“La criticità reale non consiste nella scarsità assoluta di medici rispetto alle necessità, piuttosto nella perdita di attrattività relativa del Servizio sanitario rispetto alle opportunità libero professionali, peraltro poi richieste proprio dalle strutture della sanità pubblica”. Lo ha detto Roberto Monaco, Segretario della FNOMCeO, ascoltato oggi in audizione alla Camera, in Commissione Affari Sociali, nell’ambito dell’indagine conoscitiva in materia di riordino delle professioni sanitarie.
Non una scarsità di medici tout court, dunque: in Italia ci sono 410 medici ogni centomila abitanti, un dato superiore ad esempio a quello della Francia, che ne conta 318, o dei Paesi Bassi, che ne ha 390.
Ma piuttosto una scarsa capacità attrattiva del Servizio sanitario nazionale che, per condizioni di lavoro, retribuzioni tra le più basse d’Europa, blocchi di carriera, rischio di burnout e aggressioni ormai all’ordine del giorno, non è in grado di valorizzare, attirare e poi trattenere i suoi medici. Che lo abbandonano, a favore dell’estero, del privato; o delle attività libero professionali, appunto, di consulenza o come “gettonisti”, utilizzate – e superpagate – anche dalle stesse strutture della sanità pubblica.
Un circolo vizioso, un “perverso circuito regressivo che il primato dell’economia ha generato nel servizio sanitario”.
“Nel tempo – ha ricordato Monaco – lavorare nel Servizio sanitario è diventato sempre più difficile, pesante, ad altissimo rischio di burn-out, senza adeguate gratificazioni economiche, prospettive di carriera limitate ed escalation dei casi di violenza. L’unico comune denominatore è la passione e l’etica medica”.
Da qui l’inevitabile fuga dal Servizio sanitario verso soluzioni professionali meno logoranti e a più alta gratificazione, nella libera professione così come nelle sanità di altri paesi. I dati raccolti da organizzazioni sindacali e di categoria documentano infatti il progressivo abbandono del Ssn.
A non risultare attrattive sono, soprattutto, alcune specializzazioni, considerate più a rischio e meno gratificanti: la medicina di emergenza-urgenza, radioterapia, anatomia patologica.
Intanto, le esigenze di personale sono state affrontate ricorrendo a contratti temporanei e addirittura a forme di forniture di servizi. Considerate le unità annue di lavoro a tempo determinato e interinali, per le figure sanitarie si registra, dal 2012 al 2022, un balzo di +75,4%. Nello stesso periodo, le figure sanitarie stabili, a tempo indeterminato, sono aumentate solo del 2,6%. La spesa per lavoro a tempo determinato, consulenze, collaborazioni, interinale e altre prestazioni di lavoro sanitarie e sociosanitarie provenienti dal privato è stata pari a 3,6 miliardi di euro nel 2022, con un incremento del +66,4% rispetto al 2012. Nello stesso periodo, la spesa per il personale permanente è aumentata solo del 6,4%. La spesa totale per le retribuzioni dei medici permanenti nella Pubblica amministrazione tra il 2012 e il 2022 è rimasta sostanzialmente invariata, registrando un +0,2%, con -2,5% tra il 2012 e il 2019 e un +2,8% tra il 2019 e il 2022. Addirittura, tra il 2015 e il 2022 le retribuzioni dei medici nella PA sono diminuite, in termini reali, del 6,1%. Questi numeri, uniti alle condizioni di lavoro, sono una conferma ulteriore del mancato investimento sulla risorsa chiave della sanità: i medici. Del resto, posto pari a 100 il valore delle retribuzioni dei medici dipendenti italiani, nei Paesi Bassi è pari a 176, in Germania a 172,3 e Irlanda a 154,8: i medici italiani guadagnano molto meno dei colleghi di altri paesi omologhi.
“Dobbiamo lavorare – ha aggiunto Monaco – per conservare e sostenere il nostro Servizio sanitario nazionale, partendo dal capitale umano, dai professionisti, dalle donne e dagli uomini che ne costituiscono il tessuto connettivo. Dobbiamo trovare risorse che rendano più attrattivo il Servizio sanitario nazionale per i professionisti e che, sul territorio, rafforzino le cure primarie con tutte quelle figure e competenze professionali ora quasi assenti. Ciò non toglie che le maggiori risorse debbano in ogni caso essere accompagnate da una riforma strutturale del Servizio sanitario nazionale”.
“Occorre dunque partire – ha concluso – dalla governance. Il sistema non può unicamente muoversi e ragionare secondo una logica di bilancio. Bisogna capire quali siano i bisogni di cura e le necessità dei cittadini, coinvolgendoli. Le risorse devono dunque essere allocate in modo mirato. Tutto questo al fine di garantire una sanità pubblica nella sua accezione più ampia e il diritto alla salute di tutti i cittadini”.