Riflessioni sulla politica sanitaria. Oggi e domani dalle parole ai fatti
di Grazia Labate
Settembre è arrivato vedremo come e quanto verrà elaborato il nuovo strumento di partecipazione programmatoria, in che rapporto staranno i contenuti con la legge di stabilità per il prossimo triennio, se vi sarà l’inversione di tendenza e soprattutto se vi saranno quegli investimenti in sanità, in primis di risorse umane, che sono come i farmaci salvavita per l’intero sistema.
10 SET - Riapre l’attività legislativa a pieno ritmo e la situazione della sanità italiana è di fronte a noi con le sue luci e le sue ombre. Se vogliamo parlare con un linguaggio di verità basato sui fatti liberandoci da inutili e capziose visioni ideologiche non possiamo non dire che la legislatura che si è conclusa ha consentito di ottenere risultati significativi nella gestione del sistema sanitario su diversi fronti, nonostante gli stretti margini di operatività imposti da un crescente vincolo finanziario. I dati del 2017 confermano il buon risultato economico delle misure di controllo della spesa messe in campo in questi anni.
Non è un caso che queste affermazioni siano condivise dalla Corte dei conti nel Rapporto di coordinamento di Finanza pubblica 2018.
La Corte riconosce gli sforzi fatti in questi anni di crisi per rimettere in sesto i conti, ma segnala contemporaneamente come vi siano ancora nodi irrisolti che sarà urgente affrontare per non rendere insostenibile il Ssn.
Leggo dal rapporto che: “Si continua a contrarre la spesa per investimenti infrastrutturali e tecnologici”, “La salvaguardia assicurata durante la crisi ai redditi da pensione e l’ampia disponibilità del personale addetto ai servizi alla persona hanno consentito, fino ad ora, di sopperire in ambito familiare alla necessità di trovare una risposta a tale bisogno, ma l’attuale situazione risulterà in prospettiva sempre meno sostenibile”.
La Corte sottolinea come “nella agenda politica dei prossimi anni si impongono quindi scelte importanti, di natura strutturale sul fronte dell’adeguamento delle strutture, delle tecnologie, della politica farmaceutica, della politica per gli anziani e della disabilità al fine di rendere compatibili con la stabilità del sistema soluzioni adeguate ai bisogni.
Partiamo allora, dai duri ma incontrovertibili dati economici: la spesa 2017 è stata pari a 113,6 mld. Nei documenti programmatici, la spesa corrente era stimata raggiungere i 114,1 miliardi. Un risultato migliore di quello previsto (nel Def 2017 e sostanzialmente confermato nella Nota di aggiornamento dello scorso settembre) dovuto, in parte, ad acquisti di beni e servizi da operatori market inferiori alle attese (rimasti stabili sui valori del 2016 contro la crescita prevista dello 0,6 per cento), ma anche ai redditi da lavoro rimasti invariati invece di aumentare dell’1,5 per cento soprattutto per il rinvio al 2018 della definizione del nuovo contratto. L’aumento oltre alle attese della spesa per consumi intermedi (+4,2 per cento contro il 3,1 previsto inizialmente) riduce il beneficio sui risultati complessivi.
Inoltre i dati del 2017 confermano il buon risultato economico delle misure di controllo della spesa messe in campo in questi anni al punto da far dire alla Corte che il governo della spesa in campo sanitario si è rivelato più efficace rispetto al complesso della PA.
La spesa sanitaria nella Nota di aggiornamento del Def appena approvata da Palazzo Chigi è prevista a quota 115 mld nel 2018, 116 mld nel 2019, e 118 mld nel 2020. La sua incidenza sul Pil si conferma in decrescita: passerà dal 6,6% del 2017 al 6,3% nel 2020. Nel quadro tendenziale è prevista una ulteriore riduzione dell’incidenza della spesa su Pil. Lo slittamento del rinnovo dei contratti del settore al 2018 è alla base della crescita nell’esercizio in corso, mentre si confermano le previsioni per il successivo biennio che scontano gli effetti attesi dalle misure correttive da ultimo disposte dalla Legge di Bilancio 2017. A fine periodo, la spesa sanitaria è prevista al 6,3 per cento del Pil, un livello registrato ad inizio anni 2000. Già questo è un dato che non potrà reggere poiché in 18 anni la domanda di salute è profondamente cambiata, e con essa la struttura della popolazione.
Voglio solo ricordare i dati ISTAT di alcuni giorni fa:
I dati della popolazione residente al 1 gennaio 2018 ci parlano di un forte aumento della popolazione anziana (65 anni e più) in termini sia assoluti (da 8,7 milioni a 13,6 milioni) che percentuali (dal 15,3% a 22,6%).
In Italia abbiamo la popolazione occupata più anziana d'Europa.
La popolazione italiana calerà dagli attuali 60 milioni a 53,7 milioni nel 2065. Il Sud si svuoterà. L'Italia invecchia, oltre metà della popolazione è over 45. Per la prima volta in 90 anni l’Italia perde popolazione.
In meno di 30 anni gli ottantenni in Italia sono più che raddoppiati, passando da 1 milione 955 mila a 4 milioni 207 mila, vale a dire il 7 per cento della popolazione residente.
Il dato emerge dal confronto tra i dati Istat del Censimento del 1991 e quelli aggiornati al primo gennaio2018. Nello stesso periodo, diminuisce di quasi un milione di unità la popolazione con meno di 15 anni (da 15,9% a 13,4% del totale della popolazione) e di oltre 300 mila unità quella di 15-64 anni (da 68,8% a 64,1%).
L'età media, che alla data del Censimento 1991 era al di sotto dei 40 anni, nel 2018 supera i 45 anni. Al primo gennaio 2018 la popolazione residente in Italia era pari a 60 milioni 484 mila unità. I centenari superano le 15mila e 500 unità. Sono più di mille gli individui che hanno superato i 105 anni e 20 i supercentenari (110 anni e più).
È la Liguria la Regione più anziana dell'Unione Europea grazie alla sua più alta percentuale di individui di 105 anni e più (3,58 per 100mila abitanti). Meno matrimoni, più single e divorziati. Il confronto tra i dati del Censimento della popolazione del 1991 e quelli riferiti al 2018 - spiega l'Istat - mostrano profondi cambiamenti avvenuti anche sul piano sociale e nella struttura familiare.
E’ con questa realtà che dobbiamo fare i conti, sapendo che la nostra longevità e la nostra speranza di vita media così alta in Europa,( siamo secondi dopo la Germania), si accompagna ad uno stato di salute carico di malattie croniche e neurodegenerative che ben difficilmente può continuare ad essere addossato sulle spalle di una famiglia, che in 18 anni è profondamente modificata e che oggi si presenta come monoparentale fatta di donne anziane e sole. La popolazione con cronicità è pari al 39 per cento del totale, di cui circa un quinto ha più di una patologia. Una particolare attenzione richiede, poi, il soddisfacimento dei bisogni dei circa 3 milioni di persone non autosufficienti per i quali le strutture esistenti (i 287.000 posti letti ad essi dedicati) e le cure domiciliari oggi attivate non consentono di dare una risposta adeguata.
Senza una robusta rete di assistenza domiciliare, di riabilitazione territoriale e di protezione in RSA quando la domiciliarità non è possibile, la nostra longevità fatto salvo il patrimonio genetico, la dietà mediterranea, la capacità di socializzazione, da grande beneficio raggiunto rischia di tradursi in maleficio senectute.
Le previsioni demografiche ed economiche, alla base dell’esame delle tendenze del sistema socio sanitario (e pensionistico) elaborato dalla RGS, riportano un rapporto tra anziani e popolazione attiva in crescita nei prossimi anni, poco al di sotto di quota 50 già nel 2030, con un peso della popolazione oltre i 65 anni di 7 punti più elevata di oggi. Se l’invecchiamento della popolazione sarà accompagnato da una riduzione dei redditi da pensione, a causa del passaggio completo al sistema contributivo e a una minore continuità dei percorsi lavorativi, la sostenibilità del sistema si farà più difficile. Dunque quando affrontiamo il che fare abituiamoci a partire dalla realtà, anche se non ci piace. Le statistiche non sono un optional.
Dicevamo allora che sono stati buoni i risultati sul fronte della gestione della spesa. Con il Patto della salute si è definito un percorso comune tra Stato e Regioni, abbandonando la logica dei tagli lineari e assumendo l’impegno comune ad avviare operazioni di efficientamento con l’obiettivo di liberare risorse per il settore; sono stati rivisti i Lea ed è stato definito un nuovo nomenclatore; è stato predisposto il programma per le liste d’attesa, il piano nazionale cronicità e quello nazionale per la prevenzione vaccinale; ha preso corpo l’attuazione del d.m. n. 70 del 2015 con il riordino del sistema di assistenza ospedaliera e i Piani di rientro per gli ospedali e aziende sanitarie; sono stati potenziati gli strumenti di gestione del sistema informativo sanitario; è stato approvato il provvedimento in tema di responsabilità professionale e la legge 3/2018 con rilevanti misure su ordini professionali e sicurezza alimentare.
Ma sono molti i punti di criticità ancora aperti nel sistema, primo fra tutti la contrazione della spesa per investimenti infrastrutturali e tecnologici, di oltre il 5 per cento a far data dalla crisi economico finanziaria.
Alla riduzione si accompagna la conferma di un tasso medio elevato di obsolescenza delle tecnologie a disposizione nelle strutture pubbliche e accreditate, come si evince dal recente Rapporto del Ministero della salute, nel quale circa un terzo delle apparecchiature è operativo da più di 10 anni e la diffusione di queste tecnologie presenta rilevanti differenze tra aree territoriali.
Inoltre l’offerta dei servizi ha subito un calo per effetto del risanamento. L’attività del SSN si contrae in tutti gli ambiti assistenziali.
Diminuiscono i ricoveri, scesi a 8,7 milioni nel 2016, con una riduzione dell’11,7 tra il 2013-2016. I cali interessano soprattutto quelli a bassa complessità. Se ciò ha permesso di migliorare l’appropriatezza, nel contempo non si è sviluppata una risposta adeguata alla domanda di assistenza territoriale. Mentre la riduzione nell’indicatore di utilizzo dei posti letto segnala, In numerose aree del paese una mobilità passiva in crescita. Nella specialistica ambulatoriale, stenta a trovare risposta il problema delle liste d’attesa; tariffe e ticket disincentivanti portano alla diminuzione dei volumi coperti dal servizio pubblico; emergono crescenti criticità nell'accesso ai servizi di fronte a un quadro epidemiologico in peggioramento per la crescita costante dell'età media degli italiani. Ad oggi, le fonti pubbliche coprono il 95% della spesa ospedaliera, ma solo il 60% della spesa per prestazioni ambulatoriali e il 46% della riabilitazione ambulatoriale.
Esaurita dunque la fase più critica dei piani di rientro, rimane l’esigenza di affrontare lo sviluppo dei servizi e il superamento degli squilibri territoriali in termini di qualità dell'assistenza.
Permangono le differenze Nord-Sud. I dati definitivi del monitoraggio 2015 e quelli parziali del 2016 indicano infatti il permanere di differenziali Nord-Sud nella qualità e nella disponibilità dei servizi. Ciò riguarda sia la speranza di vita in buona salute (che passa da 59,6 anni al Nord a 56 anni al Sud), sia i casi di rinuncia alle cure. Cresce l'incidenza relativa della mobilità sanitaria dal Sud al Nord. Lo testimonia il rilievo crescente delle somme corrisposte per la mobilità nel 2017, così come i dati SDO del 2016 del Ministero della salute rilevano ricoveri acuti in regime ordinario erogati in regioni del Nord (pazienti in mobilità verso le regioni del Nord/su il totale di ricoveri di pazienti residenti nel Sud) che crescono dal 7,3 nel 2013 al 7,9 per cento nel 2016.
Altri fronti di criticità sono: la governance farmaceutica, per la quale si tratta di rivedere gli strumenti a disposizione per garantire la sostenibilità della spesa a partire dal payback ed agli strumenti di negoziazione del prezzo dei farmaci; le procedure di approvazione dei nuovi farmaci da velocizzare; le compartecipazioni alla spesa, di cui occorre rivedere modalità di funzionamento e rendere omogenei in tutto il paese le esenzioni per reddito e per patologia trovando un giusto punto di equilibrio tra le 2 modalità; i rinnovi contrattuali e lo sblocco del turn-over; l’integrazione tra assistenza sociale e sanitaria, per poter affrontare al meglio la questione dell’invecchiamento della popolazione e dell’insufficienza dell’assistenza domiciliare; l’attuazione dei piani regionali delle cronicità. Dunque siamo in presenza sia di una lunga lista di cose fatte ma di una altrettanto lunga lista delle cose da fare.
Mi chiedo però se vi sia la piena consapevolezza che, per quanto efficientamento sia ancora possibile, per quanta razionalizzazione occorra ancora effettuare, in certe aree, per quanta lotta alla corruzione occorra, senza mai abbassare la guardia in un settore che è oggettivamente sovraesposto, dell’impossibilità di trovare solo all’interno del settore la risposta ad esigenze crescenti o se non occorra guardare alle scelte da assumere in questa legislatura in stretto rapporto con le altre aree dell’intervento pubblico, in cui si contrattino in Europa anche per la sanità maggiori risorse per gli investimenti. Gli ultimi dati sulla spesa sanitaria delle Regioni nel 2017 confermano i risultati positivi degli interventi volti a garantire un equilibrio finanziario. Pressoché tutte le Regioni si trovano in equilibrio finanziario una volta contabilizzate le entrate fiscali regionali a copertura della spesa sanitaria.
Quindi abbiamo un quadro di gestione della spesa che ci può consentire di puntare per i prossimi 5 anni su di una politica di investimenti strutturali e in risorse umane, adeguati ai bisogni di una popolazione che invecchia. Nella agenda politica dei prossimi mesi si impongono quindi scelte importanti sul fronte dell’adeguamento strutturale; ciò per rendere compatibili con la stabilità del sistema soluzioni adeguate ai bisogni. Il permanere di vincoli ancora stringenti richiede che nel trattare le criticità del settore si vada oltre i confini della sanità. Occorre avere il coraggio di trovare una forte coerenza tra tutte le parti che compongono il bilancio pubblico della protezione sociale, a partire dalle difficoltà che caratterizzano oggi il sistema redistributivo e di solidarietà, considerando la necessità imprescindibile di favorire la crescita, per garantire che le soluzioni che si assumono per il finanziamento della sanità trovino coerenze stabili, responsabilità e margini di gestione per i diversi livelli di governo per evitare contraddizioni e trappole della povertà, non continuando a ritenere, come uno stanco mantra, che il 6,3% del PIL di spesa sanitaria nei prossimi 3 anni possa garantire la sostenibilità del SSN.
Delle linee programmatiche esposte alle camere dalla ministra
Giulia Grillo condivido le sue affermazioni quando dice che: “è necessario invertire la tendenza, perché anche nel nostro Paese sarà necessario tornare ad effettuare investimenti, garantendo una sostenibilità economica effettiva ai livelli essenziali di assistenza attraverso il rifinanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato".
E' infatti "necessario invertire la tendenza che, come ha appena sottolineato la Corte dei Conti - ha spiegato Grillo - ha visto negli anni tra il 2009 e il 2016 la riduzione delle risorse destinate alla sanità di circa tre decimi di punto all'anno al contrario di altri Paesi europei, si pensi a Francia e Germania, che hanno, viceversa, ampliato i loro investimenti in sanità.
Anche nel nostro Paese sarà necessario tornare ad effettuare investimenti in questo senso, garantendo una sostenibilità economica effettiva ai livelli essenziali di assistenza attraverso il rifinanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato". Il ministro ha precisato che "ci vorrà del tempo, nessuno ha la bacchetta magica, ma l'intento dell'Esecutivo è tracciato". E condivido il nuovo strumento che vuole mettere in campo a partire da questo mese di settembre. “Con il supporto delle Regioni, degli stakeholder del mondo della sanità, ed il coinvolgimento dei cittadini, a partire dal mese di settembre, costituiremo gli “Stati Generali per il benessere equo e sostenibile”.
Questo nuovo strumento partecipativo sottolinea la ministra avrà “il compito di elaborare un documento di programmazione, ma tengo a precisare che dovrà essere un provvedimento snello che tratterà molti dei diversi punti già toccati dal precedente Patto per la salute, ma con una differenza: conterrà un cronoprogramma per la realizzazione di quanto previsto e una puntuale rappresentazione dello stato di avanzamento dei lavori attraverso il portale del Ministero della Salute per informare i cittadini italiani su quello che facciamo e in caso di errori, li correggeremo, spiegandone le motivazioni”.
Bene settembre è arrivato vedremo come e quanto elaborerà il nuovo strumento di partecipazione programmatoria, in che rapporto staranno i contenuti con la legge di stabilità per il prossimo triennio, se vi sarà l’inversione di tendenza e soprattutto se vi saranno quegli investimenti in sanità, in primis di risorse umane, che sono come i farmaci salvavita per l’intero sistema.
Grazia Labate
Ricercatore in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità
10 settembre 2018
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