Trapianti. Cnb apre a possibilità di conoscere identità donatore: “Possibile superare anonimato ma solo dopo l’intervento”
Il Comitato nazionale di Bioetica in ogni caso fa riferimento solo alla fase successiva al trapianto e dopo un “ragionevole lasso di tempo”. E precisa: “Secondo quanto potrà essere previsto da una nuova disciplina, questo futuro ed eventuale rapporto fra donatori e riceventi dovrà comunque essere gestito da una struttura terza nell’ambito del sistema sanitario”. IL PARERE
11 OTT - “Il principio dell’anonimato è indispensabile nella fase iniziale della donazione degli organi per conservare i requisiti di equità, garantiti da considerazioni rigorosamente oggettive, basate su criteri clinici e priorità nella lista e per evitare possibili compravendite. Ritiene, tuttavia, che in una fase successiva, trascorso un ragionevole lasso di tempo, non sia contrario ai principi etici che l’anonimato possa essere rimesso nella libera e consapevole disponibilità delle parti interessate, dopo il trapianto, per avere contatti ed incontri”. È quanto scrive il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) in risposta ad un quesito del Centro Nazionale Trapianti (CNT) che chiedeva “se l’obbligo all’anonimato a cui è tenuto il personale sanitario amministrativo in base all’art. 18, comma 2, Legge 1 aprile 1999, n. 91, possa essere derogato su accordo delle parti previa firma da parte di entrambe del consenso informato”.
“Secondo quanto potrà essere previsto da una nuova disciplina – sottolinea il Cnb -, questo futuro ed eventuale rapporto fra donatori e riceventi dovrà comunque essere gestito da una struttura terza nell’ambito del sistema sanitario, attraverso gli strumenti che si riterranno più idonei di modo che sia assicurato il rispetto dei principi cardine dei trapianti (privacy, gratuità, giustizia, solidarietà, beneficenza). In tal modo vi potrebbe essere un controllo da parte del centro o della struttura sanitaria incaricati a tale compito per evitare comportamenti inappropriati in queste situazioni”.
Il CNB auspica che il “modello base sia predisposto preferibilmente dall’Istituto Superiore di Sanità, valido per tutto il territorio nazionale, e chiarisce ai soggetti interessati che la conoscenza della identità dei donatori non è una pretesa, ma una possibilità eticamente giustificata a determinate condizioni. E in questa eventualità occorre porre specifica attenzione al consenso informato consapevole e sottoscritto dai soggetti aventi diritto, per evitare che le condizioni di oggettiva difficoltà in cui si trovano donatori e riceventi rendano il consenso un atto meramente formale”.
11 ottobre 2018
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