Il Piano nazionale di comunicazione del rischio pandemico? Da revisionare.
Include azioni che devono essere effettuate dalle Regioni ma non sono altrettanto chiare quelle in capo al ministero della Salute che dovrebbe invece assumere “un ruolo centrale nel controllo e nel coordinamento della gestione della comunicazione” fornendo “indicazioni precise”.
E' questo il “verdetto” delle Regioni al documento iscritto oggi, in veste di informativa, all‘Ordine del giorno della Conferenza Stato Regioni, ma rinviato alla prossima seduta utile: un nuovo testo redatto dal ministero è arrivato sul filo di lana, troppo tardi per essere esaminato. Da qui il rinvio ”tattico”, che non cancella però le osservazioni delle Regioni messe nero su bianco a fianco di ogni azione indicata dal Ministero.
Molte le lacune segnalate dalle Regioni. Tra le tante: il Piano non identifica e non definisce né un sistema di strutture per condurre la comunicazione del rischio, né come debba avvenire il coinvolgimento delle comunità in caso di risposta e minacce per la salute pubblica. Non sono contenute procedure chiare per l’attivazione e il rilascio tempestivo di informazioni in caso di urgenza, non ci sono indicazioni specifiche sugli atti legislativi per finanziarlo e non è definita una strategia nazionale di coordinamento e governo di questa attività.
E ancora, se il Piano sottolinea la necessità di utilizzare sistemi e reti per monitorare e intervenire in modo proattivo e coerente nei casi di divulgazione di fake news, secondo le Regioni, non indica poi le modalità con cui questa attività dovrebbe essere garantita, non identifica gli strumenti né definisce una catena di governo per svolgere le attività sul territorio.
Ci sono deficit anche sulle modalità operative di funzionamento delle campagne comunicative e informative, proposte e coordinate dal ministero della Salute durante una situazione di emergenza, nonché sull’engagement della comunità anche in fase Inter pandemica o in fase di transizione.
Soprattutto, sottolineano le Regioni, il Piano dovrebbe promuovere la diffusione di un messaggio univoco, coordinato e riconoscibile su tutto il territorio nazionale evitando che modalità differenti possano essere percepite come eterogenee dai cittadini. Le azioni da intraprendere sono invece “indicate in modo generico senza fornire indicazioni concrete che pianifichino questi aspetti e senza esplicitare i compiti dei diversi soggetti coinvolti”.
Inoltre, all’interno del documento non c'è menzione delle Aziende sanitarie e del ruolo cruciale che svolgono nella comunicazione locale, mentre sarebbe opportuni citare esplicitamente il loro ruolo e il loro coinvolgimento attraverso la diffusione di comunicazioni ufficiali basate su un format nazionale condiviso. Una soluzione che garantirebbe, appunto, un’informazione coesa e unitaria su tutto il territorio.
Le Regioni toccano poi il capitolo dei rapporti con i media. Su questo punto, suggeriscono è necessario che il Piano “preveda la realizzazione di un percorso di formazione continua in materia di comunicazione rivolta sia ai referenti centrali, quali ministero e Iss, sia a quelli regionali”. Formazione da condividere anche con esponenti dell’editoria, quindi carta stampata e televisione, in modo da creare un pool di professionisti che, ognuno nel relativo ambito, si muova a partire da un know-how comune: punto indispensabile creare un’alleanza comunicativa tra media e istituzioni che ha particolare rilevanza nella situazione di emergenza
Tirando le somme, per le Regioni, il documento necessita di “una revisione complessiva per sviluppare gli aspetti mancanti”.