Riforma PA. Fedir Sanità: “L'ennesimo bluff di Renzi”
Per il sindacato dei dirigenti gestionali, tecnici e amministrativi del Servizio sanitario nazionale, questa "non è una riforma ma una manovra fiscale e fra qualche anni, quando Renzi non ci sarà più, i cittadini pagheranno a caro prezzo le inefficienze strutturali di questa pessima riforma. Senza dimenticare la pioggia di ricorsi in arrivo da ogni fronte".
28 AGO - “Diciamolo forte e chiaro: la Riforma targata Renzi/Madia e varata il 25 agosto non serve affatto al miglioramento della PA, ma – così com’è - è solo un modo per consentire alla politica di tenere completamente in pugno i dirigenti sotto la minaccia costante del licenziamento e della penalizzazione economica”. Così il segretario nazionale di Fedir Sanità,
Antonio Travia, il sindacato rappresentativo dei dirigenti non statali e cioè della stragrande maggioranza dei dirigenti pubblici.
Per Fedir Sanità è sufficiente una rapida lettura dell’art 8 (trattamento economico) del decreto "per capire il vero ed unico scopo della riforma: fare cassa tagliando inopinatamente gli stipendi della dirigenza senza alcun vero e sostanziale riferimento al merito e alla professionalità effettivi dei dirigenti pubblici. E’ l’ennesima conferma, se ancora ce ne volesse una, che i veri talenti, nei ruoli amministrativi e gestionali pubblici, mettono a disagio quella politica che, incapace e corrotta, li emargina imputandosi con sempre maggiore forza il potere di scegliersela. E così sempre di più sono solo i dirigenti disposti ad assecondare servilmente decisioni anche quando non rispondenti ai criteri di legittimità, efficacia, efficienza della PA che avranno una possibilità concreta di essere scelti".
La prova lampante di questo teorema è la norma (art. 11 lettera c del decreto) che imputa al solo dirigente pubblico l’esclusiva responsabilità amministrativo contabile, il quale a questo punto si troverà fra l’incudine della sua responsabilità ed il martello di non trovarsi nella condizione di perdere il posto perché nessuno gli attribuirà un incarico.
"Per quanto riguarda noi di Fedir Sanità – che rappresenta una grossa fetta di dirigenza pubblica (dirigenti amministrativi e gestionali delle Asl e AO) senza dimenticare i dirigenti di Regioni ed Enti locali, nonché gli ormai ex segretari comunali – non si può non evidenziare il fatto che le norme sono state pensate esclusivamente da e per la dirigenza dello Stato (e ciò nonostante le innumerevoli proposte venute dai dirigenti non statali anche per mezzo delle OOSS) e calata come una mannaia sulla dirigenza delle Regioni, Sanità e Comuni. Un vero eccidio di massa.
Da conto annuale 2014 - prosegue il sindacatp - i dirigenti dello Stato sono circa 5.600 unità con stipendi a partire da un minimo di 100.000 euro annui. Di questi solo 680 sono dirigenti di I fascia con stipendi medi di oltre 200.000 euro annui. Tutti gli altri dirigenti pubblici (regioni, comuni e amministrativi e tecnici della Sanità) sono 4 volte di più (circa 20.000) e con stipendi medi non superiori a 100.000 euro (in Sanità in particolare intorno ai 75.000 euro). Gli uffici dirigenziali dello Stato sono dotati di più figure dirigenziali per la stessa funzione mentre, soprattutto per Comuni e Sanità, gli uffici dirigenziali sono composti, da un solo dirigente".
Essendo questa la situazione:
- Come si fa ad imporre a tutti i dirigenti il criterio della rotazione degli incarichi senza tener conto che spostare l’unico dirigente dell’ufficio in assenza di effettivi e riscontrati fatti corruttivi significa privare due uffici del dirigente provvisto di adeguata competenza?
- Come si fa a regolamentare in maniera indistinta (art. 7) pesantemente le conseguenze per il dirigente che resta senza incarico senza differenziare le varie situazioni. Mentre infatti per gli uffici statali le riorganizzazioni sono previste per legge (e quindi hanno tempi anche lunghi e criteri certi), per gli altri enti pubblici basta un semplice provvedimento amministrativo dell’organo di vertice e la realtà dei fatti (basta fare un giro sui siti degli enti) dimostra non solo che regioni, comuni e aziende sanitarie procedono a riorganizzazioni a getto continuo (il che peraltro fa prevedere come sostanzialmente impossibile la adeguata tenuta da parte del solo Dipartimento della Funzione Pubblica della gestione di tutti i Ruoli e dell’albo degli uffici dirigenziali di tutte le pubbliche amministrazioni sancita dall’art 2 del decreto), non solo che in questo momento per effetto delle continue riorganizzazioni l’80% dei dirigenti (soprattutto in sanità) è privo di incarico perché in proroga, ma anche che assai più sovente di quanto si pensi ai dirigenti non vengono attribuiti – in funzione di spoil system – gli incarichi disponibili, attribuiti spesso invece in aggiunta a chi è già titolare di proprio incarico.
- Come si fa a pensare che possa essere davvero efficace il sistema delineato dall’art. 4 in materia di modalità di affidamento degli incarichi. Come si può infatti pensare che le tre commissioni possano operare in maniera efficace ed indipendente se:
1) tutte e tre le Commissioni sono composte dalle stesse 7 persone (Presidente ANAC, Presidente dei Rettori, Ragioniere Generale dello Stato ecc ) che oltre a dover far fronte agli impegni – si presume già alquanto gravosi – del proprio incarico, dovranno fissare i criteri di scelta, selezionare tutti i dirigenti pubblici apicali, verificare tutti gli altri incarichi dirigenziali, verificare i sistemi di valutazione di tutte le P.A. e così via;
2) i 7 membri compongono di diritto le Commissioni in virtù (senza neanche possibilità di delega) del loro incarico che però è sostanzialmente di nomina politica (Presidenza del Consiglio). Anche gli ulteriori due membri (con requisiti di professionalità diversi a secondo di ciascun ruolo) sono nominati dalla Presidenza del Consiglio. Dove sta allora l’autonomia delle Commissioni? Non sarebbe stato preferibile un sorteggio fra candidati con comprovati requisiti di professionalità?
"Ed infine - aggiunge Fedir Sanità -: visti i dati del conto annuale 2014 sull’enorme divario dei livelli retributivi fra dirigenza statale e dirigenza non statale e considerato che il trattamento fondamentale di tutta la dirigenza pubblica è pari a 43.000 euro annui circa (solo i dirigenti di I fascia sono a €. 55.000 circa) è evidente come si riveli penalizzante per i dirigenti non statali la norma dell’art. 8 del decreto secondo cui il trattamento fondamentale non deve essere superiore al 50% del trattamento accessorio. Tale disposizione, combinata con l’altra (sempre dell’art. 8) secondo la quale finchè tale proporzione non sarà raggiunta i CCNL non potranno prevedere aumenti del trattamento fondamentale, risulta particolarmente penalizzante soprattutto per coloro che rimanendo senza incarico percepiranno (come prevede l’art. 7 del decreto) il solo trattamento fondamentale".
"Questa - conclude il sindacato - non è una riforma ma una manovra fiscale e fra qualche anni, quando Renzi non ci sarà più, i cittadini pagheranno a caro prezzo le inefficienze strutturali di questa pessima riforma. Senza dimenticare la pioggia di ricorsi in arrivo da ogni fronte".
28 agosto 2016
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