Liberalizzazioni. Arrivano le “catene” di farmacie. Chi ci guadagna e chi ci perde
di Fabrizio Gianfrate
Intanto ci guadagna il “valore” delle farmacie attuali. Dato che restano i limiti a nuove aperture le società che vorranno entrare nel mercato dovranno per forza acquistare farmacie da chi ce l’ha già e quindi il prezzo lieviterà. I primi a perderci saranno i farmacisti non titolari che, se andrà bene, saranno riassunti dalle nuove società con regole e contratti del nuovo Jobs act, meno vantaggiose di quelle attuali
23 FEB - Prima di tutto chi deciderà di vendere la “sua” farmacia alle nuove società. Restando in vigore la pianta organizza il numero massimo di farmacie resta lo stesso di oggi e quindi.
Avevo già commentato, prima del Ddl Guidi, circa le possibili catene di farmacie. Aggiungo un paio di riflessioni dopo la sua approvazione di venerdì in CdM.
Il provvedimento consente di realizzare grandi catene di farmacie dirette da dipendenti. Ma restando il limite della pianta organica (indispensabile per un buon servizio pubblico) ad aprirne di nuove, le future “catene” dovranno comprarsi le esistenti. Che quindi aumenteranno esponenzialmente di prezzo e valore aggiungendo loro un costo superiore in entrata che inevitabilmente si scaricherà inflativamente sui prezzi al consumo, limitando quello che potrebbe essere l’indubbio beneficio collettivo dalle “catene”, la riduzione dei prezzi al pubblico di farmaci da banco ed extrafarmaco (e domani della C con ricetta…).
Certo lo spesso tanto vituperato “grande capitale” sarà soddisfatto per l’apertura all’ingresso nel sistema offerto dal Ddl, benché a caro prezzo dato, appunto, il “numero chiuso” delle farmacie. Contenta anche l’altra parte “forte” che nel sistema già c’è, i titolari delle farmacie, che vedono amplificato il valore del loro bene (vale per la vendita ma anche per migliore accesso al credito, locazioni e quant’altro).
Meno contento il “ piccolo” farmacista non titolare che “il grande capitale” non ce l’ha e che ai valori attuali magari riesce a fare pur faticosamente l’acquisto non più possibile se si alzano i costi d’entrata. Selezioni in entrata che non rispecchiano esattamente i dettami liberisti della scuola di Chicago, dei Von Hayek, Friedman o Stiegler, nobel padri del liberismo.
Peggio ancora per quel o quella giovane farmacista che dopo il CdM di venerdì si dovranno accontentare di un eventuale posto da dipendente in una delle eventuali future grandi catene “macdonaldizzate” (cfr. Ulrich Beck). E pure difficile, considerando che la grande catena farà efficienze ed economie di scala, quindi difficilmente abbisognerà di più personale rispetto all’oggi, dato l’invariato numero di farmacie. Ma anche se i nostri giovani farmacisti quel posto da dipendente lo acchiappassero, sia chiaro sarebbe con le “nuove” regole post “job act” varate nello stesso CdM di venerdì. Proprio una brutta giornata, venerdì, per loro.
“Liberalizzazioni” un po’ così, dicevamo. Come per la sterile discussione sull’uscita, poi mancata, della C con ricetta dalla farmacia. Anche fosse stato, non avrebbe sortito alcun effetto concorrenziale di riduzione dei prezzi, almeno “sic stantibus rebus”, cioè senza grandi centrali d’acquisto o disintermediazioni nella filiera o integrazioni verticali tra produzione e distribuzione o sinergie complementari di settore con altri servizi sanitari. Basti vedere per analogia quanto accaduto con OTC e SOP dal prima delle “lenzuolate” di Bersani del 2006, nonostante i punti vendita aumentati del 20%, i prezzi sono tutt’altro che calati anzi sono persino aumentati (+22,8%, +3,6% depurato dall’inflazione, vedi tab. 1), con spesa e volumi complessivi calati. E con una quota di mercato di OTC e SOP fuoriuscita dalla farmacia verso ipermercati e parafarmacie di meno dell’8%, lo 0,8% del fatturato complessivo della farmacia. Spiccioli.
Insomma, tu chiamale se vuoi liberalizzazioni, se ti fa comodo: verso la fine della quaresima a Re Sole diventato insopportabile per la protratta astinenza da carne come da precetto, il Cardinale Mazarino fece preparare un succulento piccione tartufato a cui appena sfornato impose solennemente l”ego te baptizo piscem”.
Del resto il comparto vale circa 30 miliardi, è anticiclico verso ogni crisi e tra i pochi destinato a crescere per naturali dinamiche demografiche. Normale sia concupito dai “big business makers”, da dentro e fuori il settore stesso (comprese certe ricchissime organizzazioni illegali).
Fatto salvo il “costo d’entrata” nel sistema per l’acquisto delle farmacie esistenti, dal punto di vista macroeconomico la centralizzazione in grandi catene sposta per definizione in senso antiredistributivo i profitti verso la ricchezza già esistente.
Nel solco dello Zeitgeist di oggi, domestico e globale, di polarizzazione della ricchezza e della deflazione del lavoro e del capitale umano verso i soggetti imprenditoriali e finanziari più forti, in una sorta di meccanismo gravitazionale newtoniano della ricchezza fluttuante.
Impossibile non notare la casualità di come Ddl liberalizzazioni e job act vengano contestualmente dai due Ministri fino a ieri e per anni ai vertici proprio dei soggetti imprenditoriali e finanziari in assoluto e storicamente in Italia più forti e potenti, Confindustria e Cooperative. Tu chiamale, se vuoi, coincidenze.
Fabrizio Gianfrate
Tabella 1: Spesa, volumi e prezzo medio per confezione OTC e SOP, confronto 2005-2014
Spesa (miliardi €) Confezioni (milioni) Prezzo medio x confez. (€) Diff. %
2005 2,15 322 6,69
2014 2,30 280 8,22 22,8% (3,6%)*
*Indicizzato 2014 x inflazione, coeff. ISTAT 2005-2014 = 1,186
Fonte: Gianfrate F., Il Mercato dei Farmaci, ediz. F. Angeli, 2014 (modif.)
23 febbraio 2015
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