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Anziani e contenzione fisica negli ospedali e nelle Rsa. Uno studio infermieristico sui suoi rischi e su come farne a meno

di Giovanni Muttillo

Gli studi evidenziano la necessità di formazione relativa ai rischi della contenzione e sull’uso di strategie alternative. Una formazione ad hoc su queste tematiche ha mostrato, non solo un aumento delle reazioni positive alle strategie alternative da parte dei pazienti, ma anche una maggiore soddisfazione lavorativa da parte del personale infermieristico

09 OTT - Sulla rivista della Federazione Ipasvi “l’Infermiere” n. 4/2015 è stato appena pubblicato l’articolo: “Il ricorso alla contenzione fisica: cosa pensano e vivono gli infermieri”. Una ricerca qualitativa. Lo studio, tra i più importanti in Italia sulla complessità del fenomeno, rappresenta il secondo step di un’ampia ricerca multicentrica: “La contenzione fisica degli anziani negli ospedali e nelle RSA: evidenze epidemiologiche in Lombardia”, condotta nel 2010 dai tre Collegi IPASVI di Aosta, Brescia e Milano-Lodi-Monza e Brianza, dalla quale era emersa una prevalenza della contenzione fisica del 15,8% su 2.808 degenti nelle unità di chirurgia, geriatria, medicina, ortopedia e terapia intensiva e del 68,7% su 6.690 residenti nelle RSA.
 
Lo studio qualitativo ha dato voce agli infermieri sulle convinzioni, anche da una prospettiva etica e deontologica, sui fattori ostacolanti e soprattutto quelli che favorirebbero una riduzione di tale pratica. Per il processo decisionale l’infermiere assume un ruolo strategico all’interno dell’equipe assistenziale, soprattutto per la posizione di garanzia che ha nei confronti dei cittadini. A questa stregua la contenzione è da considerarsi un atto terapeutico?
 
I risultati possono essere utili non solo agli infermieri ma anche a tutte le altre comunità professionali, alla politica e agli stakeholder, come punto di partenza per riflettere sulla pratica clinica e proporre dei programmi di prevenzione della contenzione fisica.
 
Gli effetti negativi della contenzione si ripercuotono non solo sul soggetto interessato, ma anche sugli altri pazienti presenti nel reparto, sui familiari e sull’intera equipe assistenziale in cui si apre un conflitto decisionale su chi ne giustifica il ricorso e su chi lo condanna, in quanto lesiva della dignità e autonomia della persona.
 
Questo perché l’indicazione di un preciso confine fra uso e abuso della contenzione fisica e dei mezzi di contenzione, a volte, è mal definibile ed il limite fra il lecito e l’illecito assume spesso interesse giudiziario, potendosi individuare diverse ipotesi di reato, contenute nel Codice Penale:
• art. 605 - sequestro di persona;
• art. 610 - violenza privata; 
• art. 572 - maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli;
• art. 571 - abuso dei mezzi di correzione o disciplina;
• art. 589 - omicidio colposo;
• art. 591 - abbandono di persone minori o incapaci;
• art. 581 – percosse;
• art. 582 - lesioni personali;
• art. 586 - morte o lesioni come conseguenza di altro delitto.

Infine il Codice Penale all’art. 40 conferisce addirittura l’obbligo giuridico di intervenire:
“Non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”.

Gli studi evidenziano la necessità di formazione relativa ai rischi dell’uso della contenzione e l’uso di strategie alternative.
I programmi formativi ed educativi che si concentrano sull’uso della contenzione, sulle sue conseguenze, sulle alternative (fisiche, ambientali, fisiologiche e psicologiche) hanno mostrato, non solo un aumento delle reazioni positive alle strategie alternative da parte dei pazienti, ma anche una maggiore soddisfazione lavorativa da parte del personale infermieristico.

Le linee guida RNAO:
• autonomia e sicurezza del paziente;
• caratteristiche dei possibili pazienti a rischio di contenzione;
• educazione del paziente, della famiglia e della sui rischi della contenzione, le alternative e aspettative per garantire la sicurezza a tutti;
• il processo decisionale;
• definizione e comprensione delle diverse forme di contenzione;
• considerazioni sugli aspetti giuridici, etici e clinici legati all’uso della contenzione;
• componenti psicologiche ed emotive riguardo l’utilizzo della contenzione fisica sui pazienti;
• opportunità per gli infermieri di auto riflessione sulla propria autonomia, valori e credenze in materia di diritti umani;
• l’uso di approcci alternativi per evitare ogni forma di contenzione.

Raccomandazioni della Conferenza delle Regioni e P.A. (2010):
- è nel silenzio che si sta realizzando un uso poco critico di questa pratica
- il suo superamento è un elemento di qualità del miglioramento continuo della pratica psichiatrica
- è un atto anti-terapeutico
- può essere eliminata solo nella prospettiva di una prevenzione dei comportamenti violenti nei luoghi di cura
- standard di personale e struttura nei luoghi di cura, miglioramento della presa in carico del DSM
- trasparenza e vivibilità dei luoghi di cura
- protocollo, formazione all’assistenza
- monitoraggio a livello regionale.


Può quindi essere considerata lecita una contenzione che abbia a suo sostegno il presupposto di essere stata applicata secondo una prescrizione medica?
… la contenzione è un atto anti terapeutico … (Conf SR, 2010) pertanto non è prescrivibile.
 
La filosofia che i Collegi vogliono perseguire - proprio per la duplice funzione di garanzia che ricoprono - per e con i Cittadini è una cultura Restraint free (liberi dalla contenzione), garantendo contemporaneamente la libertà, la dignità e la sicurezza della persona assistita.
La chiave di volta è rappresentata dalla formazione, dal riesame dell’art. 30 del Codice Deontologico 2009 degli infermieri e dalla consapevolezza dei professionisti, dei cittadini e dei soggetti coinvolti nel governo delle politiche sanitarie e professionali.
 
Dr. Giovanni Muttillo 
Presidente Ipasvi Milano, Lodi, Monza e Brianza

09 ottobre 2015
© Riproduzione riservata

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