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Medici e infermieri? Mai così d'accordo. L’indagine Eures: “Più del 90% dei camici bianchi soddisfatto del lavoro con gli infermieri e l’80% dice sì all’infermiere specialista”


Seconda giornata congressuale per gli infermieri. Al centro i risultati di un'indagine che rivela una realtà "inedita" dei rapporti tra medici e infermieri. Negli ospedali e nelle altre situazioni la collaborazione è massima e i medici non sembrano affatto spaventati da un infermiere "più preparato e competente". L'INDAGINE, LE TABELLE.

06 MAR - Comma 566? Possibilità di prevedere competenze avanzate? Infermiere specialista? Sembra che per i camici bianchi non sia un problema. Infatti, l’interazione in corsia per oltre 9 medici su 10 è possibile. A dirlo è un’indagine – presentata oggi al Congresso nazionale della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi in svolgimento all’Auditorium Parco della musica di Roma - condotta nel 2014, quindi ben prima che scoppiassero le polemiche sul comma 566. dall’Eures, Istituto di Ricerche Economiche e Sociali, 
 
È la soddisfazione il sentimento dominante tra i medici intervistati in merito ai rapporti instaurati con le altre figure sanitarie operanti nella propria UO (unità organizzativa): in particolare tale indicazione raccoglie il 94,2% delle adesioni relativamente al rapporto con gli infermieri, il 93,3% in relazione al rapporto con gli altri medici della UO e il 92,4% per quanto riguarda il rapporto con le altre figure sanitarie. Pur a fronte di una indicazione trasversalmente plebiscitaria, la più alta percentuale di medici soddisfatti del rapporto con gli infermieri si riscontra nell’area intensiva e dell’emergenza-urgenza (96,8%, a fronte del valore “minimo” del 91,3% nell’area medica), mentre la maggiore soddisfazione per i rapporti con gli altri medici (97,1%) si registra nell’area neonatologica-pediatrica. L’Eures ha analizzato tutte le aree geografiche (Nord, Centro, Sud), generi (uomo, donna) e fasce di età (fino a 39 anni, 40-54 anni, 55+ anni), in 212 strutture sul territorio nazionale per un totale di 380 reparti coinvolti.
 
Il problema delle relazioni tra medici e infermieri, messo in evidenza da qualche settimana per le critiche al “comma 566” della legge di stabilità 2015 che dà l’imprimatur normativo alla possibilità di prevedere competenze avanzate, se c’è, è a livello di “comando”. A livello di dirigenza (primari soprattutto) in un quarto in media delle strutture non si affronta in genere la questione della collaborazione tra le diverse figure sanitarie, mentre il 4,2% la “tollera” pur non incentivandola, e un residuale 0,5% la ostacola.
C’è di più. Otto medici intervistati su 10 (il 79,3%) sono favorevoli all’introduzione dell’infermiere specialista (anche se non tutti conoscono nel dettaglio la previsione), per il quale è già pronto un accordo Stato-Regioni: in particolare il 25,6% dei medici si dice “del tutto favorevole” e il 53,7% “abbastanza favorevole”, mentre il 20,7% è  contrario (il 16,1% “piuttosto” e il 4,6% “del tutto”).
 
Oltre i due terzi dei medici sono convinti che la presenza dell’infermiere specialista sarà “molto” o “abbastanza utile ed efficace” in tutte le aree mediche in cui sarà impegnato. A “volerli” nel proprio reparto sono soprattutto quelli di medicina generale (75,5%) e di neonatologia/pediatria (74,3%), seguiti dai medici impegnati nell’area intensiva e dell’emergenza/urgenza e da quelli della salute mentale e dipendenze (66,7% in entrambi i casi). Una valutazione positiva di utilità/efficacia c’è anche tra i chirurghi (63,5%) e i medici dell’area delle cure primarie e servizi territoriali (55%), tra i quali tuttavia gli “scettici” sono il 45 per cento.
 
La maggiore “adesione” all’introduzione dell’infermiere specialista è tra le donne (favorevoli nell’84% dei casi, contro il 76,2% tra gli uomini), i medici più giovani (85,7%, scendendo al 78,2% tra i medici di 40-55 anni e al 76,2% tra gli over54) e i medici dell’area neonatologico-pediatrica (favorevoli nell’84% dei casi, a fronte del valore minimo di 75,6% nell’area chirurgica). Sono inoltre i medici ospedalieri (87%) e quelli che non svolgono attività intramoenia (87,6%) ad apprezzare di più la proposta, riconoscendo il valore aggiunto, le potenzialità e le positive ricadute che potrà avere una figura infermieristica con competenze avanzate.
 
Sul fronte opposto, la condivisione scende di circa il 20% tra i medici che lavorano anche presso studi privati o che svolgono soprattutto intramoenia, tra i quali i contrari salgono rispettivamente al 35,2% e al 35,1%. L’area dei contrari è poi maggiore nelle più alte gerarchie mediche: 36,4% tra i dirigenti delle Unità operative complesse (comunque favorevoli nel 63,7% dei casi), a fronte del 14,6% dei direttori delle Unità operative semplici (favorevoli nell’85,4% dei casi).
 
La collaborazione tra le diverse figure sanitarie sembra costituire quasi un imperativo nella gestione delle Unità operative visto che oltre 7 dirigenti su 10 la “promuovono” o la “impongono. E sono i dirigenti delle strutture private (accreditate/convenzionate) a sostenerla di più (86,4% dei casi) rispetto a quelli della strutture pubbliche (71,2%), dove invece, più frequentemente, i dirigenti tendono a non occuparsene (24,1% dei casi contro il 13,1% delle strutture accreditate/convenzionate).
 
La cooperazione tra le diverse figure sanitarie ha il suo obiettivo primario nella tutela del paziente e della sua salute e investe trasversalmente i diversi processi di presa in carico, di cura e di gestione complessiva dei pazienti. Proprio nelle decisioni relative a questo ambito 8 medici intervistati su 10 (il 79,9%) affermano di aver ricevuto aiuto da un infermiere. Di poco inferiori sono le percentuali per le decisioni sulla gestione delle degenze, mentre una maggiore diversificazione c’è per quanto riguarda le decisioni terapeutiche: in questo caso è elevato l’aiuto tra colleghi medici (82,2% dei casi), ma c’è anche quello degli infermieri che aiutano nel 41,2% dei casi il medico in un ambito “teoricamente” di sua esclusiva competenza. 
L’aiuto ai medici dagli infermieri nella gestione dei pazienti è elevato per tutti gli ambiti clinici, con i valori più alti nell’area neonatologica-pediatrica (88,2%);analogamente una maggiore richiesta/apertura all’aiuto degli infermieri emerge tra i medici più giovani e tra le donne.
 
“La ricerca – sottolinea Annalisa Silvestro, senatrice e presidente della Federazione Ipasvi - dimostra che c’è bisogno di professionalità sempre maggiori e soprattutto di una forte collaborazione trasversale per aiutare davvero il cittadino e ottimizzare i servizi. Si devono abbandonare quindi le trincee ideologiche e nessuna famiglia professionale deve arrendersi a essere quella di tanti anni fa e nessuna deve prevalere su nessun’altra. La parola magica, la chiave del futuro, è fare rete e collaborare. Ognuno con le proprie competenze che devono e possono, la ricerca lo sottolinea, crescere e cambiare perché l’evoluzione dell’assistenza lo richiede”. 

06 marzo 2015
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