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Infermieri. Nuove competenze o nuove mansioni? 

di Ivan Cavicchi

Il documento dell'Ipasvi sull'evoluzione delle competenze infermieristiche ragiona come se la sanità fosse una prateria sconfinata e senza padroni. Cioè come se gli infermieri fossero alla conquista del west, ma la realtà è diversa. La prateria è fatta da tanti territori diversi e distinti divisi da confini

10 MAR - Caro Siringhino, riprendendo il discorso  sulla proposta Ipasvi, vogliamo dirla come ci viene? Da quel che appare l’Ipasvi non ha nessun progetto per la  risoluzione della “questione infermieristica” della quale ti ho parlato all’inizio (Qs 3 marzo 2016) e meno che mai per attuare una volta per tutte la riforma  della professione (L. 42),  per cui pensa di dover rompere il profilo in pezzi, tornare  alle mansioni, espanderle fin dove è possibile
 
Siccome  le mansioni  aggiuntive (competenze avanzate)  non sono tante e non sono per tutti  ritiene di dover mantenere  la massa degli infermieri a bagno maria nella post ausiliarietà e di  istituire una élite di cyber nurser.
 
Il documento che ho analizzato a mio parere è visibilmente in malafede nel senso che quello che propone è posto come una scelta obbligatoria quindi senza alternative. Sfido chiunque a dimostrare che è così. Questa malafede poi si tocca quasi con mano nelle sue argomentazioni tutte confutabili  e nessuna, sottolineo nessuna, priva di aporie ma soprattutto in una definizione e in una distinzione:
· del concetto di competenza
· tra competenza esperta e competenza avanzata
 
Nel primo caso dopo arzigogolate giravolte tra competenza, capacità, conoscenza, abilità  questa è la definizione che ci viene rifilata:“per competenza intendiamo una caratteristica intrinseca individuale, causalmente collegata a una performance efficace e/o superiore in una mansione o in una situazione e valutabile sulla base di un criterio stabilito”. Mi si spieghi cosa vuol dire in pratica?
 
Ecco la risposta:“una persona può essere riconosciuta come competente non solo se è capace di compiere con successo un’azione ma anche se è capace di comprendere perché e come si agisce ... di agire con autonomia, ..di reinvestire le proprie competenze in un altro contesto”.
Non c’è bisogno di commento. Si tratta di una argomentazione semplicemente inconsistente.
 
Nel secondo caso si sancisce una dicotomia incomprensibile oltreché  inutilmente dannosa tra professionisti espertie professionisti competenti:
· i primi“di fronte a una situazione da affrontare, dimostrano buona capacità di inquadramento della stessa”,
· i secondi  “sono soggetti già esperti che affrontano le situazioni non solo utilizzando le proprie esperienze pregresse, ma anche identificando, progettando, negoziando e realizzando, anche in termini multiprofessionali, nuove strategie operative”.
 
Non perderò tempo mio caro Siringhino  a dimostrare l’insensatezza di questa distinzione mi limito solo a farti osservare che essa è un modo neanche tanto elegante di distinguere una massa informe di praticoni da una élite di raffinati intellettuali.
 
Se c’è una caratteristica di base della medicina in tutte le sue espressioni professionali, nessuna professione esclusa, è l’indissolubilità del dato empirico con il dato teorico. E in ogni caso prima di qualsiasi esperienza c’è un percorso di studi  di tutto rispetto nel senso che l’esperienza non può essere data priva di una preparazione teorica adeguata.
 
Non ha quindi alcun senso dire che “la competenza avanzata è, un’estensione della competenza esperta da cui si distingue per il fatto che, mentre quella esperta si acquisisce in gran parte in modo esperienziale, quella avanzata si acquisisce attraverso un arricchimento del repertorio di saperi attraverso percorsi formativi universitari.
 
Non esiste  in nessun caso la possibilità per l’esperienza di prescindere dalla conoscenza teorica e il contrario. Quello del documento è quindi un modo goffamente  strumentale  di svalutare l’esperienza nei confronti dell’intellettualità, di gerarchizzare il principio empirico rispetto a quello teorico ignorando quindi che soprattutto per l’assistenza infermieristica essi sono indissolubili. Fidati, mio caro Siringhino, l’Ipasvi, rispetto al dibattito sui rapporti tra teoria e pratica, è rimasta ferma a qualche secolo fa.
 
Quando leggo che “ciò che caratterizza particolarmente la competenza avanzata, è la disposizione del soggetto a porsi in una dialettica continua tra generale e particolare.... in grado, costantemente, di far riferimento a modelli teorici e a quadri concettuali (il generale) che gli forniscono la struttura mentale per riflettere e orientarsi nell’operatività (il particolare).”sono come aggredito  dall’orticaria e mi viene da chiedere: “ma scusate ma cosa fanno tutti i giorni tutti gli infermieri del mondo?”.
 
E’ evidente che per dire ciò l’Ipasvi conta sulla impreparazione e la sprovvedutezza degli infermieri facendo un grave errore perché da un po’ di tempo, piano piano, gli infermieri stanno cambiando e soprattutto  i giovani non sono più disposti a farsi abbindolare dalle chiacchiere. Leggetevi la riflessione  di  Andrea Lucchi Lucchi sul libro curato da Chiara D’Angelo e capirete a cosa mi riferisco (Qs 8 marzo 2016).
 
Ma il punto più critico, mio caro Siringhino,  si ha quando il documento parla di competenze avanzate pur sapendo di mettere i piedi in un campo minato e senza dire quale è il confine oltre il quale le competenze diventano  avanzate. Avanzate  rispetto a che? Il documento ragiona come se la sanità fosse una prateria sconfinata e senza padroni cioè come se gli infermieri fossero alla conquista del west, ma la realtà è diversa. La prateria è fatta da tanti territori diversi e distinti divisi da confini.  Ci sono vere e proprie circoscrizioni professionali. Se la competenza avanzata è un pezzo di terra in più rispetto al territorio tradizionalmente  assegnato agli infermieri si tratta di capire se questo pezzo di terra lo rubo, lo compro , lo scambio. lo condivido o come mi pare di capire lo esproprio.
 
A scanso di equivoci  ribadisco quello che ho sempre sostenuto e cioè che:
· non ho nulla contro le specializzazioni, da tempo sostengo che la L. 42 va solo applicata perché le specializzazioni sono già nella realtà  come le aree specialistiche,
· i confini tra circoscrizioni professionali  debbono essere ridefiniti perché è cambiato tutto,
· per me  ridefinire le competenze delle professioni e le loro relazioni  è addirittura un obbligo riformatore, sono io e non altri che fino ad ora ha parlato di “autori” e di “coevoluzione”.
 
Ciò detto  si tratta di capire con quale modalità  gli infermieri acquisiscono  altro spazio professionale. L’esperienza del comma 566 ci dice che se provi a rubare la terra degli altri senza il loro consenso ti prendono a fucilate. Allora come fare?
 
Il documento fa quello che l’Ipasvi ha sempre fatto:
· definisce una norma che prende il posto di un’altra norma per espropriare altre professioni di qualcosa,
· cerca di farla passare in parlamento o non so dove illudendosi di imporla al contesto-controparte,
· se la norma resterà come è probabile sulla carta ne farà un'altra e ancora un'altra e via di questo passo.
 
E come la fa questa norma? Alla solita maniera:
· inventa un profilo anche a costo di rimangiarsi  quello di prima,
· aggiunge  studi su studi convinta che ciò basti,
· punta sul  pezzo di carta, per risolvere tutto.
 
Tutti noi  sappiamo che i pezzi di carta, se non si riformano i contesti e le loro organizzazioni, non valgono niente e che oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, un infermiere laureato lavora esattamente come un infermiere diplomato. Cioè le prassi di fatto sono invarianti rispetto al titolo di studio. Non ti spiego perché, l’ho spiegato molte volte
 
E gli infermieri cosa dicono? Caro Siringhino gli infermieri sono come i fiori di campo ve ne sono di tutti i colori...alcuni se fai una analisi seria delle loro sciocchezze ti accusano di non avere gusto e magari sono gli stessi che con  il dito medio alzato a nome dell’Ipasvi  mandano pubblicamente a quel paese coloro che si battono per la trasparenza dei collegi. Altri che tacciono, però dopo l’articolo, ti mandano i complimenti per sms perché non possono fare altro. Ancora altri  che vorrebbero fare ma sono come paralizzati dalle situazioni che vivono. Altri che invece ti scrivono e ti chiedono consigli.
 
Ancora altri che prendono il coraggio a quattro mani per dire le loro opinioni anche se è pazzesco che per dire le proprie opinioni si debba fare appello al coraggio. Altri che invece vorrebbero spaccare le montagne ma al massimo riescono a ciancicare il brodo che passa il convento. Altri che montano in turno lavorano a testa bassa smontano dal turno e tornano a casa e nonostante le tante frustrazioni cercano di essere  infermieri, cioè di fare il loro dovere fino in fondo. Altri ancora se ne strafregano alla grande delle mie analisi fenomenologiche e delle tue favole.
 
Ma non li biasimo. Costoro sono delusi dal sindacato, dall’Ipasvi, dai loro dirigenti diretti, e sono molto incazzati. Sono quelli che da dipendenti pubblici molto probabilmente useranno la sentenza del tribunale di Venezia per non pagare i contributi  Ipasvi (Qs 6 marzo 2016). Del resto se qualcuno ti ruba la professione come fai a non arrabbiarti e a pagare per fartela rubare? Infine ci sono coloro come te, mio fiero Siringhino, coloro che non gettano la spugna, che si battono  per diventare gli infermieri che vorrebbero essere e dovrebbero essere, che pensano, proprio così... che usano la testa… molti di costoro  sono giovani  e non vogliono affogare nel disincanto e meno che mai diventare “ciancica brodo” come tanti capetti.
 
Fattelo dire mio, caro Siringhino, la tua, con tutte  le sue  magagne, è una straordinaria professione, che come sai nonostante le mai gentili esecrazioni che mi sono beccato dall’Ipasvi, amo molto. Non ti nascondo che a volte se penso a questo “blocco di potere” che incombe sulla professione mi viene voglia di mandare tutto a quel paese.  
 
Ma poi penso che, come tutti i “blocchi di potere”, anche quello dell’Ipasvi prima o poi si sgretolerà proprio come tutti gli altri e poi, detto fuori dai denti, davanti a certe cose  non riesco proprio a girarmi da un’altra parte. Per cui stanne certo fino a quando mi funzionerà  la capoccia continuerò  a pensare per aiutare coloro che vogliono pensare. So che pensare la tua professione non basta ma sappi caro Siringhino che sono contento di averti pensato.
 
Ivan Cavicchi
 
Leggi le altre due puntate delle “lettere a Siringhino” (la prima, la seconda).

10 marzo 2016
© Riproduzione riservata

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