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I danni da emotrasfusione e i relativi oneri probatori

di Paola Frati

“In tema di danno da infezione trasfusionale, è onere della struttura sanitaria allegare e dimostrare di avere rispettato, in concreto, le norme giuridiche, le leges artis e i protocolli che presiedono alle attività̀ di acquisizione e perfusione del plasma”.

24 OTT -

La Corte di Cassazione, recentemente, è tornata ad interessarsi del danno da emotrasfusione ed in particolare dei relativi oneri probatori.

In particolare, la Corte richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di prova del nesso causale in materia, a mente del quale "in tema di responsabilità̀ contrattuale della struttura sanitaria ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che - in relazione ad una domanda risarcitoria avanzata da un paziente nei confronti di una casa di cura privata per aver contratto l'epatite C asseritamente a causa di trasfusioni con sangue infetto praticate a seguito di un intervento chirurgico - aveva posto a carico del paziente l'onere di provare che al momento del ricovero egli non fosse già̀ affetto da epatite)" (Cass. S.U. n. 577 del 2008 e numerose altre, fino a Cass. n. 24073 del 2017).

Sempre ai fini del riparto dell’onere probatorio, la Corte richiama il proprio orientamento tradizionale, che a partire dalla pronuncia di cui a Cass. Sez. 3 n. 18392 del 2017, e più̀ in generale, in tema di responsabilità̀ professionale medica, afferma che il paziente è tenuto a provare, anche attraverso presunzioni, non solo l'esistenza del rapporto contrattuale ma anche il nesso di causalità̀ materiale tra condotta del medico in violazione delle regole di diligenza ed evento dannoso, consistente nella lesione della salute (ovvero nell'aggravamento della situazione patologica o nell'insorgenza di una nuova malattia), non essendo sufficiente la semplice allegazione dell'inadempimento del professionista.

In particolare, la Corte ribadisce che in tema di responsabilità̀ contrattuale per inadempimento delle obbligazioni professionali "è onere del creditore-danneggiato provare, oltre alla fonte del suo credito (contratto), il nesso di causalità̀, secondo il criterio del "più̀ probabile che non", tra la condotta del professionista e il danno lamentato, mentre spetta alla struttura dimostrare, in alternativa all'esatto adempimento, l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile, da intendersi nel senso oggettivo della sua in imputabilità̀ all'agente" (in tal senso: Cass. Sez. 3, 29/03/2022 n. 10050).

La vicenda serve ancora una volta a delineare il regime probatorio richiesto dalla magistratura ed in particolare:

- la mancanza di documentazione sanitaria, (della cui produzione era onerata la struttura) in ordine al peculiare procedimento di conservazione del sangue c.d. a "circuito chiuso", soltanto dedotto dall'Azienda ma non prodotto in atti;

- il protrarsi di tale omissione, benché́ il Giudice di prime cure avesse ordinato all'Ente, nell'esercizio dei suoi poteri officiosi, di produrre in giudizio la già menzionata documentazione;

- la carenza di prova (gravante sulla struttura) del rispetto, nel caso concreto, di tutte le procedure (sul punto, in tema di infezioni nosocomiali, cfr. Sez. 3, 03/03/2023 n. 6386, con cui, da ultimo, è stata affermata la necessità che la prova del rispetto di tutte le procedure necessarie a prevenire tali infezioni sia offerta non in astratto, attraverso la produzione dei protocolli da seguire, ma in concreto e con riferimento al singolo intervento sanitario);

- il fatto che in occasione del ricovero, la paziente era, sì affetta da una generica sofferenza epatica, ma non anche da epatite, perché, sul punto, la prova positiva sulla esistenza della infezione epatica al momento del ricovero non è stata fornita dalla struttura sanitaria onde contrastare la presunzione semplice di contrazione dell'infezione all'esito dell'avvenuta trasfusione;

La pronuncia in commento merita segnalazione per il rigore adottato nell’iter ricostruttivo soprattutto laddove afferma il cattivo operato del giudicante, cassandolo con rinvio, per aver addossato arbitrariamente in capo alla danneggiata, per un verso, l'onere di dimostrare che al momento della trasfusione non fosse affetta dall'infezione di cui ha preteso il risarcimento e dall'altro, disinteressandosi di accertare se la condotta della struttura. nelle procedure di acquisizione e perfusione del plasma fosse stata o meno, nel caso concreto, conforme alla normativa di settore, pur avendone stigmatizzato la condotta sia nella tenuta e conservazione della documentazione sia nella accertata carenza di ogni allegazione al riguardo, contravvenendo così ai criteri funzionali di accertamento probatorio del nesso causale.

Paola Frati

Professore Ordinario e Coordinatore Sezione Dipartimentale di Medicina Legale della Sapienza Università di Roma



24 ottobre 2023
© Riproduzione riservata

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