Legge di stabilità. Sul personale sanitario non si può continuare a sbagliare
di Roberto Polillo
Se si vuole risparmiare sulla PA bisogna abbandonare la logica dei tagli lineari e lavorare su altri fronti. Sul sistema pensionistico, parametrando tutte le pensioni ai contributi effettivamente versati. Sulla riduzione (o azzeramento) delle consulenze esterne e incidere sui doppi e tripli incarichi
15 NOV - Nella notte in cui tutte le vacche sono nere, le proposte di emendamento al ddl stabilità illustrate dalla
Senatrice Dirindin, fanno intravedere una politica diversa. Una politica in cui si riqualifica la spesa sostituendo i tagli con razionalizzazioni e in cui si afferma il principio che nella sanità la compressione oltre misura degli organici e del salario, specie in area critica, equivale ad un abbassamento del livello di qualità e di sicurezza per i pazienti.
Se si vuole risparmiare sulla PA bisogna lavorare su altri fronti: rivedere il sistema pensionistico riparametrando per tutti gli assegni in essere ai contributi effettivamente versati, superando il principio dei diritti quesiti (per i pensionati d’oro in primis) che non può non valere solo per i lavoratori attivi e per i dipendenti pubblici, il cui fondo pensionistico attivo (si badi bene!) viene prosciugato ogni anno per finanziare le pensioni di liberi professionisti, artigiani e dirigenti; azzerare o per lo meno ridurre del 50% le consulenze inutili e costose e conferite nella stragrande maggioranza dei casi come premi-fedeltà agli uomini degli apparati e delle corti dei diversi politici. Un bancomat a carico della comunità che umilia i dipendenti pubblici trattati come incapaci o non in grado di svolgere le fumose attività oggetto di consulenze . Si deve incidere sui doppi e tripli incarichi e smetterla di perseguitare i lavoratori della sanità che con tutti i distinguo del caso, tengono comunque in piedi il nostro SSN.
E ancora in sanità bisogna rivedere il sistema di allocazione delle risorse e le modalità di valutazione del lavoro dei professionisti.
La proposta di
Robert Kaplan, rivista anche alla luce delle considerazioni
dell’assessore Marroni della regione Toscana, evidenzia in modo netto i limiti di ogni definizione rigida di costi standard e sottopone a dura critica un sistema di pagamento degli erogatori basato sui DRG in un modo totalmente avulso da ogni analisi a breve degli esiti clinici. Lo stesso dicasi per la valutazione dei professionisti delle strutture ambulatoriali e dei presidi ospedalieri per i quali il numero delle prestazioni effettuate è l’unico parametro tenuto in considerazione indipendentemente da ogni considerazione di appropriatezza. Un feticcio (l’incremento annuo delle prestazioni rese) che nasconde invece gli interessi economici del complesso sanitario-industriale privato. Un eccesso di analisi , radiografie etc , legate esclusivamente al consumismo e al salutismo sanitario, che non contribuisce affatto al miglioramento delle condizioni cliniche dei paziente ma che spesso si trasforma in un danno per la salute come nel caso delle radiazioni assorbite per TAC totalmente inutili.
Perché allora le aziende sanitarie e o le regioni non introducono quel modello di comunicazione tra professionisti basato sull’e-referral (vedi NEJM 27 giugno 2013) di cui abbiamo già discusso in un precedente
intervento su QS e che potrebbe contribuire in modo sostanziale ad abbattere le liste di attesa lavorando sul fronte della appropriatezza e non su quello del razionamento?
Si crede o si fa finta di credere che la allocazione delle risorse sarebbe più ottimale esportando il modello lombardo basato sulla competizione (finta come ben sappiamo!) degli erogatori. Un modello che sta in piedi solo grazie alla vecchia legge dei vantaggi comparati di Ricardo e solo grazie a quelle regioni che tra il
buy e il
make preferiscono acquistare da altri le prestazioni ad alto valore aggiunto piuttosto che rimboccarsi le maniche per riqualificare il proprio sistema regionale . E così la Lombardia riesce a pareggiare i bilanci del suo tanto decantato modello solo perché il suo eccesso di produzione è mantenuto in piedi dalla indolenza di quelle regioni che per anni hanno consentito che i propri ospedali effettuassero solo appendiciti e varici degli arti inferiori.
Bisogna dunque riprendere una discussione più ampia mantenendo una chiara scelta di campo che è quello della difesa e del potenziamento di un sistema sanitario pubblico basato sulla cooperazione e non sulla competizione delle strutture. Le motivazioni espresse dalla Sen. Dirindin agli emendamenti alla legge di stabilità mi sembra vadano in questa direzione.
Roberto Polillo
15 novembre 2013
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