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Inchiesta QS. Infermieri d'Italia (terza puntata). Formazione e carriera


Un lungo percorso di crescita, dall’abolizione del mansionario al riconoscimento dell’autonomia professionale, dalla formazione universitaria alla creazione della dirigenza infermieristica. Ma spesso le innovazioni legislative non si sono tradotte in atti concreti.

24 GEN - Dopo avere tracciato l'identikit dell'infermiere italiano nella prima puntata e curiosato tra le loro buste paga nella seconda puntata, Quotidiano Sanità dedica un nuovo (ed ultimo) approfondimento alla professione infermieristica analizzando il fabbisogno di infermieri in Italia e il rapporto tra le immatricolazioni e i posti disponibili nei corsi di Laurea in Infermieristica. Con uno sguardo al resto del mondo per capire se il rapporto infermieri/abitanti nel nostro Paese è in linea con quello degli altri Paesi occidentali.

Da più di dieci anni gli infermieri italiani si formano tutti nelle Aule universitarie e non più nelle scuole regionali. Una conquista importante, fortemente voluta dai vertici della professione, ma che ha prodotto anche nuovi problemi. Il rischio, infatti, è quello di essere fagocitati dai medici, che nell’Università ci stanno da sempre e che occupano la gran parte delle cattedre dei nuovi corsi di Laurea in Scienze Infermieristiche. Oggi, come spiega Julita Sansoni dell’Università La Sapienza di Roma nell’intervista rilasciata a Quotidiano Sanità, in tutta Italia solo 34 infermieri sono docenti universitari di ruolo, venti dei quali sono ricercatori. E cosi, aggiunge Sansoni, i percorsi di studi “seguono un modello biomedico”, con l’insegnamento di “discipline mediche, anche perché, a oggi, la disciplina infermieristica riconosciuta in Italia è una sola”.
E questa situazione pone problemi anche per quanto riguarda l’accesso alla formazione. Per l’anno universitario in corso, ad esempio l’Ipasvi aveva stimato che fosse necessario oltre 22mila posti per nuove immatricolazioni nei corsi di laurea in Infermieristica, una cifra sostanzialmente corrispondente alla valutazione fatta dalle Regioni, che dichiaravano un fabbisogno superiore a 21mila unità. Numeri importanti, necessari per tamponare la carenza di infermieri ormai cronica nel nostro Paese, dove ci sono solo 7 infermieri ogni mille abitanti contro una media Ocse di 9,6 (vedi tabella 1). E numeri che trovano adesione da parte dei giovani, visto che le domande di immatricolazione sono state circa il doppio, 44mila. A queste richieste, però, le Università hanno risposto offrendo soltanto poco più di 16mila posti, oltretutto con una distribuzione territoriale del tutto sganciata dalle richieste e con un incremento davvero modesto rispetto agli anni scorsi (vedi tabella 2).
 
Non meno difficile la situazione della dirigenza infermieristica, l’altra grande conquista normativa ottenuta dagli infermieri nel 2000. Dati precisi su questa realtà non ce ne sono, essendo tutto stabilito a livello di singola Azienda sanitaria o ospedaliera, ma certamente lo schema organizzativo delle strutture sanitarie non è stato radicalmente modificato da questa novità.Nell’intervista che pubblichiamo, la presidente della Federazione nazionale Ipasvi Annalisa Silvestro riassume la situazione: “Basta guardarsi intorno: le amministrazioni hanno un numero di dirigenti rilevante, i medici entrano addirittura tutti come dirigenti, pensare che per gli infermieri ce ne sia uno solo in ogni Azienda è davvero poco”.
E, oltretutto, questo non consente di realizzare quello sviluppo di carriera che resta tra gli obiettivi di molti infermieri. Spiega ancora Silvestro: “Non si tratta solo di sviluppare la progressione di carriera sul versante dell’organizzazione e del management, ma di costruire la possibilità di sviluppo di carriera nella clinica: se ho degli infermieri che si assumono alcune responsabilità cliniche, dovrò valorizzarli”.
Una prospettiva che certamente apre una nuova discussione e che potrebbe richiedere nuovi interventi legislativi.
E.A.
 
 
Come è cambiata la professione infermieristica
 
1994 – Un decreto ministeriale definisce i nuovi profili delle professioni sanitarie, riconoscendo loro un ambito proprio e una propria responsabilità: “l’infermiere è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale è responsabile dell’assistenza generale infermieristica”(D.M. 14 settembre 1994, n. 739).
1999 –Vengono aboliti la definizione di professione sanitaria “ausiliaria” e il mansionario, che elencava i compiti degli infermieri, affidando l’individuazione del campo di “attività e responsabilità” delle professioni sanitarie agli ordinamenti didattici e ai rispettivi Codici deontologici (Legge 26 febbraio 1999, n. 42).
2000 – Una sola legge per tre conquiste importanti: il pieno riconoscimento dell’autonomia professionale (art.1); lo spostamento della formazione in ambito universitario (art.5); la creazione della qualifica di “dirigente del ruolo sanitario” (Legge 10 agosto 2000, n. 251).
2001 – Istituzione delle Lauree specialistiche delle professioni sanitarie (Decreto Ministeriale del 2 aprile 2001, G.U. del 5 giugno 2001, n.128).

24 gennaio 2011
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