Eutanasia. Saarti: “Sbagliato associarla al lavoro di cura svolto nelle terapie intensive”
La Società italiana anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva critica chi associa "i temi del fine vita e il complesso lavoro di cura svolto nelle Terapie Intensive, ad azioni connesse con l’eutanasia". E specifica: "Sospendere trattamenti di supporto vitale giudicati sproporzionati nulla ha a che vedere con l’eutanasia".
07 MAG - I temi del fine vita e il complesso lavoro di cura svolto nelle Terapie Intensive italiane non deve essere associato ad azioni connesse con l’eutanasia. Questa la posizione della Saarti che in una nota a firma del presidente
Massimo Antonelli e del coordinatore gruppo studio Saarti sulla bioetica,
Alberto Giannini precisa alcuni punti.
“Per la natura stessa – si legge nella nota - della medicina intensiva i medici devono affrontare decisioni cruciali circa la vita e la morte dei loro pazienti. Più di altre discipline mediche, la Medicina Intensiva si confronta con la dimensione del limite: la medicina contemporanea, per quanto sofisticata e “aggressiva”, spesso non è in grado di guarire i pazienti, di salvare loro la vita o anche solo di incidere in modo significativo sull’evoluzione della malattia. Il nostro attuale contesto sociale è spesso poco consapevole della dimensione del limite e nutre aspettative irrealistiche nei riguardi della medicina in generale e di quella intensiva in particolare”.
“Alcune note uscite nei giorni scorsi sui mezzi di stampa – proseguono Antonelli e Giannini - hanno ripreso in modo erroneo e strumentale dati di uno studio scientifico sulle scelte di fine vita condotto in un campione di Terapie Intensive italiane e pubblicato nel 2010 sulla rivista europea di settore Intensive Care Medicine”.
La Siaarti (Società italiana anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva) in passato si è ripetutamente espressa su questa materia anche attraverso documenti ufficiali di raccomandazioni ed intende ora ribadire che:
-la decisione di limitare, sospendere o non iniziare trattamenti di supporto vitale giudicati sproporzionati rappresenta una scelta clinicamente ed eticamente corretta. Tale decisone nulla ha a che vedere con l’eutanasia - cioè un’azione volta ad accelerare deliberatamente la morte di un paziente - che rappresenta, invece, una scelta eticamente e deontologicamente inaccettabile;
-la necessità di “astenersi dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita” è esplicitamente indicata dal Codice di Deontologia Medica (2008);
-la decisione di sospendere o non iniziare trattamenti di supporto vitale non deve comportare mai l’abbandono del paziente né l’interruzione di tutte le terapie atte a trattare, attraverso adeguate forme di medicina palliativa, ogni forma di sofferenza.
“La Siaarti – conclude la nota - desidera inoltre censurare quelle espressioni riportate anche da alcuni mass media che in modo superficiale e scorretto hanno associato i temi del fine vita e il complesso lavoro di cura svolto nelle Terapie Intensive italiane ad azioni connesse con l’eutanasia”.
07 maggio 2013
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