Inchiesta QS. Infermieri d'Italia (seconda puntata): quanto guadagnano
Si parte con 1.300 euro al mese e, al massimo della carriera, si può arrivare a 2.500. Ma non si rischia mai di restare disoccupati. E, grazie al ddl sul governo clinico, si affaccia la possibilità della libera professione.
09 DIC - Difficile calcolare quanto guadagna un infermiere. Al di là delle “tabelle” del contratto nazionale, infatti, a determinare la retribuzione ci sono poi diverse voci variabili: indennità di funzione, di risultato, lavoro notturno, straordinari, ecc.
Tra i pochi studi disponibili sull’argomento, quello di Carlo De Pietro, pubblicato nel Rapporto Oasi 2007 del Cergas-Bocconi. Analizzando dati del 2005, nelle strutture pubbliche si andrebbe, in media, dai 2.500 euro mensili per l’infermiere di pronto soccorso, ai 2.500-2.250 per infermieri di area critica, di area chirurgica delle degenze di area medica, ferristi e strumentisti, ai 2.250-2.000 per gli infermieri di ambulatori o day hospital.
Lo stesso studio registra anche un lieve slittamento verso il basso delle retribuzioni nelle strutture private: 2.500 euro mensili solo per gli infermieri di pronto soccorso, 2.500-2.250 euro per infermieri di area critica, ferristi e strumentisti, tra i 2.250 e i 2.000 per gli infermieri di degenza medica e di area chirurgica, poco sotto i 2.000 per gli infermieri di ambulatori o day hospital.
Attenzione però, le cifre medie mensili indicate, sono lorde e quindi vanno ulteriormente decurtate del carico fiscale. Oggi, cioè cinque anni dopo, le retribuzioni infermieristiche “in busta paga” vanno da 1.300-1.400 euro mensili fino ad un massimo di 2.500, per un infermiere che abbia raggiunto il massimo livello (Ds7) e abbia una posizione organizzativa di vertice.
E nessuno si faccia venire in mente che l’ingresso della formazione in ambito universitario abbia trasformato molti infermieri in docenti universitari: ad oggi gli infermieri in ruolo di associati sono meno di trenta, mentre gli altri sono docenti “a contratto”, quasi sempre volontari e a titolo gratuito o retribuiti con “gettoni” molto esigui. Ma di formazione parleremo nella prossima puntata di questa inchiesta.
Tornando alla retribuzione, i dati mostrano come alla crescita professionale non abbia corrisposto una crescita in termini di riconoscimenti economici ed è questo certamente motivo di malessere tra gli infermieri. “Quello della retribuzione è ‘la’ questione della professione infermieristica”, sottolinea nell’intervista che pubblichiamo Antonio De Palma, leader di Nursing Up, uno dei sindacati della categoria.
E anche la grande variabilità della retribuzione è un problema, visto che nella stessa struttura possono lavorare gomito a gomito professionisti con diversi trattamenti: dipendenti pubblici, “membri” di cooperative di servizio, assunzioni “a progetto”.
Proprio per questo, come spiega Gianluca Mezzadri nell’altra intervista che pubblichiamo, la Cgil sta pensando ad una “rivoluzione” dei trattamenti economici, che parta dalla tipologia del lavoro svolto piuttosto che dall’inquadramento.
Mai disoccupati
Perché un giovane dovrebbe intraprendere uno studio impegnativo con prospettive retributive così poco allettanti? Per passione, rispondono in molti. Ma c’è anche un altro motivo importante: la professione infermieristica non conosce disoccupazione. Sulle riviste rivolte alla categoria ci sono decine di inserzioni pubblicitarie che offrono lavoro, così come sui diversi siti internet specializzati.
E la professione di infermiere è tra le poche a consentire il meccanismo della “porta girevole”, che riguarda soprattutto le donne: si comincia a lavorare intorno ai 25 anni, poi si interrompe dopo qualche anno per curare i figli e, quando sono un po’ cresciuti, si comincia nuovamente a lavorare. Una scelta impensabile per altri profili lavorativi, che non riuscirebbero mai a trovare nuovamente un posto disponibile.
Guadagnare di più con la libera professione
Fino a qui, abbiamo parlato degli infermieri che lavorano come dipendenti per il Ssn o nella sanità privata. Ma ci sono anche gli infermieri che svolgono la loro attività in forma di professione autonoma. Sono pochi, circa 10mila, e attivi con queste caratteristiche solo da quando la professione ha smesso di essere “ancillare”, conquistando una propria piena autonomia. Come punto di riferimento si può prendere il 1998, data di costituzione dell’Enpapi, l’Ente previdenziale della professione infermieristica che raccoglie i contributi provenienti dal lavoro libero professionale e, per chi lo sceglie, i contributi della previdenza integrativa.
Calcolare i loro guadagni è ancora più difficile, essendo ovviamente legati a molte scelte personali, mentre il loro
tariffario è fermo al 2002, essendo intervenuta nel frattempo la legge Bersani che nel 2006 ha abolito tutti i tariffari professionali.
Da tempo però si sta pensando di consentire anche agli infermieri dipendenti di svolgere parallelamente un’attività libero professionale, come avviene già per quasi tutti i professionisti che svolgono lavoro dipendente, sia in ambito pubblico che privato. E dove si limita ai professionisti questa possibilità, chiedendo loro di lavorare “in esclusiva”, solitamente questa limitazione viene compensata economicamente, come è accaduto con i medici dipendenti dal Ssn con la cosiddetta riforma Bindi (229/99) che introduce appunto l’indennità di esclusività per i medici del Ssn.
Dare agli infermieri la possibilità di svolgere attività libero professionale risponderebbe a molte e diverse esigenze. Innanzi tutto sarebbe una conferma ulteriore della raggiunta autonomia professionale, e per questo è richiesta energicamente da molti sindacati di categoria e anche dai Collegi Ipasvi. In secondo luogo sarebbe una risposta alla crescente domanda di assistenza che viene soprattutto da parte degli anziani e che oggi trova pochissima risposta da parte del servizio sanitario, rivolgendosi così in molti casi a personale non del tutto idoneo.
Infine, visto che sembra impossibile trovare le risorse economiche necessarie ad offrire retribuzioni più sostanziose a questa categoria, darebbe la possibilità ai singoli infermieri di “arrotondare” lo stipendio in proprio.
Dopo diversi disegni di legge ad hoc presentati negli ultimi anni in Parlamento, la libera professione infermieristica per i dipendenti del Ssn è stata inserita nel ddl sul “governo clinico” (
ddl 1552, art.11 Libera professione intramuraria degli operatori delle professioni sanitarie non mediche), ipotizzando anche una libera professione infermieristica “intramuraria”, ovvero svolta nella stessa struttura in cui si è dipendenti, da regolare in modo simile a quanto già avviene per i medici.
Il ddl,che dopo l’esame e le modifiche introdotte in Commissione Igiene e Sanità alla Camera ha raccolto un consenso bipartisan, sembrava pochi mesi fa in dirittura d’arrivo. Ma, il 9 giugno scorso, l’Aula di Montecitorio lo ha rinviato nuovamente in Commissione con diversi rilievi, a cominciare da quello per cui sarebbe una “invasione di campo” rispetto alle competenze delle Regioni, cui spetta di intervenire in materia di organizzazione sanitaria. Al di là degli scenari parlamentari che si apriranno nelle prossime settimane, è difficile capire se riuscirà a proseguire il suo iter.
Eva Antoniotti
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