Vaccini. Consulta: “Sì a legge Puglia per accesso in alcuni reparti solo ad operatori vaccinati”
Bocciata invece la misura con cui in particolari condizioni epidemiologiche o ambientali, le direzioni sanitarie ospedaliere o territoriali, sentito il medico competente, potevano valutare l’opportunità di prescrivere vaccinazioni normalmente non raccomandate per la generalità degli operatori. LA SENTENZA
06 GIU - Ok dalla Corte costituzionale alle
Legge della Regione Puglia del 2018 dal titolo Disposizioni per l’esecuzione degli obblighi di vaccinazione degli operatori sanitari.
Lo scorso agosto il Governo aveva presentato
ricorso per l’intero impianto normativo e con riguardo agli artt. 1, commi 1 e 2; 4 e 5.
In particolare, il ricorso era riferito all’articolo 1 dove nel comma 1 si prevedeva che con una deliberazione della Giunta regionale, venivano individuati i reparti ai quali potevano accedere i soli operatori sanitari che avessero osservato le indicazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale (PNPV) vigente per soggetti a rischio per esposizione professionale. Per la Corte il ricorso del Governo su questa parte della normativa è infondato perché “l’art. 1, comma 1 della legge regionale in esame non si rivolge alla generalità dei cittadini, ma si indirizza specificamente agli operatori sanitari che svolgono la loro attività professionale nell’ambito delle strutture facenti capo al servizio sanitario nazionale, allo scopo di prevenire e proteggere la salute di chi frequenta i luoghi di cura: anzitutto quella dei pazienti, che spesso si trovano in condizione di fragilità e sono esposti a gravi pericoli di contagio, quella dei loro familiari, degli altri operatori e, solo di riflesso, della collettività”.
Per i giudici “tale finalità perseguita dal legislatore regionale, sia detto per inciso, è del resto oggetto di attenzione da parte delle società medico-scientifiche, che segnalano l’urgenza di mettere in atto prassi adeguate a prevenire le epidemie in ambito ospedaliero, sollecitando anzitutto un appropriato comportamento del personale sanitario, per garantire ai pazienti la sicurezza nelle cure. Letto in questa prospettiva, l’intervento del legislatore regionale non ha per oggetto la regolazione degli obblighi vaccinali – che chiamerebbe in causa la competenza statale in tema di determinazione dei principi fondamentali della materia di tutela della salute (sentenza n. 5 del 2018) – ma l’accesso ai reparti degli istituti di cura. La sua finalità è prevenire le epidemie in ambito nosocomiale, rimanendo così all’interno delle competenze regionali che in materia di vaccinazioni «continuano a trovare spazi non indifferenti di espressione, ad esempio con riguardo all’organizzazione dei servizi sanitari e all’identificazione degli organi competenti a verificare e sanzionare le violazioni», come questa Corte ha di recente rilevato (sentenza n. 5 del 2018)”.
In definitiva, per la Corte “nell’attribuire alla Giunta regionale la facoltà di individuare i reparti in cui consentire l’accesso ai soli operatori sanitari che si siano attenuti alle indicazioni del PNPV vigente per i soggetti a rischio per esposizione professionale e nel prevedere le relative sanzioni amministrative per i trasgressori, gli impugnati art. 1, comma 1, e artt. 4 e 5 della legge reg. Puglia n. 27 del 2018 dettano esclusivamente una disciplina sull’organizzazione dei servizi sanitari della Regione, senza discostarsi dai principi fondamentali nella materia «tutela della salute» riservati alla legislazione statale ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., senza introdurre obblighi vaccinali di nuovo conio e, comunque, senza imporre obbligatoriamente ciò che a livello nazionale è solo suggerito o raccomandato”.
Giudizio diverso invece la Corte lo ha dato al al comma 2 dell’articolo 1 che stabilisce che, “in particolari condizioni epidemiologiche o ambientali, le direzioni sanitarie ospedaliere o territoriali, sentito il medico competente, valutano l’opportunità di prescrivere vaccinazioni normalmente non raccomandate per la generalità degli operatori”.
Per la Corte “l’intervento regionale invade un ambito riservato al legislatore statale, sia in quanto inerente ai principi fondamentali concernenti il diritto alla salute, come disposto dall’art. 117, terzo comma, Cost., che riserva allo Stato «il compito di qualificare come obbligatorio un determinato trattamento sanitario, sulla base dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili» (sentenza n. 5 del 2018; analogamente sentenza n. 169 del 2017), sia perché attinente alla riserva di legge statale in materia di trattamenti sanitari di cui all’art. 32 Cost., riserva che, a sua volta, è connessa al principio di eguaglianza previsto dall’art. 3 Cost”.
06 giugno 2019
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