegittima per eccesso di delega.

Infatti, l’art. 11, comma 1, Legge 124/2015 autorizza il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici uffici”, prevedendo tra gli oggetti della delega anche la riforma della retribuzione secondo i seguenti criteri direttivi: “n) con riferimento alla retribuzione: omogeneizzazione del trattamento economico fondamentale e accessorio nell'ambito di ciascun ruolo unico, e nei limiti delle risorse complessivamente destinate, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali vigenti, al finanziamento del predetto trattamento economico fondamentale e accessorio; confluenza della retribuzione di posizione fissa nel trattamento economico fondamentale; definizione della retribuzione di posizione in relazione a criteri oggettivi in riferimento all'incarico; definizione dell'incidenza della retribuzione di risultato in relazione al tipo di incarico; suo collegamento, ove possibile, sia a obiettivi fissati per l'intera amministrazione, sia a obiettivi assegnati al singolo dirigente; definizione di limiti assoluti del trattamento economico complessivo stabiliti in base a criteri oggettivi correlati alla tipologia dell'incarico e di limiti percentuali relativi alle retribuzioni di posizione e di risultato rispetto al totale; possibilità di ciascun dirigente di attribuire un premio monetario annuale a non più di un decimo dei dirigenti suoi subordinati e a non più di un decimo dei suoi dipendenti, sulla base di criteri definiti nel rispetto della disciplina in materia di contrattazione collettiva e nei limiti delle disponibilità dei fondi a essa destinati; pubblicazione nel sito istituzionale dell'identità dei destinatari dei suddetti premi; definizione di criteri omogenei per la disciplina dei fondi destinati alla retribuzione accessoria delle diverse amministrazioni”.

La disposizione in esame detta un termine specifico per l’esercizio della delega in materia di dirigenza pubblica da parte del Governo, imponendo di adottare i relativi decreti attuativi “entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, salvo quanto previsto dall'articolo 17, comma 2”.
A sua volta, l’art. 17, comma 2, Legge 124/2015 prevede che tale delega in materia di riforma della disciplina della dirigenza pubblica, può essere esercitata congiuntamente quella relativa al riordino della disciplina del pubblico impiego “mediante l'adozione di uno o più decreti legislativi (...), purché i decreti siano adottati entro il termine di cui all'articolo 11, comma 1”, ossia entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della medesima Legge 124/2015.
 
Tale termine per l’esercizio delle delega in materia di riforma della disciplina della dirigenza pubblica è già scaduta in data 28 agosto 2016, atteso che la Legge 124/2015, pubblicata è entrata in vigore in data 28 agosto 2015.
Al riguardo, codesta Ecc.ma Corte aveva già rilevato la scadenza della delega in esame nel parere n. 87 del 17 gennaio 2017, nel quale è condivisibilmente individuato quale “unico possibile” rimedio per ovviare alla medesima scadenza “quello di adottare una nuova legge delega conforme ai vincoli procedimentali sanciti dalla sentenza della Corte costituzionale”.
Anche la previsione di cui al comma 2 dell’art. 23 dello schema di decreto legislativo risulta illegittimo per eccesso di delega, sia sul piano temporale che sul piano sostanziale.

Tale comma 2 rinnova il nuovo blocco delle retribuzioni dei pubblici dipendenti, prevedendo che “a decorrere dal 1 gennaio 2017, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016”.
Ebbene, nessuno dei criteri direttivi, dettati dall’art. 11 per l’esercizio della delega in materia di riforma della disciplina della dirigenza pubblica, autorizza il Governo a bloccare, per di più senza una data di scadenza certa, il trattamento economico accessorio dei pubblici dipendenti.
In ogni caso, anche per questa seconda disposizione, è comunque scaduto il termine per l’esercizio della delega, di cui si è detto sopra.

Tale blocco non può costituire nemmeno espressione della discrezionalità del legislatore delegato, poiché pone limiti al diritto soggettivo dei pubblici dipendenti agli incrementi retributivi previsti dalla vigente disciplina contrattuale, in assenza di una specifica previsione in tal senso da parte della Legge 124/2015.

Al riguardo, è quasi superfluo richiamare il granitico insegnamento della Corte Costituzionale, secondo cui la facoltà del Governo di dettare limiti ai diritti soggettivi mediante la decretazione delegata non si può desumere “in via di interpretazione”, ma deve essere oggetto di una specifico precetto autorizzativo (sentenze n. 2 del 1961, nn 2, 28 e 75 del 1961 e n. 38 del 1962).


Costantino Troise, ANAAO ASSOMED
Alessandro Vergallo, AAROI-EMAC
Mauro Mazzoni, FASSID FASSID (Aipac, Aupi, Simet, Sinafo, Snr Dirigenti) Raffele Perrone Donnorso ANPO-ASCOTI-FIALS MEDICI


14 aprile 2017
© Riproduzione riservata

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