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Sistemi integrati e Fascicolo sanitario elettronico di nuova generazione. Gli indirizzi e la prospettive della Sit


13 MAR - La Società italiana di Telemedicina analizza gli scenari e propone gli indirizzi di sviluppo sulla sanità elettronica che la comunità medica dovrebbe perseguire. Capisaldi della proposta l’integrazione dei sistemi informatici, sia a livello ospedaliero che territoriali. In seconda battuta la Sit propone come esempio la realizzazione di un Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) di seconda generazione “da costruire in modo che diventi rispettoso della riservatezza dei dati sanitari, di cui solo il paziente è il vero titolare, nonché utile ai medici perché contenente le informazioni strettamente necessarie, senza ridondanze, e in formati che abbiano senso rispetto alle necessità operative”.
 
Qui di seguito l’analisi degli scenari e gli indirizzi della Sit:
 
La necessità di rispondere alla crescente domanda di salute dei cittadini in un contesto di riduzione del finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale comporta una profonda revisione dei modelli organizzativi per un uso più efficace delle risorse.
 
In questo scenario si evidenziano tre tendenze che hanno delle profonde implicazioni sui modelli assistenziali:
1. l’aggregazione funzionale delle cure primarie, pur nelle diverse declinazioni organizzative delle Regioni;
2. la riorganizzazione della rete ospedaliera;
3. la creazione di reti e di modelli per la gestione integrata delle patologie finalizzati a ripartire in modo ottimale il carico assistenziale tra le cure primarie, il territorio e gli ospedali.
 
A fronte del quadro sopra delineato e delle evidenti esigenze di innovazione, la situazione attuale dell’ICT e della sanità elettronica rispecchia ancora il modello organizzativo tradizionale, con una rigida separazione di ruoli, di banche dati e di processi assistenziali.
 
I sistemi informativi delle cure primarie (cartelle cliniche elettroniche), presenti nella quasi totalità degli studi di Medicina Generale, non sono integrati con i sistemi informativi degli ospedali e del territorio, nei quali la diffusione della cartella clinica elettronica è ancora parziale.
 
In entrambi gli ambiti esiste una notevole eterogeneità di software presenti, anche se di recente è iniziato un processo di omogeinizzazione dei dataset da parte dei principali produttori che potrebbe in futuro facilitare il raggiungimento della interoperabilità dei database, almeno per i sistemi sanitari regionali, e quindi consentire lo scambio di informazioni in modo coerente.
 
Attualmente anche a livello funzionale le CCE non sono allineate tra loro, nemmeno all’interno della stessa struttura ospedaliera, e lo sono ancora meno rispetto alle esigenze indotte dai fenomeni sopra descritti. Inoltre, sono in larga parte impostate su un modello di medicina di attesa e quindi le architetture dei sistemi informativi da cui originano non sono in grado di consentire agevolmente l’implementazione di nuove modalità di raccolta e archiviazione dati come ad esempio possono essere necessarie quando vengono strutturati dei Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali (PDTA). Per le stesse ragioni non sono in grado nemmeno di integrare i contenuti e le informazioni provenienti da differenti database.
 
È del tutto evidente che in un quadro del genere immaginare di riuscire a rendere disponibili le informazioni cliniche necessarie, in modo utile, in tempi adeguati alle esigenze operative, su tutto il territorio nazionale, diventa velleitario. Occorre quindi ripensare le modalità collaborative tra Regioni differenti e non solo in termini di sistemi software, ma anche di interoperabilità organizzativa.
 
Obiettivo per il prossimo futuro: far interagire le strutture sanitarie attraverso un insieme coerente di standard per la raccolta dei dati e per il loro trasferimento da una struttura all’altra in modo utile alla cura e assistenza dei pazienti, partendo dal linguaggio clinico codificato dalla scienza medica da molto tempo e perfettamente adatto a comunicare in modo univoco informazioni cliniche, eccetto magari alcune espressioni tradizionali non idonee all’era digitale.
Una volta raggiunto questo primo stadio di evoluzione non sarà molto complesso interconnettere gli strumenti diagnostici e per il monitoraggio a distanza. Questo non solo garantirà un innalzamento della qualità dei servizi attraverso una reale continuità delle cure, ma eviterà molti degli attuali sprechi, essendo in grado di eliminare duplicazioni e buchi assistenziali, migliorando la compliance e l’aderenza dei pazienti ai trattamenti.
 
In questo quadro occorre che la comunità medica si prodighi verso la ricostruzione di un sistema sanitario, pubblico e privato, uniforme sul territorio nazionale, capace di interoperabilità e si impegni nella progettazione e realizzazione di sistemi informativi adeguati. Sarebbe ad esempio auspicabile procedere rapidamente verso la realizzazione di un Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) di 2^ generazione, basato sulle indicazioni elaborate dal Gruppo di studio congiunto SIT&LAVSE-CNR, da costruire in modo che diventi rispettoso della riservatezza dei dati sanitari, di cui solo il paziente è il vero titolare, nonché utile ai medici perché contenente le informazioni strettamente necessarie, senza ridondanze, e in formati che abbiano senso rispetto alle necessità operative. Una collezione digitale di referti in formato PDF o di immagini derivate dalla scannerizzazione di documenti su carta non sarà verosimilmente usata e comunque è destinata a non essere più leggibile da nuovi software dopo pochi anni. Questo fascicolo dovrà insomma essere invece un utile strumento della comunità medica (ospedale, territorio, studi dei MMG) che ha in cura i pazienti complessi affetti da pluripatologie croniche e guida dei PDTA.

13 marzo 2015
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