Per fronteggiare l’emergenza degli anziani “bed blocker”, quelli che non si riesce a dimettere dall’ospedale perché non hanno assistenza a casa, incidendo sui costi delle strutture, serve una “cabina di regia” che imposti un dialogo tra ospedale e territorio con maggiori investimenti per l’assistenza territoriale.
“L’Italia è agli ultimi posti in Europa per numero di anziani che beneficiano di cure a casa, con meno di 3 over-65 su 100 (il 2,7%) che ricevono assistenza domiciliare (ADI), a fronte di una media europea che non va sotto il 7% e con punte fino al 20%”, dichiara Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva, commentando i dati diffusi dalla società scientifica dei medici internisti (Fadoi), secondo i quali circa un milione di anziani rimarrebbe nei reparti degli ospedali in media una settimana in più rispetto alla data di dimissione stabilita dal medico.
“La messa in sicurezza degli anziani dimessi dall’ospedale tocca da vicino la capacità del nostro Servizio sanitario di prendersi cura delle persone più fragili, in particolare di coloro che sono privi di un supporto familiare. Tuttavia - continua Bernabei - il rientro in comunità continua a rappresentare un nervo scoperto dell’assitenza agli anziani, per via della carenza di servizi di assistenza domiciliare, Rsa e hospice, e della mancanza di dialogo tra ospedale e territorio”.
“Le risorse economiche stanziate dal PNRR - sottolinea Bernabei - per potenziare la dotazione dei servizi di assistenza domiciliare, puntando a raggiungere il 10% degli over-65 nei prossimi quattro anni, e per la realizzazione degli Ospedali di Comunità con valenza di strutture post-acuzie, rispondono all’esigenza di costruire un ponte tra ospedale e casa, e dare finalmente un’assistenza congrua ai nostri anziani. Ma questo obiettivo non può essere pienamente raggiungibile senza un modello organizzativo che raccordi medici di medicina generale, assistenza domiciliare, ospedale, RSA, post acuzie e cure palliative, vale a dire tutti gli snodi della cosiddetta long-term care. Alcune esperienze virtuose ci dicono che più l’ospedale è in grado di comunicare in tempo reale con la rete territoriale, di conoscerne il ventaglio di servizi offerti e di prendere parte alla definizione del bisogno assistenziale sin da quando il paziente entra in Pronto soccorso o in ospedale, tanto migliore sarà la presa in carico a lungo termine dell’anziano e della sua famiglia”.
“L’ospedale ricopre un ruolo fondamentale nella valutazione dei bisogni clinico-assistenziali dei fragili e nell’indirizzarli verso i servizi più appropriati nell’ambito del territorio”, dichiara Francesco Landi, consulente scientifico di Italia Longeva; Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Invecchiamento, Ortopediche e Reumatologiche del Policlinico Agostino Gemelli di Roma. “Nel caso del Policlinico Gemelli, questa funzione viene svolta grazie alla presenza del geriatra in Pronto Soccorso, all’interno della cosiddetta Frailty Unit, che, in assenza di acuzie gravi, si attiva per evitare il ricovero in ospedale, rimandando il paziente a casa oppure dirottandolo in Day Hospital. Altro pilastro è rappresentato dalla Centrale di Continuità Assistenziale, anch’essa gestita da geriatri, che al momento dell’accesso dell’anziano in ospedale valuta l’attivazione dei servizi territoriali per agevolarne la dimissione. Questa facilitazione delle dimissioni si raggiunge perché con l’individuazione precoce delle esigenze socio-sanitarie si riesce a trovare la migliore soluzione assistenziale per il paziente sul territorio: ritorno al domicilio, attivazione di servizi di ADI, accesso in RSA, strutture di lungodegenza o hospice”.