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Nomine in Sanità. Di Maio e Grillo insistono: “Fuori la politica”. Ecco cosa prevedono le proposte di Legge 5S di Camera e Senato

di Luciano Fassari

Il vicepremier e il Ministro della Salute ieri dall’Umbria hanno rinnovato l’appello a discutere i due ddl pentastellati che modificano la legge sulle nomine dei manager. Ma le due misure in campo (uno alla Camera e uno al Senato), seppur rappresentando una stretta all’attuale sistema, sono molte differenti tra loro. E anche se si trovasse una sintesi bisognerà accordarsi sia con la Lega che con le Regioni, che vedono come fumo negli occhi ogni paletto alla gestione della sanità.

26 APR - "II diritto alla salute venga garantito se la sanità non viene politicizzata, se togliamo alle regioni il potere di nominare i dirigenti sanitari. Non è possibile che la politica continui a usare la sanità pubblica come fosse un bancomat. È stato fatto troppe volte, anche in una regione civile e bella come l'Umbria". Parole del vicepremier Luigi Di Maio che ieri dall’Umbria (anche oggi via facebook, vedi a fondo pagina), teatro di un’inchiesta giudiziaria proprio sui concorsi in sanità che ha azzerato la Giunta, insieme al Ministro della Salute, Giulia Grillo ha voluto rilanciare la necessità di riformare il Dlgs del 2017 (che aveva con non poche difficoltà istituito l’Albo nazionale dei direttori generali).
 
“La salute dei cittadini – ha detto Grillo - non è la gallina dalle uova d'oro. È il momento di togliere definitivamente la sanità dalle mani della politica”.
 
Ma cosa prevedono le proposte in campo? Il M5S ha depositato due disegni di legge: uno alla Camera a prima firma Dalila Nesci e uno al Senato con prima firmataria Maria Domenica Castellone.
 
Il punto è che i due ddl pur rappresentando una stretta al Dlgs 2017 che ha introdotto l’Albo nazionale dei Dg (Il provvedimento ricordiamo ebbe un cammino frastagliato con un ricorso del Veneto alla Consulta rispetto alla prima stesura del 2016, che imponeva alle Regioni anche una ‘rosa’ cui attingere e che fui poi approvato in maniera più soft previo accordo in Stato-Regioni nel 2017) sono in realtà molto differenti tra loro e per questo sarà molto probabilmente necessaria una sintesi, oltre che scegliere da quale testo base partire.
 
Allo stato attuale il ddl Nesci è quello che a prima vista appare essere più tranchant. La proposta prevede che le Regioni debbano scegliere il Direttore generale (tra quelli che hanno risposto all’avviso) con il punteggio più elevato nell’Albo nazionale (ricordiamo che oggi i punteggi non sono trasparenti ndr.). Per quanto riguarda poi i direttori amministrativi, sanitari e socio sanitari essi dovranno essere scelti dal Dg in base ai punteggi più alti registrati negli elenchi regionali. In sostanza la proposta Nesci rafforza ulteriormente la norma attuale inchioda le Regioni alle valutazioni dell’Albo.
 
Il ddl Castellone ha invece un approccio differente. La novità principale è quella di istituire un Albo nazionale dei commissari per la valutazione del management. E in questo senso per la nomina del direttore generale il presidente della regione dovrà individuare cinque commissari, di cui almeno due di regioni diverse rispetto al luogo dove si svolge la selezione. La proposta introduce anche la ‘rosa’ per cui i commissari stilano un elenco di 5 nomi tra cui il presidente di Regione potrà scegliere il manager. Altra novità del ddl è poi la previsione di Albi nazionali anche per i direttori sanitari e per amministrativi e socio sanitari. In questo caso, la proposta Castellone inserisce ulteriori filtri alla scelta lasciando però un filo più di discrezionalità alle Regioni nelle scelte.
 
Come dicevamo i due ddl hanno lo spirito comune di vincolare sempre più le nomine dei manager alle competenze ma lo fanno da due strade differenti. Ma a prescindere da quale sarà il testo prescelto e la sintesi interna al M5S che si troverà, certamente Di Maio & co dovranno fare i conti con la Lega (ricordiamo che fu proprio Zaia a ricorrere alla Consulta contro la prima versione del Dlgs Madia-Lorenzin) e soprattutto le Regioni, che dovranno dare l’intesa e che in tempi di regionalismo differenziato difficilmente, a prescindere dai colori delle giunte, rinunceranno a ‘gestire’ la sanità, che rappresenta tra il 70 e l’80% dei bilanci degli Enti locali.
 
Luciano Fassari
 
 

26 aprile 2019
© Riproduzione riservata

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