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Stavolta ci siamo. La sanità ha certezza di risorse. E adesso si può riformare veramente

di Grazia Labate

Le assicurazioni di Matteo Renzi ieri sera a “Porta a porta” sul fatto che i risparmi della sanità rimarranno alla sanità” dovrebbero porre fine ai timori di Lorenzin e delle Regioni su nuovi tagli lineari al sistema. Ma la certezza di risorse deve spingerci ancora di più alla riforma del sistema sanitario per poter affrontare veramente le nuove realtà sociali, economiche ed epidemiologiche. Ecco come

14 MAR - Ieri sera a “ Porta a porta” il Presidente del Consiglio Matteo Renzi è stato chiaro “ i risparmi della sanità devono rimanere alla sanità”. E’ un’ottima notizia, perché con certezza di risorse ribadite per il triennio 2014-2016 per le  cifre che conosciamo: 109,902 miliardi per il 2014, 113,452 per il 2015, 117,563 per il 2016, e con la capacità di generare all’interno del sistema risparmi che vengono quantificati dal Ministro Lorenzin nell’ordine di 10 miliardi di euro ce la possiamo fare, almeno nel triennio, per attuare una reingenerig di sistema che da troppo tempo si dice ma non si fa, avviluppati dentro l’antica diatriba prima le risorse poi il cambiamento.
 
Se prendiamo per buone le affermazioni del Ministro della Salute e quelle del Presidente del Consiglio che avoca a Palazzo Chigi la gestione politica della spending review, gli alibi  del “non fare” finiscono per tutti. Naturalmente non ci dobbiamo  dimenticare che accanto a questa certezza di risorse ci sono ancora i tagli previsti per il triennio dentro il SSN di 2 miliardi e 550 milioni per la rideterminazione dei tetti di spesa farmaceutica territoriale ed ospedaliera e per la riduzione dei tetti per l’acquisto da privati di prestazioni specialistiche ed ospedaliere, ed inoltre si prevedono riduzioni del personale di 540 milioni per il 2015 e 610 milioni per il 2016, per effetto della manovra sul pubblico impiego. In sostanza voglio dire che il sistema ha già sopportato dal 2010 ad oggi tagli dell’ordine di 31miliardi e 400milioni e come si dice a casa mia “emu sa daetu” tradotto abbiamo già dato.
 
Ma la certezza sulle risorse non basta. Il Ssn si deve riformare
Tutto bene dunque? Niente affatto perché il SSN deve affrontare volenti o nolenti  la più grossa riforma di sistema dal suo interno ancor più rilevante della certezza delle risorse. Dobbiamo in proposito avere chiare in testa alcune cose.
L’attuale dibattito intorno alla sostenibilità della spesa sanitaria pubblica nasce dalla profondità e dal permanere di una crisi strutturale dell’economia, sia nazionale che internazionale, che rischia di mettere a repentaglio la sostenibilità dell’intero sistema di Welfare. Assistiamo ad una divaricazione sempre più crescente tra risorse esistenti e crescita del costo dei servizi erogati, dovuta al progresso tecnologico che rende disponibili, anno dopo anno, tecniche e terapie innovative per la diagnosi e cura delle malattie, permettendo una migliore qualità di vita. Nel contempo va poi considerato il progressivo invecchiamento della popolazione, con il suo carico di cronicità delle malattie e conseguente maggiore domanda di salute.
 
Dunque pilastri  fondamentali della sostenibilità del SSN sono la crescita del sistema paese e  il recupero di efficienza del SSN. Efficienza e risparmio che si possono ottenere attraverso una più    attenta   programmazione dell’offerta, reingegnerizzando il rapporto ospedale- territorio, effettuando una efficace politica di prevenzione primaria e secondaria, una standardizzazione dei costi in rapporto a criteri di appropriatezza e costo efficacia, una convinta lotta agli sprechi, alla medicina difensiva, alla corruzione.      
 
Passi in avanti il SSN ne ha compiuti, nell’ultimo decennio,  anche  se molto resta ancora da fare. Manca una adeguata Governance complessiva di sistema. Si deve rimarcare che in questi anni, le problematiche connesse alle logiche di governo del sistema sanitario nella sua interezza: domanda
e offerta, i vari stakeolders, pubblico, privato accreditato, spesa privata dei cittadini in forma singola o intermediata sono state completamente ignorate. Negli ultimi 3 anni sono state approvate norme di politica economica che hanno ridotto sensibilmente le risorse disponibili per il Servizio Sanitario Nazionale e per le politiche sociali.
 
I risultati delle manovre introdotte a partire dal decreto legge 98/2011 hanno condotto ad una rilevante correzione dell’andamento della spesa ”caricando” il quadro programmatico di obiettivi di contenimento per un totale calcolato in oltre 31 miliardi dal 2010 al 2014, così come si legge nella relazione generale della corte dei conti del 2013.
 
Del resto a guardare i fondamentali dell’economia, alla pallida ripresa  e a quello 0,7  di crescita del PIL , ai livelli di disoccupazione impressionanti,  alla crescita del debito pubblico, ci si rende conto delle difficoltà che permangono nel sistema paese. Tuttavia niente di tutto ciò ci può paralizzare, anzi occorre andare avanti spediti, avendo ben chiara in testa la direzione di marcia e tenendo conto del contesto europeo in cui siamo immersi.
 
Il confronto con l’Europa
Voglio ricordare alcune cose che possono essere utili al confronto. Il 19-20 novembre 2013 a Vilnius Lituania, alla conferenza Health Systems "Sistemi sanitari sostenibili per la crescita inclusiva in Europa". Durante il primo giorno della conferenza, l'Ufficio Regionale per l'Europa e l'Osservatorio europeo dell’OMS  hanno lanciato la pubblicazione "Sistemi sanitari e Salute nella crisi economica: risposte politiche", che contiene le ultime prove sull'impatto della crisi economica sulla salute e le prestazioni dei sistemi sanitari e le risposte politiche adottate dagli Stati membri in Europa. Noi come molti altri paesi europei abbiamo tagliato molto di più, più dell’Inghilterra 20 miliardi di sterline entro il 2016, più della Grecia 25 miliardi di euro entro il 2015 e potrei continuare con Irlanda, Francia ecc. 
 
Questo lavoro è stato sviluppato intorno al Meeting dell'OMS ad alto livello tenutosi a Oslo, ospitato dalla Direzione norvegese di sanità, 17-18 aprile 2013, che ha prodotto10 dati OMS ( lezioni - raccomandazioni) adottate dal Comitato Regionale a Cesme, Izmir, Turchia, Settembre 2013.
 
Esso mette in evidenza che:
· i Tagli dovuti all’ austerità hanno messo i sistemi sanitari europei sotto pressione, aumentando le disuguaglianze sanitarie e minacciando la loro sostenibilità in futuro; 
· i cittadini degli stati che accanto alla protezione universale hanno forme di sanità integrativa sia attraverso fondi aziendali, mutualità di territorio che di sviluppo di Welfare aziendale hanno retto meglio l’impatto della crisi. Prova ne sono le indagini a livello europeo nel periodo di crisi 2008-2012 che dimostrano come quasi tutte le aziende hanno aumentato i benefit sanitari e sociali del 3,3% rispetto al periodo precrisi, lo sviluppo della mutualità non solo in Francia, Germania, Belgio, Austria tradizionalmente affini a forti sistemi di mutualità, ma anche Inghilterra, Irlanda e Svezia hanno visto aumentare le forme di mutualità dentro i loro SSN;
· è cresciuta la consapevolezza dei diritti e delle responsabilità individuali e collettive per trovare efficaci risposte complessive alla crisi dei sistemi di Welfare postbellici e di fronte a variabili demografiche che sconvolgono i paradigmi tradizionali di protezione sociale, per di più di fronte ad una crisi economico finanziaria senza precedenti.
 
La Dichiarazione di Vilnius, enuncia tre punti d'azione che sono stati presentati al Consiglio dei ministri della Sanità  europei che si è tenuto nel mese di dicembre 2013 e che sono stati approvati.
L'obiettivo è garantire che i sistemi sanitari europei, siano sempre più sostenibili e inclusivi, offrano una buona salute per tutti. Per ottenere questo risultato è necessario:
- aumentare gli investimenti nella promozione della salute e prevenzione delle malattie;
- garantire l'accesso universale di alta qualità, centrato sulle persone nei servizi sanitari, adottando mix di governance della domanda e dell’offerta sanitaria;
- assicurarsi che le riforme del sistema sanitario - compresa la pianificazione della forza lavoro - siano basate su prove e si concentrino sul rapporto costo-efficacia, la sostenibilità e il buon governo.     
 
Dunque si è partiti da alcune consapevolezze comuni e cioè che la crisi economica e finanziaria ha ridotto le disponibilità di risorse; la pressione di un consumerismo sanitario ha attivato un processo di aumento continuo della domanda e ridotto il protagonismo degli individui nella gestione della propria salute; l’affermarsi sempre  più, di procedure burocratiche amministrative, svuota il contenuto professionale del lavoro di cura. A questo aggiungiamo infine l’aumento delle disuguaglianze di salute, e così abbiamo un insieme di fattori che pongono la necessità di ripensare il sistema sanitario e sociosanitario per renderli più coerenti con le caratteristiche della società post moderna e con la domanda di salute che la caratterizza.
 
Il percorso di cambiamento ha bisogno di ripensare profondamente  la programmazione, lo spostamento del focus programmatorio dall’ospedale al territorio implica una sorta di rivoluzione nei modelli organizzativi e comportamentali professionali per attuare con consapevolezza le profonde trasformazioni da mettere in   atto.    Il prevalere di malattie croniche e degenerative pone il problema della gestione di patologie e condizioni di disagio che devono essere accettate e gestite dalle singole persone e dai professionisti a domicilio.
 
In questa  prospettiva, il compito del sistema di cura è supportare la gestione della cronicità e la costruzione delle condizioni che possono ridurre il disagio sociale che vi si accompagna.L’attivazione di processi di prevenzione, basati sulla promozione di stili di vita sani deve diventare il fulcro del sistema sanitario e non l’evento residuale al quale dedicare poche risorse ricavate dalle pieghe (sempre più strette) dei bilanci delle aziende sanitarie.La salute non può, infatti, essere solo un ambito d’intervento delle politiche tese ad affrontare la malattia, ma deve diventare il fulcro del processo di sviluppo delle politiche pubbliche che intendono migliorare la qualità della vita di una popolazione.
 
Il Patto per la Salute non può restare “chiuso” nella Stato Regioni
Se tutto questo è vero allora il Patto per la Salute non può essere il luogo, se pur autorevole ma chiuso, della Conferenza Stato Regioni, deve inverarsi ex ante e non ex post, non consultare e basta, ma codecidere con il mondo delle professioni sanitarie, con le rappresentanze dei cittadini il percorso difficile, ma unico, di profonda riforma del sistema. Solo così i cittadini e chi vi lavora saranno certi che le risorse esistenti e i risparmi che si possono conseguire andranno a vantaggio del cambiamento. Solo così potremmo sperare nella fine delle estenuanti liste d’attesa, nella certezza di avere luoghi di cura sicuri, cure appropriate di territorio, ospedali di alta qualità e personale gratificato del proprio lavoro e misurato davvero sugli obiettivi raggiunti e sulla qualità del proprio operato. Solo così potremmo sperare che mettendo a massa critica le risorse economiche pubbliche e private, le possiamo trasformare al servizio della salute dei cittadini e di una cultura dei diritti e delle responsabilità che in sanità è fondamentale.
 
Dobbiamo avere il coraggio di aprire un dibattito pubblico sulla governance  del sistema abbandonando la convegnistica di maniera e di interessi sottesi, affrontando come, dove e in che tempi, i LEA sono un diritto sostanziale e non solo scritto sulla carta e quel federalismo tanto invocato, non sia la linea di demarcazione tra nord e sud ma la ricomposizione dell’articolo 32 della Costituzione.
 
Grazia Labate
Ricercatore in economia sanitaria, già sottosegretario alla Salute

14 marzo 2014
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