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Intervista a Troise (Anaao): “Troppi luoghi comuni sulle pensioni dei dipendenti pubblici”


18 NOV - Costantino Troise, segretario nazionale dell’Anaao Assomed, è proprio stanco delle “leggende metropolitane che circolano sui dipendenti pubblici, sulle loro pensioni e sui privilegi dei medici. A margine del Convegno organizzato dalla Cosmed iaer a Roma ha rilasciato questa intervista per Quotidiano Sanità, nella quale sciorina dati che sembrano sorprendenti rispetto alla “vulgata” corrente, come ad esempio il fatto che in Italia ci sono oggi meno dipendenti pubblici che negli altri Paesi europei e che da noi si va in pensione più tardi. A Mario Monti, Troise fa una richiesta: “più attenzione all’equità”.
Dottor Troise, perché avete voluto organizzare questo Convegno dedicato alla previdenza?
Il primo obiettivo è cercare di far piazza pulita di luoghi comuni e leggende metropolitane. Ricordo solo alcuni dati. Nel 2013 in Italia si andrà in pensione a 66 anni e tre mesi, mentre in Germania, nello stesso anno, si potrà avere la pensione di vecchiaia a 65 anni e 2 mesi. Già oggi, comunque, l’età media effettiva di quiescenza in Italia è di poco inferiore a quella tedesca, ma è largamente superiore rispetto a quella francese. In più, lo scalone “regalato” alle donne del Pubblico Impiego a partire dal 2012 aumenterà ancora di più questa età media di quiescenza effettiva.
Inoltre, quando si parla di pensioni occorre ricordare che altri Paesi hanno diversi strumenti che accompagnano l’uscita, oltre la pensione di anzianità. E non si può ignorare che le pensioni di invalidità, che in Svezia ad esempio vengono date a partire dal 25% di invalidità, hanno una funzione di ammortizzatore sociale in larga parte del nostro Paese.
Vi aspettate nuovi tagli previdenziali?
Non vorrei cioè che dopo aver attaccato i salari correnti, congelati e decurtati, si andasse ad attaccare il salario futuro, quello previdenziale. Dal nuovo primo ministro, grande esperto di previdenza, mi aspetto piuttosto che ci sia attenzione all’equità dei provvedimenti oltre che alla cassa. D’altra parte proprio ieri sera, in una trasmissione televisiva, l’ex ministro Maroni ha ricordato come la stessa Unione Europea ha certificato, lo scorso anno, che il sistema previdenziale italiano è il più stabile d’Europa.
Lei dice che i medici del Ssn, e più in generale i dipendenti pubblici, non godono di pensioni “baby”. Molti lamentano però che siano troppi e dunque troppo costosi. È così?
I dati ci dicono che il numero di impiegati pubblici in Italia è, in percentuale, tra i più bassi d’Europa. Inoltre il costo per il personale pubblico pesa sul contribuente italiano con una percentuale che è agli ultimi posti in Europa. Solo in Germania ha infatti un peso inferiore, ma occorre tener conto che da noi nel pubblico impiego sono comprese scuola, magistratura, sicurezza e sanità, ovvero tutti i settori fondamentali per la vita di un Paese.
L’Enpam ha appena annunciato una riforma della previdenza che prevede, di fatto, l’innalzamento dell’età pensionabile, l’aumento delle aliquote e la riduzione dei rendimenti. Pensa che anche i medici pubblici dovranno allinearsi?
Noi paghiamo il 33% dei contributi, mentre oggi i liberi professionisti pagano circa la metà; l’età media di pensionamento dei medici è 63 anni e in pochi anni si arriverà ai 67 per la pensione di vecchiaia. Non vedo cos’altro si possa fare. Piuttosto occorrerà occuparsi delle previdenze speciali, che in Italia riguardano ancora un milione di persone, oppure dei vitalizzi parlamentari, che per ogni euro versato ne ricevono indietro 11. Ma soprattutto occorre occuparsi delle entrate, contrastare l’evasione contributiva. Perché non si può continuare a ragionare solo sul versante delle uscite.
 
 
Eva Antoniotti

18 novembre 2011
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