Responsabilità professionale. Prosegue il dibattito al Senato. La replica del relatore Bianco al termine della seduta di mercoledì
Toccati molti temi nella replica del relatore ai numerosi interventi svolti mercoledì pomeriggio al Senato. Linee guida, responsabilità civile delle strutture e dei professionisti, conciliazione e assicurazioni tra i temi più dibattuti. La discussione proseguirà giovedì. Approvazione attesa entro questa settimana.
16 NOV -
La replica del relatore Amedeo Bianco (PD) al termine del dibattito odierno in Aula (leggi tutti gli interventi nel resoconto integrale del Senato)
Signora Presidente, prima di tutto vorrei ringraziare i colleghi intervenuti nel dibattito generale e i colleghi che hanno pazientemente presenziato al dibattito. Vorrei ringraziarli perché nei loro interventi hanno ulteriormente chiarito il senso e la portata di questo provvedimento, condividendo quello che nella mia relazione introduttiva al dibattito avevo segnalato. Quindi credo che la mia replica si possa tranquillamente limitare ad alcuni aspetti che nel corso del dibattito hanno registrato qualche preoccupazione, se non qualche differenziazione.
Credo che la prima questione riguardi le linee guida. Sapete che non è tanto l'aspetto tecnico-scientifico delle linee guida che ha creato dei problemi. Diciamo che qualche problema e qualche preoccupazione nasce dall'articolo 3 del cosiddetto decreto Balduzzi, che per primo in un decreto, poi convertito in legge, fa riferimento alle linee guida.
Dal punto di vista tecnico-scientifico e della pratica professionale, noi sappiamo da tempo, ed è consolidata nella letteratura e nell'orientamento tecnico-scientifico e professionale, che le linee guida sono delle raccomandazioni, degli orientamenti, degli strumenti di aiuto alle decisioni, proprio perché anche lo sviluppo della medicina da questo punto di vista ci fa comprendere quanto sia complicato, su situazioni patologie e quant'altro, standardizzare trattamenti o scelte. Questo è già noto. Diventava un passaggio un po' più delicato una volta trasferito nella norma penale o nella norma civile, che noi sappiamo essere inquadrabile sotto forma di norme cautelari.
Tanto è vero che quando il decreto Balduzzi fu inviato dal tribunale di Milano alla Corte costituzionale, la Corte costituzionale mosse una obiezione alle linee guida chiedendo chi le stilasse, in che modo e come venissero definite perché possano assurgere alle caratteristiche di norme cautelari.
Questa è stata una preoccupazione ma è anche vero, devo dire, che l'interpretazione giurisprudenziale sulle linee guida si è immediatamente conformata a ciò che era l'orientamento tecnico-professionale, dicendo, e anche esprimendolo in sentenze di grande significato, che il professionista non deve necessariamente attenersi alle linee guida quando queste non siano coerenti e adeguate al caso concreto, intendendo per caso concreto non un anonimo, un astratto paziente di un
trial ma quel paziente, con la sua storia clinica, con la sua complessità clinica, umana, relazionale e quant'altro oppure alle condizioni oggettive in cui si opera: la disponibilità di diagnostica, di strumenti, di organizzazione e così via.
Quindi direi che la magistratura ha perfettamente inquadrato, da questo punto di vista, l'ambito delle linee guida. Non a caso nel testo, rispetto al decreto Balduzzi, parliamo di raccomandazioni per le linee guida, appunto per sottolineare questo aspetto.
Naturalmente ci siamo preoccupati, anche per il rilievo avanzato a suo tempo dalla Corte costituzionale, di costruire un sistema di produzione di linee guida che avesse una sua solidità. Intendiamoci, parliamo di solidità dei soggetti che propongono le linee guida e dei soggetti che tali linee guida devono assumere, trasferendole nelle pratiche professionali, nelle attività quotidiane e nelle logiche di efficacia e costo-efficacia che sono strumenti di
governance del sistema di tutela della salute.
Naturalmente, è necessario preoccuparsi anche della qualificazione metodologica con cui vengono costruite le linee guida. Non stiamo parlando di cose astratte perché sono note nella letteratura scientifica internazionale: sono delle vere e proprie
check flow, cioè liste di flusso che riportano come, dal punto di vista metodologico, con quali
item e quali parametri debbano essere costituite le linee guida.
Con questo testo legislativo, crediamo di aver dato un grande contributo in tal senso. Poi si potrà migliorare e, quando verrà ricostituito il sistema nazionale delle linee guida, potranno essere previsti ulteriori meccanismi di coinvolgimento di soggetti, di gruppi scientifici e di comunità scientifiche, come avviene in altri Paesi ma lo scopo è dare un sistema certo, affidabile e trasparente cui riferire le scelte, cui riferire i comportamenti, cui riferire le condotte professionali e io aggiungerei anche le condotte organizzative e gestionali delle organizzazioni.
La seconda questione è un po' più delicata e riguarda la responsabilità civile delle strutture e dei professionisti. Voi sapete che sono un medico, quindi tratto questa materia con la dovuta umiltà. Infatti è comprensibile che, pur avendo affrontato questo tema da tanti anni e anche in altri ruoli, e pur avendo partecipato a centinaia di convegni, mi limiti a leggere le conclusioni contenute in una relazione dei lavori della Commissione nazionale istituita dal ministro della salute Lorenzin sul tema della medicina difensiva e della responsabilità professionale.
Mi riferisco alla cosiddetta separazione delle discipline di responsabilità civile (la struttura dell'obbligazione di tipo contrattuale). L'obbligazione è un concetto che nasce dal contratto civilistico. Si tratta dello stesso contratto per cui un'impresa, una volta costruita una casa, deve rispondere che non crolli e non abbia difetti strutturali. Si tratta della stessa identica fattispecie, che viene trasferita nell'ambito della struttura sanitaria.
Uno degli elementi del dibattito è stato proprio la distinzione fra la responsabilità contrattuale della struttura e la responsabilità extracontrattuale degli esercenti le professioni sanitarie che operano dentro le strutture. Voglio solo ricordare che, correttamente, il testo stabilisce che i professionisti che assumono direttamente un'obbligazione contrattuale con il paziente mantengono la responsabilità per l'obbligazione, cioè una responsabilità contrattuale. Naturalmente la Commissione era composta da giudici presieduti dal presidente del Consiglio nazionale forense, esperti di medicina legale, clinici e funzionari del Ministero.
Nella relazione si legge quanto segue: è appena il caso di aggiungere che il modello italiano, nella configurazione che è andata via via assumendo, differiva dalla gran parte dei modelli degli altri ordinamenti dei Paesi membri dell'Unione europea, in cui, pur talvolta ricorrendo a qualche tecnica di inversione dell'onere della prova, che c'è nel nostro ordinamento tra contrattuale ed extracontrattuale, il sistema di responsabilità medica (nella relazione si parla di responsabilità medica, ma noi parliamo - è questa l'altra innovazione - di tutti gli esercenti della professione sanitaria, perché sono cresciuti il tasso di competenze, ma anche il tasso di responsabilità e quindi - ripeto - parliamo di tutti) è fondata esclusivamente sulla responsabilità extracontrattuale.
Quei modelli distinguono inoltre in modo netto le posizioni della struttura sanitaria da quella dell'esercente la professione medica, perché tengono conto del fatto che la struttura sanitaria offre un servizio articolato, comprensivo di ospitalità, servizi, fornitura di farmaci e strumenti medici, terapie principali e collaterali, e un'impresa (pubblica o privata che sia, convenzionata o meno) si intende nel linguaggio del diritto comunitario, mentre l'esercente la professione sanitaria svolge un'attività intellettuale.
Ai fini della reazione dell'ordinamento, in caso di danni al paziente, si giustifica, dunque, un diverso trattamento dell'una e dell'altra. Io aggiungerei, oltre alle cose della struttura, che all'interno di una struttura io non posso rifiutare un'obbligazione contrattuale. Fosse un contratto, potrei rifiutare la prestazione; mentre, trattandosi di un'obbligazione contrattuale, io non posso.
Quindi, nella parte propositiva si legge che, ad evitare il riproporsi di una problematica derivante innanzitutto da equivoci di natura interpretativa ingenerati dall'inciso del secondo periodo dell'articolo 3 (il cosiddetto decreto Balduzzi), nell'esimere da responsabilità penale lieve il professionista, si fa salvo l'articolo 2043 del codice civile.
Questo è un inciso che è risultato molto confuso nell'orientamento. Ad ogni modo, volendo anche definire univocamente e conclusivamente le problematiche inerenti la natura e l'ambito della responsabilità dell'esercente la professione sanitaria, ritiene che il testo dell'articolo 3 possa essere migliorato, statuendo che l'esercente, dipendente o convenzionato, risponde in sede civile esclusivamente ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2043 del codice civile, mentre la struttura sanitaria risponde sempre in sede civile per effetto del rapporto contrattuale (articoli 1218 e 1228).
Queste sono le conclusioni di quella commissione. Inoltre, ciò fa anche capire che non dovremmo portare la questione al paradosso.
Io vorrei solo dire che il rapporto fiduciario non è un rapporto contrattuale, ma è un elemento di qualità della prestazione. Paradossalmente in questa logica il consenso informato diventerebbe, o potrebbe diventare, un elemento in cui faccio un contratto con il professionista, mentre è ciò che rende lecito l'atto medico sanitario, nella misura in cui è invasivo dell'integrità della persona ed è una previsione di rango costituzionale (articolo 32, comma 2). Pertanto, la disciplina nasce da questa esigenza, da questa scelta di separare i due profili di responsabilità.
Attenzione: nel testo abbiamo più volte specificato che laddove l'esercente, anche se lavora in una struttura, operi in ragione di un contratto assunto con il paziente, la sua responsabilità resta contrattuale. Abbiamo fatto lunghe audizioni in Commissione su questa materia; sono venuti i giudici del tribunale di Milano e quelli di Cassazione, chi pro e chi contro, ma questo è l'ambito in cui si muove la logica della riforma sul piano della responsabilità civile.
Ho sentito, ed esprimo il mio ringraziamento da questo punto di vista, riproporre altre questioni che certamente sono pertinenti al tema: ad esempio, quella dell'udienza preliminare, sollevata dal senatore
D'Ambrosio Lettieri, credo sia un problema vero.
Il problema è che bisogna cambiare il codice di procedura penale (mi sembra l'articolo 550 del codice di procedura penale), comprendendo anche l'imputazione per lesioni tra le cause che possono avviare la procedura.
Non siamo ancora arrivati a quel grado di elaborazione, di confronto anche molto positivo con tutte le componenti (magistrati, Ministero della giustizia) per questo; ritengo pertanto che il richiamo possa trovare una sua memoria nel testo anche con delle soluzioni possibili, magari in un successivo provvedimento che guarda alla riforma del codice di procedura penale.
Vi è poi il tema, anch'esso delicato, della conciliazione. L'articolo 8 introduce una novità. Preciso che non è tanto l'articolo 696-
bis del codice di procedura civile, in riferimento cioè alla procedura di accertamento tecnico preventivo e alla conciliazione che il consulente del giudice può fare, perché c'era già nel codice.
La novità sta nel fatto che diventa una procedura obbligatoria nei casi di responsabilità. Non credo si pongano problemi nel dire che va bene così, perché la conciliazione la fa il consulente del giudice e, se la conciliazione non riesce, gli atti sono immediatamente utilizzabili in giudizio. Da questo punto di vista non vi sfuggirà l'importanza della misura in termini di costi e anche di velocità.
Attenzione, perché quando parliamo di costi e di velocità ci riferiamo a diritti dei cittadini, perché l'accesso ad un risarcimento rapido ed equo è innanzitutto un interesse del cittadino. Il problema si pone perché la nostra legislazione ha in corpo altri strumenti, allora ma anche recentemente concepiti per sottrarre al contenzioso in aula giudiziaria la conciliazione di liti aventi per oggetto materie sanitarie controverse: mi riferisco alla conciliazione e alla negoziazione assistita.
Abbiamo prodotto una legislazione che correttamente, a mio giudizio, ha cercato di alleviare la pressione nelle aule giudiziarie e di risolvere i contenziosi in sedi stragiudiziali o - diciamo - pregiudiziali. L'osservazione che viene fatta è che come la legge sopprime il ricorso a questi altri strumenti potrebbe essere ingiustificato o ingeneroso, e credo che una qualche ragione in questo ragionamento ci sia, ricordando soprattutto che l'istituto della conciliazione di fatto ha cominciato a funzionare tre anni fa, o anche meno, perché intervenne la Corte costituzionale a correggerlo.
L'altro problema è che, secondo i dati che abbiamo - che però sono dati giovani - la conciliazione non dà grandi risultati, almeno fino a oggi. Credo, allora, che possa essere ragionevole mantenere, in un regime alternativo o concorrenziale, queste due procedure.
L'obbligo delle assicurazioni è un problema serio; bisogna fare i conti il diritto comunitario che considera gli obblighi per le imprese private, quali sono le assicurazioni, delle violazioni della libera circolazione dei servizi e della concorrenza.
Quindi, è un problema delicato. Non è che non esiste; il rischio è che o questa legge comincerà a dare degli effetti o se pensiamo che le assicurazioni, che già oggi non ci sono sul mercato, possono entrare come un obbligo, diventa ancora più complicato.
Credo, allora, anche su questo possiamo ragionare, ma dobbiamo costruire i presupposti perché questo possa avvenire.
Ringrazio ancora l'Assemblea e spero che la mia replica, se non altro, possa avere dato soddisfazione alle ragioni degli altri, che legittimamente possono mantenere.
16 novembre 2016
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