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“I soldi per il Ssn ci sono ma bisogna spenderli bene. E con la legge di Bilancio avremo finalmente gli strumenti per verificare che tutti lo facciano”. Parla il direttore della programmazione del Ministero Andrea Urbani

di Ester Maragò

"La nuova legge di bilancio darà al Comitato Lea la possibilità di misurare gli impatti orizzontali dei farmaci innovativi per valutare un eventuale migliore allocazione delle risorse. Per questo ho chiesto una gap analysis di tutto quello che manca nel Ssn. Per fine gennaio avrò i risultati del lavoro che consentiranno la rimodulazione dei Drg, di rifare le linee guida della contabilità analitica, solo per citare alcuni interventi. La fase successiva sarà quella di sfidarci sugli outcomes, perché la finalità ultima dei Ssn non è erogare prestazioni ma curare i cittadini e non è scontato che le le due cose si equivalgano"

13 DIC - Una gap analysis di tutto quello che manca nel Ssn realizzabile grazie a cruscotti informativi che con precisione “chirurgica” consentiranno di “entrare” nei singoli reparti ospedalieri rilevando l’effettiva erogazione delle prestazioni e misurare quindi l’appropriatezza. Per capire e misurare se si stanno ancora garantendo inefficienze compensandole con minor spesa laddove si potrebbe invece investire. L’obiettivo? Realizzare un modello più evoluto di governance del Ssn. E i primi risultati dovrebbero arrivare già nel mese di gennaio.
 
Questi gli strumenti che consentiranno di reingegnerizzare il Ssn per Andrea Urbani, Direttore generale della programmazione sanitaria del Ministero della Salute dal marzo di quest'anno, con alla spalle una ricca esperienza nella gestione delle Regioni in difficoltà economica sul fronte sanitario, avendo lavorato prima nel Lazio e poi in Calabria (dove è stato sub commissario alla sanità, fino alla chiamata a Roma da parte del ministro Lorenzin).
 
Per Urbani, come ci spiega in questa intervista, “i soldi per sostenere il sistema ci sono e non sono pochi”, ma bisogna imparare a spenderli bene e, soprattutto, allocarli correttamente sulla base di scelte misurate e fondate sul valore.
 
Sui soldi per i contratti non alza bandiera bianca. È indiscutibile i soldi non ci sono, ha detto “ma aspetterei la fine della legge di bilancio. Non sappiamo ancora come finirà”.
 
Dottor Urbani, uno dei temi all’ordine del giorno è quello della sostenibilità. I soldi per i contratti non ci sono. La ricerca non va, la tassa sul fumo per pensare di sostenere i farmaci innovativi è saltata e anche se ci sono i fondi per gli innovativi non è detto che riusciremo a reggere l’impatto dei nuovi farmaci. Ma veramente possiamo andare avanti con una sanità al 6,4% del Pil quando il resto di Europa si attesta su una media del 7,2%?
Sono poco appassionato alle percentuali di spesa sul Pil confrontate con quelle delle altre realtà europee e anche extra-europee. Da manager ho una visione differente. Questo perché ogni sistema sanitario ha le sue caratteristiche, il suo modello organizzativo, che naturalmente incidono sui costi del sistema. Ricordo poi che all’interno dell’Europa siamo rimasti l’unico sistema universalistico ancora in piedi, che cura indistintamente tutti i cittadini, con difficolta più o meno accentuate. Per comprendere se quel 6,4% è poco o tanto in realtà bisognerebbe partire da un’analisi dettagliata del fabbisogno delle prestazioni sanitarie dei cittadini. Diversamente è solo un esercizio di confronto che non mi dà la misura della coerenza del fondo in relazione ai bisogni. Peraltro il Fondo sanitario negli ultimi anni è cresciuto in misura superiore alla crescita del Pil a testimonianza, anche in un periodo di crisi, dell’attenzione posta ai bisogni di salute dei cittadini. Una crescita del fondo sanitario in misura proporzionale alla crescita del Pil rappresenta una crescita importante soprattutto se mantenuta nel lungo periodo. In realtà i problemi del Ssn erano altri. Non dimentichiamo che prima del 2008 perdevamo ogni anno 6 miliardi di euro, con debiti extra bilancio di 10 miliardi. Una condizione di sostanziale default. E da allora molto è stato fatto. Attraverso una governance semplice ma efficace basata sulla logica dei tetti di spesa sulla farmaceutica, sui dispositivi medici, sul personale, sull’acquisto delle prestazioni da privato e sull’ospedaliera attraverso la riduzione dei posti letto. Oggi siamo finanziariamente in equilibrio, ed economicamente quasi in pareggio, perché il sistema nel 2016 ha perso solo 700milioni.
 
Sì ma a che prezzo?
Guardi che non abbiamo messo mano al sistema in termini di tagli, ma in termini di efficientamento e appropriatezza dei comportamenti. Attraverso una serie di misure come la centralizzazione degli acquisti, i soggetti aggregatori, i tetti di spesa abbiamo portato a normalità molti comportamenti. Esemplificativo il caso delle siringhe che prima compravamo con varianze da uno a tre, della giornata alimentare che in una azienda pagavamo 7 euro ed in un'altra 22 euro, addirittura all’interno della stessa Regione. Ma ora bisogna cambiare anche perché la sostenibilità del sistema non arriva solo dall’efficientamento dei processi d’acquisto, ma da una visione diversa.
 
Ossia?
Quel modello di governance, sebbene necessario, ci ha fatto perdere di vista le interdipendenze che hanno i singoli fattori, i quali hanno ricadute sulla spesa pubblica nel complesso. Ora dobbiamo passare a un modello più evoluto di governance del Ssn. Che deve provare a misurare gli interventi sui singoli silos di spesa e le interazioni che questi hanno sul sistema nel suo complesso. Alcune spese rappresentano un investimento e non un costo. Un esempio su tutti l’Epatite C, con un investimento di 2 miliardi di euro, che ci ha consentito oggi di curare 103mila pazienti e che ci consentirà di raggiungere l’obiettivo eradicazione nei prossimi tre anni, riusciremo a produrre nel tempo risparmi consistenti in termini di mancati ricoveri, mancati trapianti e comorbilità di cui soffrono i malati con Epatite C che valgono dai 5mila ai 50mila euro l’anno solo per l’acquisto di farmaci e per tutta la durata della vita. Insomma, i soldi ci sono e non sono pochi, ma dobbiamo imparare a spenderli bene e, soprattutto, ad allocarli correttamente sulla base di scelte misurate e fondate sul valore. Pensiamo che il Ssn vale circa 113 miliardi di euro, più circa 39 di spesa privata e 30 miliardi di welfare indotti dalla sanità, ossia quelli che l’Inps eroga in assegni di invalidità per malattie croniche. Un sistema quindi da circa 180/200miliardi di euro che si deve però gestire con strumenti che consentano di misurare le azioni intraprese e permettano di dare alla politica, e a chi dovrà gestire interventi regolatori, di ponderare le proprie scelte e gestire le innovazioni in arrivo. Questo ora è realizzabile grazie alla messa in sicurezza dei conti, in quanto le Regioni hanno raggiunto un equilibrio e grazie ai sistemi informativi implementati che prima non esistevano e che nei prossimi mesi ci forniranno indicazioni puntuali sulle ricadute delle scelte regolatorie.
 
Quali sistemi state costruendo…
Ci stiamo dotando di sistemi informativi per misurare in tempo reale i costi per patologia. In sostanza stiamo lavorando per stratificare la popolazione italiana, per singole patologie meglio ancora per classi di assorbimento di intensità assistenziale, in maniera tale da poter individuare le priorità. Normalmente i dati di prevalenza e di incidenza sono frutto di indagini campionarie, invece al Ministero stiamo lavorando su micro-dati per agganciarli al consumo di prestazioni di tutta la popolazione italiana. Abbiamo approntato cruscotti informativi che ci fanno “entrare” nei singoli reparti ospedalieri, con sistemi di misurazione per rendere evidente l’effettiva erogazione delle prestazioni su tutto il territorio e arrivare a misurare l’appropriatezza cioè la buona sanità. Un patrimonio informativo che sta già dando indicatori di performance.
 
Dove volete arrivare?
Vogliamo passare da una visione verticale della sanità ad una visione orizzontale. Vogliamo capire e misurare se stiamo ancora garantendo inefficienze compensandole con minor spesa laddove potremmo invece investire. Tradotto, possiamo anche avere una Regione in equilibrio, ma magari la stessa spreca sul territorio, sull’ospedale e per compensare queste inefficienze non effettua investimenti o magari mantiene lunghe liste di attesa. Dobbiamo quindi calare nel dettaglio regole per una migliore allocazione dei fattori di spesa.
Insomma, è una nuova visione che il ministro Lorenzin ci ha chiesto di sviluppare e verso la quale saranno orientati tutti i comportamenti futuri. Tant’è che la nuova legge di bilancio darà al Comitato Lea la possibilità di misurare gli impatti orizzontali dei farmaci innovativi per valutare un eventuale migliore allocazione delle risorse. Per questo ho chiesto una gap analysis di tutto quello che manca nel Ssn. Per fine gennaio avrò i risultati del lavoro che consentiranno la rimodulazione dei Drg, di rifare le linee guida della contabilità analitica, solo per citare alcuni interventi. La fase successiva sarà quella di sfidarci sugli outcomes, perché la finalità ultima dei Ssn non è erogare prestazioni ma curare i cittadini e non è scontato che le le due cose si equivalgano.
 
Una visione di insieme sicuramente proficua alla distanza, ma a bocce ferme mancano i soldi per i rinnovi contrattuali e la sanità va avanti grazie ai medici e agli altri operatori...
È indiscutibile i soldi non ci sono, ma aspetterei la fine della legge di bilancio. Non sappiamo ancora come finirà.
 
E sulla tassa sul fumo, c’è ancora qualche speranza?
Chissà…
 
Ester Maragò

13 dicembre 2017
© Riproduzione riservata

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